Tra alti e bassi, successi e insuccessi, prosegue il difficile cammino della commedia gay italiana. La notizia di oggi è che la regione Puglia ha negato i finanziamenti al film di Matteo Vicino, “Outing. Fidanzati per sbaglio“, perchè, dichiara la presidente di Apulia film commission Antonella Gaeta, “non abbiamo trovato plausibile il plot”. Noi sappiamo che al cinema, quasi per definizione, tutto o niente può essere plausibile. Il film, interpretato da Nicola Vaporidis (che ha appena terminato il ruolo gay nel film di Maurizio Ponzi, “Ci vediamo a casa”, del quale parliamo più avanti) e Andrea Bosca, le cui riprese sono iniziate in questi giorni alla masseria Il Melograno di Monopoli, dovrebbe essere una commedia “che ribalta tutti gli stereotipi del genere“. La storia non è nuovissima, racconta di due grandi amici etero che si fingono gay per ottenere dei finanziamenti regionali. Federico (Vaporidis) è un playboy pugliese che per far tornare a casa l’amico di sempre Riccardo (Bosca) – designer frustrato a Milano – partecipa a un bando della Regione Puglia, senza rendersi conto che è riservato alle coppie di fatto omosessuali, impegnate nel settore moda. Pur di non perdere l’occasione i due si fingono gay, e cominciano a giocare di luoghi comuni. La scheda del film (produzione Camaleo film con Red carpet, distribuzione di AI entertainment di Andrea Iervolino), assicura che “capiranno scottati sulla loro pelle cosa significa essere discriminati“.
Le tre coppie protagoniste di “Ci vediamo a casa”
Un’altra commedia gay che uscirà a settembre nelle sale è “Ci vediamo a casa”, ultimo film del regista Maurizio Ponzi, autore affermato di numerosi film di successo come “Io, Chiara e lo scuro”, “Madonna che silenzio c’è stasera”, “Volevo i pantaloni”, ecc, e di serie televisive come “Il bello delle donne” (che aveva un personaggio gay), “Valentino” (miniserie con protagonista gay). Ponzi, che attualmente è anche co-conduttore di Hollywood Party, il programma di cinema di Radio 3 (dove ha parlato di tematiche gay e delle sottotrame gay di alcuni film prodotti quando non si potevano raccontare storie gay), ha iniziato la sua carriera come critico cinematografico su riviste come “Filmcritica”, “Cinemasessanta”, “Cahiers du cinéma” e “Cinema & Film” ed ha realizzato documenatri su Pasolini e Visconti. Nel 1966 era assistente di Pier Paolo Pasolini per l’episodio ‘Il fiore di carta’ di ‘Amore e rabbia’. Su MyMovies viene definito come “espressione di una cinematografia minore in bilico tra mestiere e arte, spesso ingiustamente sottovalutata dalla critica, ma sempre interessante e preziosa“.
“Ci vediamo a casa” racconta delle difficoltà che possono incontrare delle coppie di oggi nel trovare la prima casa. Il film è diviso in tre episodi con tre diverse coppie, una delle quali è composta da due ragazzi gay. Abbiamo un ragazzo di Ostia (Nicola Vaporidis) che ha una storia con un poliziotto (Primo Reggiani). La coppia gay aggiunge, alle normali difficoltà di trovare una casa, il fatto di essere una coppia omosessuale “con tanti altri piccoli problemi, come quello della riservatezza nella periferia romana, il bisogno di avere uno spazio dove potersi amare liberamente, senza gli occhi della gente addosso che ti giudica e condanna, perchè questo è purtroppo quello che piace fare alle persone in generale” (Vaporidis). Vilma (Ambra Angiolini) cerca disperatamente una casa in affitto col proprio compagno appena uscito di galera (Edoardo Leo); la coppia accetterà di prendersi cura di un anziano solo (Antonello Fassari) che in cambio di compagnia promette loro di lasciargli in eredità la casa alla sua morte. Alla morte dell’anziano il loro rapporto di coppia andrà in crisi a causa dei reciproci sospetti di aver facilitato il decesso. La coppia formata da Myriam Catania e Giulio Forges Davanzati è invece indecisa su quale villa scegliere nel residenziale e costoso quartiere di Monteverde Vecchio.
LA COMMEDIA GAY ITALIANA
Il regista del film, Maurizio Ponzi, ha partecipato nel mese di maggio all’interessante dibattito sulla “Commedia gay italiana” realizzato dalla trasmissione Stracult di Marco Giusti, con diversi ospiti tra i quali Chiara Francini (madrina del Festival gay di Torino di quest’anno, definita dal presentatore “idolo dei gay italiani, europei e tra poco di tutto il mondo”), Daniele Pecci (il gay fricchettone di mine vaganti), Daniela Virgilio (lesbica che diventa etero in ‘Good As You’ e prima la protagonista femminile di ‘Romanzo criminale’, intima amica di un gay), gli autori teatrali gay Stefano Ricci e Gianni Forte (Macademia nut brittle), Dino Abbrescia e Franco Troiano (la coppia gay di ‘Cado dalle nubi’).
Nella trasmissione sono stati presentati spezzoni dei seguenti film:
La dolce vita di federico Fellini 1960
Parigi o cara di Vittorio Caprioli 1962
Basta guardarla di Luciano salce 1970
Splendori e miserie di madame Royale di Vittorio Caprioli 1970
La patata bollente di Steno 1979
L’imbranato di Pier Francesco Pincitore 1979
Vacanze di Natale di Carlo Vanzina 1983
Mi faccia causa di Steno 1984
Roba da ricchi di Sergio Corbucci 1987
Cado dalle nubi di Gennaro Nuziante 2009
Maschi contro femmine di Fausto Brizzi 2010
Mine vaganti di Ozpetek 2010
Good as you di Mariano Lamberti 2012
Ci vediamo a casa di Maurizio Ponzi 2012
Marco Giusti ha chiesto ai presenti cosa pensavano degli sterotipi gay presentati in alcune vecchie commedie italiane. Pecci ha detto che sono da Giurassic Park, ma tutti hanno detto che anche se oggi fanno ridere e sono spesso imbarazzanti, hanno svolto l’importante funzione di avvicinare il pubblico agli omosessuali, rendendoli più familiari e meno mostri.
Giusti ha poi chiesto se invece nelle commedie di oggi siamo riusciti ad affrancarci da quegli stereotipi. Paolo Ruffini, il conduttore, ha parlato di Brokeback Mountain (che commedia non è), che non gli è piaciuto perchè, secondo lui, non parla di gay ma parla di una storia d’amore universale. Chiara Francini ha risposto che oggi, portando l’esempio di “Un altro pianeta”, i gay sono presentati in modo più completo, tridimensionale, umano, con più sfumature. Anche nell’altra commedia, “Maschi contro femmine” del “fortemente eterosessuale Fausto Brizzi”, dove interpretava una lesbica, “una ragazza omosessuale, molto divertente, che ho cercato di rappresentare senza cadere nei soliti clichè, come succede normalmente nei film in cui la lesbica viene presentata con una voce cavernicola, con i baffi, una camionista”. Ruffini le chiede cosa ci sia di male nei clichè e Chiara risponde che “sono bidimensionali”.
Ruffini chiama in ballo Pecci e il suo ruolo gay scatenatissimo in Mine vaganti, che Pecci spiega così: “non bisogna mai perdere di vista il metodo attraverso cui si racconta una storia, e nella commedia, Ozpetek aveva bisogno di rompere una dimensione familiare borghese di un certo tipo, e noi dovevamo fare un po’ i matti”
Marco Giusti chiede a Ponzi se per gli attori rappresenti un problema fare un ruolo gay. Ponzi risponde: “Penso di sì, comunque io tutte le volte che ho affrontato dei personaggi gay, in questo film e anche in televisione (nel Bello delle donne uno dei protagonisti era gay, Luca, il parrucchiere, fatto da Massimo Bellinzoni). Addirittura negli anni ’70 ho fatto Valentino, da un racconto di Natalia Ginzburg, dove il protagonista è gay. In tutti questi casi, questi personaggi non erano mai fortemente caratterizzati, quindi non ho avuto esperienze come quelle di cui abbiamo parlato. I miei personaggi gay si comportavano come dei ragazzi qualunque.”
Viene poi fatta la domanda cruciale, se esiste o no la commedia gay. Su questo argomento viene mostrata una breve intervista ad Ozpetek che prima fatica a rispondere, ma quando gli viene espressamente ricordato il genere delle sue commedie, di Pappi Corsicato e oggi anche di Ivan Cotroneo, genere ‘dal gusto gayo, rosa, pink, risponde con decisione che non esiste la commedia gay, che lui racconta la vita, dove c’è tutto.
Viene chiesto a Ponzi se condivide questa posizione di Ozpetek, che risponde di sì, ma Marco Giusti contesta dicendo “però in qualche modo la vostra cultura, che è anche cultura gay, ha cambiato questa nuova commedia, in assoluto, non solo quella vostra, ma di tutto il cinema italiano, o no?” e Ponzi dice: “Sì, certamente, il tempo passa e la commedia cambia. I nostri amici commediografi [Ricci e Forte] prima dicevano che forse era giusto rappresentare i gay in quel modo perchè hanno preparato il terreno agli anni successivi, e sembrava quasi che il cinema italiano avesse un po’ pianificato questa cosa.”
Alla domando su come vengono presentati i gay nelle nuove commedie, Ponzi risponde: “Io quando ho diretto questo ultimo film [Ci vediamo a casa], ho avuto delle domande abbastanza precise da parte di Vaporidis e Reggiani, che sono i due gay, e io li ho pregati, al contario di quello che ha fatto Ozpetek in Mine vaganti, di essere naturali, io racconto una storia d’amore fra due ragazzi che non hanno neanche il problema di essere gay perchè sono anche approvati dalla madre di uno dei due, non hanno un conflitto di quel tipo, hanno altri problemi. Quindi li ho sollecitati a non fare nulla di speciale. Poi in realtà ci sono delle piccolissime indicazioni, qualche morbidezza, che gli attori hanno mostrato con grande abilità.”
Marco Giusti chiede se queste prime ‘commedie gay’ abbiano avuto un valore educatico. Ponzi risponde: “Penso di si, Splendori e miserie di madame Royale non era solo un film comico, c’erano dei risvolti anche molto drammatici. E politicamente corretti. La stessa cosa si può dire di ‘Parigi o cara’, dello stesso Caprioli, c’era il personaggio di Fiorenzo Fiorentini, che faceva il fratello di Franca Valeri, che era un gay molto divertente ma nello stesso tempo molto ben disegnato, senza mai essere una macchietta”
Giusti chiede se questi nuovi film comici, tipo quello di Zalone, abbiano portato una nuova visione della realtà, del sesso, di come si vive adesso. Gianni Forte ripsonde: “Non credo siano importanti in questo senso. I personaggi gay servono ancora come pretesto per continuare a fare della commedia, credo che attraverso gli anni, dagli anni 70 in poi, ci sia stato il tentativo di spostare un po’ quella che era la soglia di conoscenza e quindi si è poi passati negli anni ’90 a raccontare un rapporto gay simile a quello eterosessuale, un rapporto di coppia, ci sono state decine di film in cui si ricalcavano gli stereotipi o gli stilemi eterosessuali, per poi continuare ad andare oltre, tant’è che oggi è normale vedere un film comico, continuare a fare una satira di quel genere lì, ma anche convivere invece con una tranquillità di personaggio che può essere gay o meno, ma non ha nessuna importanza.”
Pecci dice che queste commedie sono importanti “perchè hanno raccontato della realtà e sono riusciti a spostare l’opinione pubblica. Il compito del cinema è anche questo”
Ponzi aggiunge: “Io però non credo che lo scopo ultimo di una storia con dei personaggi gay, sia quello di far diventare i gay come degli eterosessuali, cioè con gli stessi problemi degli eterosessuali, trattandoli allo stesso modo come si tratta una coppia eterosessuale. Questo secondo me è sbagliato perchè nel rapporto omosessuale ci sono comunque delle differenze. Capitano e si sentono cose che non si sentono nel rapporto eterosessuale. E quindi bisogna raccontarle, ed è quello che fa la differenza. Cioè la trama di Brokeback Mountain non potrà mai essere quella di un uomo e una donna. Solo fra due uomini può succedere quello che succede nel film”
La trasmissione prosegue poi sul faceto con Giusti chiede se un attore gay possa fare una parte etero. Abbrescia è convinto di no, scandalizzando la Francini che ricorda Rock Hudson, Burt Lancaster. Ma Abbrescia dice che no, si vede sempre se un attore è gay, basta avere “l’occhio clinico”
Si ritorna sul serio con Giusti che afferma che nelle serie tv di oggi, soprattutto in quelle di maggiore successo e non esplicitamente gay, ci sia molta cultura gay. Ricorda che un tempo gli sceneggiatori erano invece omofobi, e fa i nomi di Age Scarpelli, De Bernardi e Benvenuti, e comunisti. Interviene Ponzi approvando e dicendo che a quei tempi “era meglio evitare. Almeno così io ho fatto quando ho lavorato con Benvenuti e De Bernardi. Evitare che ci fossero personaggi di quel tipo [gay], perchè mi avrebbero messo sulla strada del macchiettone.”
Giusti invita Ponzi a ripercorrere la storia del cinema gay.
Ponzi: “C’è stato un periodo lunghissimo, durato almeno 50 anni, in cui non si potevano raccontare storie gay nel cinema, soprattutto in quello americano. Quindi si facevano dei film in cui si parlava di storie gay senza dire che erano gay, era tutto sotterraneo. Tipo ‘Ben Hur’, è una storia d’amore tra uomini, nel senso che tra Charlton Heston e Boyle c’era una storia. Tanto che William Wyler a Charlton Heston non riuscì mai a dire quale era veramente la natura del suo personaggio, altrimenti si sarebbe rifiutato. Wyler era un po’ fissato, negli anni ’30 aveva fatto un a commedia tratta da Liliam Helman, ‘La calunnia’, la storia di due lesbiche messe nei guai da una ragazzina perfida. Siccome la censura glielo impedì, lui trasformò la storia, non erano più due lesbiche, ma due donne che condividevano un uomo, lo scandalo era quello. Poi lui, che era stato sempre dispiaciuto di questo intervento censorio, nel ’62 ha voluto rifare il film, che in italiano si chaima ‘Quelle due’, con Audrey Hepburn e Shirley McLein. Questo film era esplicito, perchè le due donne avevano un rapporto lesbico, ma era meno bello del primo.”
Giusti aggiunge: “Mi ricordo quando andavo al cinema da piccolo, Kirk Douglas e Tony Curtis che dicono “se non avrò il tuo amore avrò almeno il tuo odio” ne ‘I vichinghi’. Erano film frocissimi. Anche i film western erano in realtà molto aperti. Il massimo era “Ultima notte a Warlock” (Ponzi suggerisce anche ‘Fiume rosso’), Antony Quinn, per tutto il film è pazzo di Henry Fonda, che ha due colt d’oro e cammina per tutto il film dinoccolando”
La trasmissione si conclude con una disquisizione su alcuni film gay che vengono contestati dalla stessa comunità gay, come accaduto con ‘Good as you’.
Daniela Virgilio ricorda il suo ruolo in quel film, affermando che “sì, diciamo che il film è colorito, cioè un po’ estremo, che poi non è estremo, ma è ancora difficile parlare delle famiglie arcobaleno, di gay che possono avere un figlio, argomenti che sono ancora delicati, forse. Noi siamo andati giù pesante, o meglio facciamo vedere le cose così come stanno, vibratori, cose così, ma non siamo ancora pronti… Comunque è un film che piace o non piace, gay o etero. E’ una commedia che gioca molto sul clichè, nel senso che i personaggi sono molto estremizzati. Quindi c’è chi dice che sono macchiette, chi dice che servono ritmi un po’ più sostenuti…”
Interviene Ricci dicendo: “c’è una critica, però ascoltando le parole di Daniela, c’è anche un’ipocrisia, credo, anche da parte del mondo gay. Ci succede anche a teatro quando mostriamo una realtà che è soggettiva ma è la realtà, rispetto a certi ruoli o a certi schemi, che anche la comunità gay crede di dover ricalcare e quando vede qualcosa di differente subito viene stigmatizzato, ci si irrigidisce, si vive di schemi, anche la comunità gay”
Ruffini, quasi indispettito, dice: “Ma perchè bisogna stare attenti quando si parla dei gay? Si cherza con tutte le categorie, perchè non posso scherzare coi gay? Perchè se la prendono così tanto, in base a quale logica? Ad esempio su internet ho messo una parodia di Brokeback Mountain, apriti cielo. Chiamare uno del sud terrone può essere pesante come chiamare un gay frocio, o no?”
Daniela: “Gli etero se dicono frocio è offensivo, è una cosa che non si dice, i gay tra loro si chiamano sempre frocia”
Pecci: Il problema secondo me finirà quando finirà il concetto della comunità gay, poi alla fine siamo tutti uguali. Io non faccio parte di nessuna comunità e non mi vado a schierare in nessuna cosa. Quando non ci saranno più questi problemi finirà la comunità e finirà la ghettizzazione, come le femministe, le donne”
Ruffini: “Questo è un concetto strepitoso, sono d’accordo con Pecci, basta con le comunità”
Fortunatamente Marco Giusti cambia argomento dicendo: “La commedia italiana era molto omofoba. Gli attori gay erano limitati a fare macchiette, tipo Gigi Leone e Franco Caracciolo. In generale era dura fare un ruolo gay, eri subito marchiato. Adesso vi sembra diverso?”
Abbrescia: “Si, però, una signora mi disse: ‘ma lei, senza offesa, ha fatto la parte del gay in quel film?’ quindi oggi le cose non sono molto cambiate
Pecci: “Ancora oggi è imbarazzante fare scene gay con esplicite scene di sesso. E la gente quando vede due uomini che si baciano s’irrigidisce”