Vedi il programma del Festival sul sito www.festivalmixmilano.com
Domani si conclude il 26mo Festival Mix di Milano, con ancora un’ottima affluenza di pubblico nonostante la concorrenza degli europei di calcio e un caldo soffocante. Ieri sera, anticipato da giovedì rispetto al programma orginale, è stato consegnato il Premio Queen of Comedy all’attrice e scrittrice Geppi Cucciari, già premiata nel 2012 come miglior personaggio televisivo femminile dell’anno (al 52º Premio regia televisiva 2012). Arrivata sul palco dello Strehler con un leggero ritardo, è stata presentata dal direttore Marzi e da La Pina, quest’ultima ha ricordato di averla conosciuta dieci anni fa quando partecipò al programma Pinocchio da lei condotto su Radio Deejay. Cucciari ha subito martellato il pubblico con una serie velocissima di pungenti battute che non si faceva in tempo ad applaudire, come “non sapevo che adesso gay si dicesse mix“, oppure “vorrei sapere perchè mi avete dato questo premio“, con La Pina che le risponde “certe domande è meglio non farsele“. Ha lasciato il palco, sempre soverchiata dagli applausi, con un invito: “sposatevi“.
Ricordiamo che questa sera sul sagrato del teatro (Largo Greppi 1) avrà luogo, alle ore 22.30, la “School Battle“, una esibizione di 150 studenti del NABA (Fashon Design) che gareggiano (come in un esame di fine corso) in una prova di danza e fashion, uno stile di danza nato nei locali gay di New York negli anni 60.
Da non perdere la proiezione domani sera (purtroppo in concorrenza con la semifinale europea) del film che conclude il Festival, il superpremiato “Clouburst” che sarà presentato dal regista Thom Fitzgerald, uno degli autori più promettenti del cinema queer mondiale, al quale il festival ha dedicato una mini rassegna.
MY BROTHER THE DEVIL di Sally El Hosaini – voto 8/10
Il film della serata di martedì, ancora uno dei più bei film dell’ultima stagione lgbt, è stato “My Brother the Devil”, opera prima di Sally El Hosaini, regista e scrittrice gallese di origini egiziane. Ne parliamo in questa sede perchè non eravamo riusciti a vederlo al Festival gay di Torino, ricordando che il film è stato presentato anche alla Berlinale (dove ha vinto il premio Label Europa Cinemas) e al Sundance 2012 (dove ha vinto il Cinematography Award).
Tecnicamente quasi perfetto, ottima sceneggiatura e fotografia, fin troppo patinata, il film potrebbe essere l’ennesima rappresentazione della violenza che ancora oggi dilaga nelle periferie londinesi, con lo smercio della droga, le guerre tra gang, il reclutamento dei giovanissimi, i contrasti generazionali, la tradizioni religiosa e la modernità, ecc. ma viene valorizzato e attualizzato dall’inserimento della tematica omosessuale che coinvolge la vita e l’affetto di due fratelli. La regista affronta questa tematica con molto garbo e riservatezza (niente sesso o nudità, solo un bacio sulle labbra della durata di un secondo) e soprattutto analizzando le reazioni che l’omosessualità produce nella società, nei parenti e negli amici. Reazioni violente, di rifiuto assoluto, che richiedono di essere lavate addirittura col sangue. La cosa che colpisce è che questo atteggiamento non deriva dalle convinzioni religiose, in quanto i giovani protagonisti del film, anche se di fede mussulmana, si sono completamente integrati nella società occidentale (hanno modificato anche i loro nomi, Rash anzichè Rashid e Mo invece di Mohammed), e considerano la religione una cosa arcaica, fuori dalla realtà (vedi i commenti del fratello minore Mo quando scopre che Rash sta leggendo un testo sacro). L’omofobia è quindi entrata nella cultura di quella società, nelle famiglie come nelle gang, nei giovani come negli anziani, e viene vista come un tradimento, un rifiuto del proprio ruolo sociale, che deve essere eliminato. Quando il fratello minore scopre l’omosessualità del maggiore, cade in un profondo sconforto. Quello che prima era il suo idolo, ora diventa peggio del suo nemico, non riesce nemmeno a sopportarne la vicinanza. Non ha il coraggio di rivelarlo ai suoi amici più intimi, gli dirà che suo fratello è diventato un terrorista, un talebano, confessando poi che avrebbe preferito che fosse questo piuttosto che omosessuale. Da notare come non venga mai usato il termine gay, forse troppo benevolo, ma sempre il termine omosessuale o altri dispregiativi. Peccato che il film, probabilmente per dare più drammaticità alla storia, si fermi pochissimo sulla scoperta dell’omosessualità di Rash, che appare troppo improvvisa, quasi senza motivazione, e nemmeno si soffermi sulla sua nuova storia d’amore, che viene lasciata completamente in secondo piano rispetto alle reazioni che provoca negli altri personaggi. Una scelta registica che raggiunge l’obiettivo di denuncia sociale ma toglie spessore ai personaggi gay. Ma come al solito, ogni spettatore, noi compresi, vorrebbe vedere il suo film e non quello che sta guardando. In ogni caso impossibile non affezionarsi a quasi tutti i protagonisti, attori non professionisti che forse proprio per questo aggiungono genuinità e naturalezza, aiutati anche da uno script dinamico e coinvolgente, con momenti di forte drammaticità.
FRAUENSE di Paul Zoltan voto 7/10
Curioso come il precedente film, centrato sull’omosessualità maschile, fosse diretto da una donna, mentre questo, esageratamente lesbico, sia invece diretto da un uomo. Chiaro segno di crescita del queer movie. Il film, tradotto anche col titolo “Il lago delle donne” (meglio sarebbe “Il lago delle lesbiche”), è un tipico esempio di cinema da camera, cioè di un cinema intimista, dove la natura e il paesaggio diventano parte integrante della psiche delle protagoniste. Le bellissime e insistite immagini del lago (che si trova nella regione del Brandeburgo, non lontana da Berlino), con la sua apparente calma e dolcezza, nascondono invece un dramma sotterraneo, quello della pesca e della cattura di grossi pesci, così come l’apparente tranquillità e meticolosità della protagonista del film, Rosa, che di questo lago è la guardia, nasconde il dramma di una vita ancora con diversi problemi da risolvere, soprattutto quello della lunga relazione con la sua compagna, Kirsten, una donna affermata che lavora a Berlino e la raggiunge solo nei fine settimana in una bella casa sulle rive del lago. La due donne vivono quindi separate, anche se ormai hanno superato i quaranta, e sono comunque ancora fortemente attratte sessualmente. L’omosessualità non è un problema, hanno entrambe abbastanza carattere per difendersi. A Rosa però manca qualcosa, forse una famiglia, soprattutto un legame totale e definitivo con Kirsten, che nemmeno riesce a dirle “ti amo”, non perchè non l’ami, ma perchè la sua vera vita non è quella del weekend, ma quella del lavoro, a Berlino (sottolineata dalle insistenti telefonate di lavoro che la raggiungono). Serve una scossa, qualcosa che possa fare evolvere la situazione, in un modo o nell’altro. Di questo è convinta Rosa, che coglierà la palla al balzo con l’inatteso incontro di due giovani lesbiche, anch’essa in coppia con qualche problemino. Le tematiche della coppia aperta, dell’amore e della famiglia, affrontate anche nel confronto tra due generazioni, sono sicuramente al centro di questo accattivante film, piacevolissimo da vedersi sia per l’ambientazione lacustre che per gli interessanti personaggi che ci racconta. Forse non così nuovo come potrebbe sembrare.
LIFE AND DEATH OF A PORNO GANG di Mladen Djordjevic – voto 7/10
Quasi un’opera underground questo duro e sanguinolento film serbo che ci racconta le disavventure di un giovane regista, Marko, figlio ribelle di un imprenditore, che, contro il parere di tutti, insiste per fare del cinema dirompente, anticonvenzionale, capace di dire alcune verità sulla complessa e tormentata società del suo paese. Purtroppo il messaggio del film non è per nulla accattivante. La Serbia, vuol dirci il regista, ha vissuto guerre terribili e crudeli (esemplificate dall’orrore di alcuni filmati reali, con stupri e teste tagliate con le quali i soldati giocano al pallone), ma tutto questo orrore non è ancora terminato, morte e sofferenza sono ancora all’ordine del giorno in un paese con terribili contraddizioni, sociali, religiose e morali fortissime, dove il denaro può comperare tutto, sesso, degradazione e morte compresi. Marko, il protagonista del film, dopo i primi fallimenti come videoartista, seguiti da quello del suo primo lungometraggio, per guadagnare qualche soldo decide di dedicarsi al cinema porno, che però deve essere di qualità. Il suo produttore Cane non è d’accordo, il porno deve essere porno e basta, non deve lanciare messaggi di critica sociale, altrimenti nessuno lo guarda. Marko è quindi costretto a mettersi in proprio e con un gruppo eterogeneo ma affiatato organizza una turnee di porno cabaret da mostrare ai contadini dei villaggi. Tra i suoi collaboratori anche una coppia gay, Johnny e Max, e un travestico ceco raccolto durante il percorso. Questi sono forse tra i personaggi più sinceri del film, quelli che ci regalano scene di autentico amore e dedizione. Purtroppo saranno anche i primi a pagare cara la loro scelta. Il film, dopo l’esperienza anche divertente delle scene orgiastiche mostrate ad un pubblico poco adatto, entra in una spirale di violenza sempre peggiore, quasi impossibili da raccontare. Un film durissimo, adatto a stomachi forti, che comunque raggiunge il suo obiettivo di amarissima denuncia. Forse con qualche esagerazione (o compiacimeto) di horror granguignolesco.
CODEPENDENT LESBIAN SPACE ALIEN SEEKS SAME di Madeleine Olnek – voto 6,5/10
Commedia in bianco e nero, selezionata al Sundance 2011. Girata in assoluta economia, racconta una storia di fantascienza con lo stile televisivo degli anni cinquanta (forse prima). Chiaramente lo scopo delle autrici e soprattutto quello di divertire sciorinando una carellata di mordaci battute sui costumi terrestri, riferiti in particolare allo stile di vita lesbico newyorchese (ma non solo). Il film, forse il più applaudito di tutto il festival, racconta di alcune lesbiche che vengono mandate sulla terra perchè nel loro pianeta c’è troppo amore (che buca l’ozono) e hanno bisogno d’imparare a soffrire per amore, essere delusi e traditi e abbandonati dalla persona che si ama, tutte cose che sulla Terra si sperimentano con assoluta facilità. Succede però che un’aliena, arrivata sulla terra con tutta la sua disponibilità amorosa, incontri Jane, una lesbica grassottella che non ha mai trovato fino a quel momento l’amore tanto desiderato. E’ quindi amore a prima vista. Da sbellicarsi davanti alle scene in cui Jane racconta questa sua esperienza alla sua psicanalista, che non può credere ad un incontro con aliene lesbiche e resta convinta che tutto sia solo un sogno della sua cliente. Ancora irresistibili le scene davanti ai dolci esposti nella vetrina girevole di una pasticceria (“C’è un momento nella vita di ciascuno, in cui un dolce è proprio davanti a te e poi si allontana”). Scenette e battute create per divertire ma sempre con un sottofondo riflessivo assai pungente. Forse troppo trash, forse troppo televisivo, ma sicuramente un piccolo film intelligente che non si fa dimenticare.
ALAN TURING AL PICCOLO TEATRO
Nella Scatola Magica, alle 18, si è tenuto un interessantissimo incontro sulla figura del grande matematico inglese Alan Turing (1912-1954), uno dei padri dell’informatica, e dell’intelligenza artificiale, genio matematico che è stato in grado di decodificare il codice militare tedesco Enigma durante la seconda guerra mondiale.
La regista, Maria Elisabetta Marelli, ha presentato il suo spettacolo teatrale “TURING -a staged case history”, che sarà in scena al Piccolo Teatro nel novembre prossimo. Non uno spettacolo classico, ma una performance multimediale, intreccio di suono, musica, immagini e tecnologia informatica. Ha poi parlato Massimo Marchi in rappresentanza dell’ AGON centro multimediale che produce lo spettacolo.
Molto interessanti i due successivi interventi , di Giulio Giorello, professore di filosofia della scienza, che ci ha parlato degli aspetti scientifici della figura di Turing, e il professor Oreste Dominioni, avvocato penalista, che ci ha descritto gli atti del processo per omosessualità che Turing dovette subire; una delle pagine più oscure dell’Inghilterra del dopoguerra. Turing, nel 1951 denuncia alla polizia un banale furto e dalle indagini emerge che l’autore del furto aveva avuto una relazione omosessuale con Turing stesso. Egli fu cosi trascinato in un processo per avere compiuto in privato atti osceni con una persona dello stesso sesso.
Turing era diventato un personaggio potenzialmente pericoloso, che poteva tradire la sua Patria, perché aveva tradito il genere maschile e la sua classe sociale, avendo avuto una relazione con un uomo per giunta di classe inferiore, senza mostrare segni di pentimento. Convinto dalla sua stessa difesa a dichiararsi colpevole, accetta di essere sottoposto alla castrazione chimica per ottenere la libertà. Dopo il processo sulla sua fedina penale viene scritto ‘colpevole di turpitudine morale’. I trattamenti ormonali a cui venne sottoposto provocarono effetti fisici devastanti, che lo portarono alla depressione e al suicidio per avvelenamento nel 1954 (c’è chi ipotizza che sia stato ucciso dai servizi segreti). (R.M.)
LO CHIAMAVAMO VICKY di Enza Negroni – voto 6/10
In prima serata è stato presentato l’attesissimo documentario “Lo chiamavamo Vicky” , purtroppo una delle pochissime presenze italiane di questo festival, biografia dello scrittore Pier Vittorio Tondelli (1955-1991) , scomparso a trentasei anni, per Aids. Era presente in sala la regista Enza Negroni, insieme al responsabile del centro di documentazione Pier Vittorio Tondelli di Correggio.
Attraverso fotografie, filmati, letture dei suoi scritti e interviste a suoi concittadini, il film racconta gli anni della formazione di Pier Vittorio Tondelli a Correggio, una cittadina di provincia, in cui erano ben presenti i fermenti culturali che scuotevano l’Italia negli anni settanta. Seguiamo così Tondelli dal suo tema alla maturità classica, agli studi al DAMS di Bologna, ai suoi articoli apparsi prima sui giornalini dell’ACLI e poi sulle riviste locali, alle prime esperienze teatrali, fino al suo romanzo d’esordio “Altri libertini”(1980) . Tondelli appariva in quel periodo con i capelli molto lunghi e anche con la barba (una specie di giovane Guccini).
Tutti i concittadini di Tondelli intervistati , parlano di lui come di una gloria locale. Particolarmente toccante è l’intervento del libraio di Correggio, un anziano signore che muovendosi tra enormi pigne di libri sparse ovunque, riesce stranamente a trovare tutta una serie di memorabilia del suo amato concittadino. Un altro intervento interessante è quello del primo editore, presso la Feltrinelli, di ‘Altri Libertini’, che ci racconta delle lunghe discussioni con lo scrittore, per ottenere una forma compiuta dai tanti scritti che Tondelli gli aveva portato.
Il film, molto ben costruito e confezionato, ci conferma le doti della regista Enza Negroni, già nota al pubblico per il suo l primo lungometraggio “Jack Frusciante é uscito dal gruppo” (1996), Però qualcosa ha in parte deluso le nostre aspettative. Di Pier Vittorio Tondelli ci viene ripetutamente raccontata la sua grande passione per la scrittura e il teatro, ma quasi nessuno ci racconta qualche cosa di personale su di lui, del suo carattere, di cos’altro voleva fare oltre a scrivere (o forse questo era veramente la sola cosa che allora gli interessava). Incidentalmente nella lettura di una sua pagina dedicata ai mille aspetti del teatro, compare la parola ‘frocio’. (R.M.)
TREVOR ANDERSON SHOW
I lavori di Trevor Anderson sono un mix di ironia, memoria personale e furia creativa.
In esclusiva per Festival MIX Milano e in collaborazione con Milano Film Festival, il regista canadese terrà il workshop Self portrait, dove somministrerà pillole di saggezza sul tema del ritratto e dell’autoritratto, esplorando la rappresentazione in alcune sue personalissime declinazioni estetiche, in un viaggio attraverso linguaggi e sguardi possibili.
Parallelamente, la retrospettiva dei suoi corti si apre con Rocket Pockets, dove un ricordo d’infanzia diventa il pretesto per una riflessione più generale. Carpet Diem è la storia di due immagini che si incrociano sulla passerella di Hollywood. The Island racconta di come una mail omofoba possa offrire l’opportunità di un viaggio fantastico. In Punchlines sono ripercorse le tappe salienti per diventare un artista. Figs in Motion è un’ipnotica danza in cui uomini e strani cavalli si confondono, un’ode all’immaginario di Edgar Degas e le fotografie di Eadweard Muybridge. The High Level Bridge è la personale biografia di un ponte di città. The Man That Got Away, infine, è il musical sulla vita di zio Jimmy: dalle ambizioni della giovinezza alle asperità dell’età adulta, giungendo infine al tragico epilogo.
BRAIN & SEXY
In “Brain & Sexy”, il salotto di Diego e La Pina dedicato al mondo letterario, hanno parlato di TABU’ (di ieri e di oggi) Alessandro Fullin (Ho molto tempo dopo di te, Kowalski), Paolo Rossi Marcello (Hello Daddy!, Mondadori), Francesco Belais (L’occasione fa l’uomo laico), Elmi’s World) Stefano Paolo Giussani (L’ultima onda del lago, Bellavite). Vedi video.
(Video e immagini a cura di R. Mariella e A. Schiavone)
IMMAGINI DAL FESTIVAL