IL FESTIVAL DI TORINO PROMUOVE LA PRIMA "GIORNATA DEL SILENZIO" IN ITALIA

sulla lotta al bullismo omofobico che mette a rischio la vita di tanti giovani. Tanti corti splendidi fanno da cornice a bellissimi film come August e Weekend.

VIDEO SULL’ EVENTO SPECIALE “BULLISMO, AL CENTRO DEL BERSAGLIO”

(video di Antonio Schiavone)

Intensissima prima giornata di proiezioni al Festival GLBT di Torino che, nonostante la giornata lavorativa, presentava lunghe file all’ingresso di quasi ogni proiezione, con il recordo ottenuto dall’attesissimo “Weekend“, film gay più premiato dell’anno, che ha dovuto scontentare metà delle persone in coda perchè la sala era stracolma. Avrebbero dovuto assegnargli una sala più grande, ma siccome il film, già presentato in Italia da altri Festival (ha vinto alla prima edizione del festival gay di Bari), non poteva essere messo in concorso, ha dovuto accontentarsi di una sala minore. A breve il film dovrebbe comunque essere disponibile coi sottotitoli in una distribuzione italiana.

Tra gli eventi della giornata l’encomiabile iniziativa del Festival che per la prima volta in Italia ha dato risalto alla Giornata del Silenzio che da 16 anni viene indetta in tutto il mondo dalla Gay, Lesbian and Straight Education Network (GLSEN) per sottolineare la necessità della lotta contro il bullismo omofobico nelle scuole. L’iniziativa è nata 16 anni fa nella University of Virginia, e fino ad oggi è stata adottata da oltre 50 Stati in tutto il mondo (da quest’anno anche il nostro). Il Festival ha invitato, tramite le associazioni Egma e Network, Daryl Presgraves, rappresentante della GLSEN, che ha illustrato il significato e l’importanza dell’iniziativa anche per cercare di fermare l’ondata di suicidi in corso negli USA e in altre parti del mondo.

E’ seguita subito dopo la proiezione dell’efficacissimo corto “Man in the Mirror” del famoso regista gay Joel Schumacher (Batman Forever, In linea con l’assassino, Un giorno di ordinaria follia, Flawless) che ci racconta la paura di dichiararsi in una scuola dove il machismo è d’obbligo, con le tremende conseguenze che può indurre. La mano del grande regista è subito riconoscibile per la capacità, in poche scene, di trasmetterci il forte dramma interiore del protagonista, uno degli studenti più invidiati della scuola, con la fidanzata più bella e gli amici più ganzi, che si ritrova invece attratto dall’unico studente gay dichiarato, sbeffeggiato e picchiato dal bullo di torno. Il breve film si chiude nel momento più drammatico e violento della storia, davanti alla necessità di una difficile ma improcrastinabile scelta. Applauditissimo.

PRIVATE ROMEO di Alan Brown

Voto: 8/10

Poteva essere una scommessa persa sin dall’inizio, quella di trasformare la famosa tragedia di Shakespeare in una rappresentazione cinematografica minimale, tutta all’interno di una scuola militare, con soli otto cadetti che si assegnano i principali ruoli dell’immortale Giulietta e Romeo, e con il rischio di cadere nel teatro filmato. Invece, grazie alle splendide interpretazioni, ad un montaggio dinamico e, soprattutto alla nuova lettura omosessuale del dramma, ottenuta rispettando quasi sempre il testo originario, ma mettendo in scena una intensissima storia d’amore gay e un linguaggio del corpo che si aggiunge alla potenza delle parole, il risultanto è sorprendente, tanto da guadagnarsi un lungo applauso del pubblico alla fine del film. In alcuni momenti è molto efficace anche la lettura omofobica che viene aggiunta alla vicenda, utilizzando in parte l’antagonismo tra Capuleti e Montecchi, ma anche l’atteggiamento machista e omofobico di alcuni cadetti. Impossibile dimenticare i momenti del primo bacio, la scoperta dell’amore impossibile e la passione dirompente che si scatena tra i due innamorati, a letto e fuori.

WEEKEND di Andrew Haigh

Voto: 9/10

Film più premiato dell’anno, diventato l’emblema del nuovo cinema queer, ma apprezzato anche fuori dal circuito gay. Anche questo film poteva essere una difficile scommessa, basandosi quasi completamente sul fitto dialogo che coinvolge i due protagonisti, quasi sempre chiusi in un piccolo appartamento dove scopano e, per riprendersi, si scavano nell’anima. Invece il film è un mirabile ritratto, esaustivo e coinvolgente, della nostra contemporaneità. Formidabile la capacità dell’autore, Andrew Haigh (Greek Pete), di inserire in una vicenda di due giorni, momenti di alta drammaticità basati solo sulle aspettative e sulle riflessioni intellettuali dei due protagonisti, che si trovano improvvisamente costretti a fare un bilancio delle rispettive vite, passate e presenti, nel tentativo di riconciliarle col loro futuro. Anche questo film, come il precedente, ci racconta la nascita di una passione travolgente, ma questa volta con protagonista l’uomo qualunque, o meglio, l’omosessuale qualunque, quello con cui parliamo ogni giorno, quello che ci racconta la sua ultima avventura in sauna, le sue delusioni, la sua rassegnazione, le sue paure ad allargare il cerchio del coming out, ad uscire dal gruppo, ecc. Ma cosa succede invece quando, per caso, s’incontra la persona giusta? Quando alla fine di una scopata nasce il desiderio di parlarsi, di raccontarsi, di conoscersi? Quando ci potremmo trovare davanti ad una svolta definitiva nella nostra vita, senza possedere le armi necessarie per fare le scelte giuste, per cambiare e per cambiarci? Un film che vuole farci conoscere quanto possa essere dirompente la forza dell’amore, quell’amore che potrebbe essere alla portata di tutti ma che tanti non hanno la forza (o meglio la volontà) di trattenere. Perchè? Il film risponde in modo quasi perfetto a questa difficilissima domanda! Da vedere e rivedere.

I PRIMI CORTOMETRAGGI IN CONCORSO

Difficile dare una scala di merito agli eventi cinematografici della giornata, proprio per la presenza di alcune opere eccelse come quelle sopra raccontate, eppure noi ci sentiamo di dare la palma d’oro della giornata proprio alla serie dei cortometraggi che abbiamo visto nel pomeriggio, i primi inn concorso.

TELL ME A MEMORY di Jon Bryant Crawford

voto: 9/10

In pochissimi minuti, quasi in una scena sola, ci troviamo alla fine di una lunga storia d’amore tra due uomini, uno dei quali molto anziano, è vittima dell’alzheimer e per questo ricoverato in casa di cura, mentre il suo compagno va ogni giorno a trovarlo, portandogli qualcosa, piccoli regali per recuperare la memoria di un passato felice ma anche tormentato. Difficile trovare una manifestazione d’amore ancora così intensa e viva dopo un’intera vita, e davanti ad una sofferenza che apparentemente tende a negare tutto il passato. Un amore che si trasforma in un intenso dolore per la consapevolezza che, in modo diverso, viene percepita ancora da entrambi, nonostante la difficoltà di comunicare. Come dire che nemmeno l’alzheimer più tremendo riuscirà mai a cancellare la loro grande storia d’amore, che ancora prosegue, e che ancora deve lottare come un tempo (uno era stato sposato) per sopravvivere. Della serie colpire al cuore.

STITCHES di Adiya Imri Orr

voto: 8/10

Una storia d’amore lesbico assolutamente nuova e sorprendente. Una lesbica in coppia arriva a partorire il suo primo figlio (il secondo sarà compito della compagna), superando momenti che hanno messo a rischio la sua stessa vita. La compagna esce da questa vicenda ancora più sconvolta della partoriente. Il loro amore è totale e proprio per questo è stato terribile per la compagna trovarsi davanti ad una equipe medica che, ad un certo momento, aveva scelto di dedicarsi più alla salvezza del nascituro che a quella della madre (forse perchè lesbica? Questo è il dubbio). Adesso il bimbo c’è e sta bene come la madre. Ma il prezzo che hanno dovuto pagare entrambe è stato altissimo. Il sospetto di essere state discriminate perchè lesbiche provoca nella compagna una reazione quasi insostenibile. Bellissime le scene di quando ripete il coming out con tutti, provocatoriamente, mentre la compagna si trova costretta a dover sopportare una nuova e inattesa sofferenza. Ma è la sofferenza dell’amore, implicita nella sua stessa definizione. Il finale dirompente lascia il segno.

TIME OUT di Rikhil Bahadur

voto: 8/10

Una famiglia di origine indiana nell’Inghilterra di oggi. Il figlio maggiore è un bel ragazzo, con una bella fidanzata e campione di basket adorato dagli amici e dal fratellino minore che sta muovendo i primi passi alla scoperta del sesso (e chiede a tutti come si fa a scoprire quando si è innamorati di una ragazza). Sono immigrati perfettamente inseriti e orgogliosi del loro successo. Accade però che il fratellino scopra il maggiore, tanto adorato, a letto nudo con un amico. Come reagire a questa cosa che potrebbe distruggere tutto? Come riuscire a tenerla segreta? Ma soprattutto come trovare la capacità di guardare in faccia la persona che prima amavi e rispettavi più di tutte? Scene veloci e toccanti, a tavola coi genitori che vorrebbero capire cosa è successo, con gli amici, con la fidanzata del fratello ignara di tutto, davanti al campo da gioco, ecc. Il tormento del giovane è palpabile, la soluzione difficile da trovare, ma alla fine arriva ed è esaltante! E strappa un applauso scrosciante dal pubblico in sala.

I CAN HEAR YOU di Park Joo-young

voto 8/10

Un ragazzo sordomuto s’innamora di una giovane prostituta solo guardandola e spiandola da lontano. E’ un amore etero così intenso che a lui, sordo, sembra di sentire gli uccelli cantare ogni volta che la guarda. Il suo amore si trasforma in angoscia quando la vede picchiare e insultare dal suo protettore. Tenta invano di difenderla, venendo a sua volta colpito e buttato a terra. Ma il colpo peggiore lo riceve quando alla ragazza cade la parrucca e scopre che si tratta di un uomo, di un trans. Scappa e resta solo col suo profondo dolore. Non potrà più sentire il canto degli uccelli? Ma l’amore quando è vero e profondo non conosce ostacoli. Quello che sarà capace di fare il giovane e indifeso sordomuto ci lascerà stupefatti… Una storia originale che ci mette davanti a due personaggi, un sordomuto e un trans, che vivono situazioni difficili e pericolose dove anche i sentimenti più profondi sono messi a dura prova.

TSUYAKO di Mitsuyo Miyazaki

voto 9/10

Un corto che è più di un film, col passato che riemerge e il presente che finalmente si presenta con un nuovo volto. Ci troviamo nel giappone post bellico, tutto preso dalla ricostruzione, dove tutti lavorano e cercano di costruire un nuovo futuro. Anche le giovani fanciulle hanno trovato un posto in fabbrica e un marito che deve dare figli maschi alla Patria. E’ successo così anche alla nostra giovane protagonista che si ritrova già con due pargoli da accudire negli intervalli di sosta del lavoro in fabbrica. Altri tempi, per fortuna! Succede però che arriva improvvisamente a trovarla una sua vecchia amica, una bellissima ragazza, probabilmente di un ceto più privilegiato, in procinto di partire per Osaka dove l’attenda una brillante carriera. Le due ragazze sono state amanti, e nell’unica notte che possono trascorrere insieme, tutta la loro passione riemerge. L’amica ad un certo punto la supplica di abbandonare tutto e seguirla nella grande città dove l’attende una nuova e felice vita insieme. Non vogliamo raccontarvi il seguito perchè, ripetiamo, questo corto ha tutte le qualità e la ricchezza espressiva di un vero film.

(G. Mangiarotti)

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INCONTRO ALL’UNIVERSITA’ DI TORINO ORGANIZZATO DAL FESTIVAL

Fabio Canino, insieme al selezionatore del Festival Angelo Acerbi ed ai docenti Paola Pallavicini e Franco Prono, ha incontrato gli studenti dell’Università Statale di Torino. Incontro davvero molto interessante e divertente, al quale purtroppo non hanno assistito molti studenti (e ci sarebbe da chiedersi il perché, pur essendo stato l’evento ampiamente pubblicizzato).
L’incontro aveva come soggetto il Festival GLBT di Torino e i rapporti tra cinema e televisione riguardo alle tematiche GLBT. Dopo l’intervento di Acerbi sulla storia del Festival, Canino è entrato nel vivo parlando su temi scottanti, come l’attuale sfascio del nostro sistema televisivo, visto attraverso la crescente omofobia dei suoi dirigenti. E questo nonostante il crescente successo tra il pubblico anche giovanissimo di serie televisive (soprattutto straniere) con personaggi gay.
Canino, raccontando la sua esperienza personale (‘Cronache Marziane‘ su Mediaset), ha ribadito più volte il concetto che quello che dà davvero fastidio ai dirigenti televisivi, non è tanto la presenza di temi e personaggi gay in trasmissione (basta che facciano solo gli ospiti, che siano coreografici e non facciano paura sembrando troppo normali), ma che con loro ci sia un conduttore gay, che viene visto come non obiettivo, e complice dei fatti raccontati. Per cui pur essendoci tanti collaboratori gay nelle trasmissioni TV, questi devono impegnarsi a non dirlo.
Canino ha anche dedicato ampio spazio all’importante e purtroppo breve e unica esperienza di ‘GAY TV’, prima televisione via satellite al mondo interamente gay, tecnologicamente avanzatissima, e incredibilmente italiana, in cui Canino ha avuto un ruolo centrale. Televisione che poi ha chiuso, non perché avesse pochi ascolti, ma per mancanza di inserzionisti.

CORTOMETRAGGI BRASILIANI

Nel pomeriggio è stata proiettata una bellissima rassegna di corti brasiliani. Ognuno molto diverso dagli altri, ma tutti accomunati da una grande forza espressiva, tutti molto caldi, colorati, istintivi e con protagonisti molto fisici e spinti da incomprimibili passioni. Si va dalla parrucchiera che assassina per gelosia in ‘Jiboa‘, al fratello minore in una famiglia molto proletaria e omofoba, che riceve la inaspettata e gradita avance di un amico del fratello in ‘Assunto de Familia‘. All’anziana signora che si inventa una vita immaginaria per fare avance ad una compagna del corso di Acqua Gymn in ‘Tres vezes por semana‘ . Un uomo che si risveglia a letto con un trans senza ricordare perché, se ne innamora e scopre che è anche brava a giocare a calcio in ‘Mascara Negra‘. La silenziosa fine della storia d’amore tra due giovani e sensuali gay in ‘Dialogo‘. E infine un’altra trans che diventa assassina per legittima difesa in ‘Joelma‘.

AUGUST di Eldar Rapaport

voto: 8/10

Alla proiezione del film AUGUST erano presenti in sala il regista Eldar Rapaport e l’attore protagonista Murray Bartlett. Il regista ha ricordato che August è nato nel 2004 come cortometraggio (Postmortem), ed è diventato un lungometraggio nel 2010, dopo un lungo lavoro anche con Murrey.
August è un film di emozioni e sentimenti, e tratta di persone imperfette che fanno cose imperfette, e il tema principale sono le cose non dette. Il regista voleva mostrare la complessità dei sentimenti, tutti noi commettiamo errori, ma questa è la vita.
All’inizio Rapaport aveva pensato di fare un film molto più semplice, poi però ha preferito utilizzare tecniche e design più sofisticati e una colonna sonora molto curata, per ottenere un film bello esteticamente.
Il film è stato una produzione indipendente e non è stato facile trovare i finanziamenti.
Rapaport ha appena finito di girare un altro film in Galles e ora lo promuoverà nei vari festival. Poi vorrebbe tornare negli Stati Uniti, paese da cui manca da venti anni, e girare qualcosa in quel paese.

August, ha in fondo una trama molto esile. Il trentenne Jonathan rischia di mandare a puttane il rapporto con il suo stupendo e bravissimo compagno attuale Raul, con cui vive a Los Angeles, quando si rifà vivo dalla Spagna il suo compagno precedente, Troy (nome che suona azzeccato all’orecchio italiano), che qualche anno prima lo aveva scaricato senza troppe cerimonie. Troy, più adulto di Jonathan, ma altrettanto immaturo, pur avendo anch’egli una relazione in corso, di punto in bianco si mette in testa che tutto può tornare come prima, come se niente fosse. Raul sopporta in silenzio, poi tutti i nodi vengono al pettine. Durante la festa di compleanno di Jonathan, prima i due suoi fidanzati si scontrano tra loro poi, complice la droga, tutti e tre finiscono a letto insieme. Con un risveglio amaro ma salutare.
Alla miseria dei sentimenti raccontati, fa da contraltare una confezione patinatissima, con generose esposizioni di bei corpi e scene di sesso, con bellissime immagini, luci e musiche.

(R. Mariella)

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CORTOMETRAGGI LESBICI

A ARTE DE ANDAR PELAS RUAS DE BRASILIA

voto: 5/10

Ana e Carlota sono compagne di scuola e amiche inseparabili. Insieme vivono le loro prime esperienze, dalla prima sigaretta alla prima birra e nulla sembra poter scalfire la loro amicizia che, come ogni adolescente, pensano che durerà per sempre. Crescendo tuttavia cominciano ad attirare l’attenzione dei ragazzi e così Carlota comincia a frequentarne uno. Vistasi scemare l’esclusività che caratterizzava il loro rapporto, Ana si arrabbia con l’amica e bacia a sua volta un ragazzo, con l’intento di farle un dispetto.
Un film tenero, in cui il sentimento è appena sussurrato allo spettatore, data la giovane età delle protagoniste, che probabilmente impedisce loro di lasciarsi andare e vivere il loro rapporto. Diciotto minuti in cui si torna tutti un po’ indietro, ai primi momenti di scoperta di sé e di incontro con l’altro.

CHLOE LIKES OLIVIA

voto: 6/10

Chloe e Olivia si conoscono in un bar e la scintilla non tarda a scoccare. Ci vuole poco perché Olivia inviti l’altra donna a casa sua, dando l’impressione di essere particolarmente interessata a lei. In realtà però, una volta arrivate nell’appartamento, ad attenderle c’è la compagna di Olivia, che propone alla giovane preda una serata all’insegna della trasgressione e del sadomaso. Chloe, sebbene intimidita, decide di restare, spinta probabilmente dal forte interesse che prova nei confronti di Olivia. Ma cosa succede se il gioco va oltre? Siamo tutti in grado di superare i nostri limiti?
Un cortometraggio con un buon contenuto erotico, considerata la sua durata (19 minuti), e a tratti anche irriverente e divertente, che sembra suggerirci che il desiderio di trasgressione sentito da molti in realtà è più conforme di quanto si possa pensare.

YOU’RE CORDIALLY UNINVITED

voto: 6/10

Una storia di coming out, che vede come protagoniste Rose e Lisa, fidanzate e prossime alle nozze. C’è solo una cosa da fare prima del matrimonio: dirlo alla mamma! Ma la paura sembra prendere il sopravvento su Rose, che decide, d’accordo con la compagna, di chiedere ad un loro amico, compagno di bevute, di fingere di essere il suo findanzato Jeff in occasione della festa di fidanzamento, alla quale avrebbe partecipato anche la sua famiglia. La mamma di Rose tuttavia non mangia la foglia e dopo un po’ decide di lasciare la festa con il resto della famiglia. Ma vorrà davvero perdersi il matrimonio della sua unica figlia?
Dodici minuti in cui lo spettatore ha giusto il tempo di famigliarizzare con i personaggi e il loro modo di gestire una situazione complicata, in cui si ha modo sia di riflettere che di divertirsi, perché, alla fine, ci siamo passati tutti.

CHUPACHUPS

voto: 6/10

Siamo in Corea del Sud, dove gli amori omosessuali quasi non si possono confessare neanche a se stessi. Infatti le due protagoniste, palesemente innamorate l’una dell’altra, si costringono a fare scelte di vita che le porteranno a prendere strade diverse. Una di loro porterà avanti l’impresa famigliare, sedimentandosi nel piccolo paese dove entrambe sono nate e cresciute, l’altra invece intraprende la carriera di ufficiale di polizia e decide inoltre di sposarsi. Quest’ultima torna in paese proprio per invitare l’amica al suo matrimonio, invito però prontamente rifiutato. Soltanto alla fine le due riescono a sussurrarsi il sentimento che provano, ma forse è già troppo tardi.
Un cortometraggio molto delicato, che ci avvicina ad una cultura molto distante da noi per quanto riguarda usi e costumi e allo stesso tempo prossima, quasi contigua nei sentimenti. Molto brave le due protagoniste, che riescono a trasmettere il desiderio che provano pur senza neanche avvicinarsi l’una all’altra.

BRAIDS ON A BALD HEAD

voto: 6/10

Hauwa pensa che essere la moglie di un uomo scortese e maschilista sia il massimo della felicità a cui possa aspirare nella vita. Hauwa non pensa che una donna possa innamorarsi di un’altra donna. In Nigeria quasi tutti la pensano come lei. Tutti tranne la sua nuova vicina di casa, che con discrezione tenta i primi approcci nei confronti di Hauwa. Quest’ultima ne resta piacevolmente sorpresa quanto spaventata, probabilmente perché sente a sua volta una forte attrazione. Riuscirà a lasciarsi andare o l’omofobia spezzerà sul nascere anche questo rapporto?
Cortometraggio molto interessante e anche molto realistico sia nel montaggio che nei dialoghi.

KOMMT MAUSI RAUS?!

voto: 7/10

Mausi, una ragazza di vent’anni nata e cresciuta in un piccolo paese della Westfalia, decide di lasciare il nido in cerca di libertà e indipendenza e si trasferisce ad Amburgo. Qui non incontra molte difficoltà nell’ambientarsi. Consapevole, infatti, della propria omosessualità, comincia a frequentare un locale lesbico, dove conosce Jo, una ragazza alquanto disinibita che la aiuta a uscire dal suo guscio. Mausi cambia taglio di capelli e trova lavoro quando nella sua vita entra Jumiko. Tra le due è amore a prima vista, ma Mausi ha ancora qualche scheletro nell’armadio e non riesce a vivere apertamente la sua storia. Spinta e supportata dalla sua compagna, la ragazza decide di tornare in paese dopo sei mesi di assenza, con l’intento principale di dire a sua madre della propria omosessualità. Quest’ultima sembra preoccuparsi di più del fatto che sua figlia sia vegetariana, così Mausi prende coraggio e dice di sé anche alla sua migliore amica Sonja, la quale però funge da cassa di risonanza. Nel giro di un pomeriggio tutto il paese sa di Mausi ed è un continuo parlottare e sogghignare. Delusa dai propri compaesani, ma forte dell’appoggio della madre, Mausi torna ad Amburgo, dove riesce finalmente a vivere con tranquillità e disinvoltura la sua relazione con Jumiko.
Una storia di outing raccontata con quella delicata forza che è in grado di frantumare anche le rocce.

VERONA

voto: 7/10

La trama e i dialoghi del “Romeo e Giulietta” di Shakespeare fanno da sfondo alla storia d’amore tra Xan e Brandon, due rugbisti e membri di confraternite contrapposte all’interno di un campus universitario. Xan è disinibito e sicuro di sé, incurante del giudizio degli altri e spavaldo quanto basta. Brandon, al contrario, sta insieme ad una ragazza e cerca di reprimere le proprie pulsioni, nel timore che qualcuno possa scoprirlo. Cosa potrebbe succedere se qualcuno sbattesse sulle prime pagine del giornale scolastico la loro tresca? Per alcuni l’omosessualità è un fardello troppo pesante.
Rivisitazione molto audace dell’opera shakespeariana, “Verona” più che attualizzare la storia di Romeo e Giulietta, ovviamente in chiave gay, la colloca in un universo parallelo, rinunciando così al presupposto di verosimiglianza per lasciare spazio alla bellezza e alla prestanza dei protagonisti.

V-ICTORY

voto: 8/10

Nel 2008, La7 sdogana il tema di omosessualità e sport in Italia: per la prima volta, nel programma di approfondimento sportivo V-Ictory, condotto da Paolo Colombo, si ammette che il mondo dello sport e quello omosessuale non sono due universi paralleli che non si incontreranno mai. Le difficoltà di messa in onda non sono poche, dall’ora tarda (il programma va in onda in terza serata) alla penuria di interviste raccimolate. Viene ricordato Justin Fashanu, primo calciatore a dichiararsi omosessuale, atto di coraggio pagato con la vita. Rilascia inoltre la propria testimonianza Marcus Urban, ex calciatore della Bundesliga che dopo anni di repressione ha deciso di fare outing e lasciare il mondo del calcio. Ai microfoni di V-Ictory parlano anche giocatori importanti come Luca Toni, Hernan Crespo, Christian Maggio, Demetrio Albertini, Paolo Rossi, tutti in modo molto rilassato, sebbene nessuno ammetta o ricordi di aver avuto compagni di squadra gay. Gli unici ad esprimersi in modo negativo nei confronti degli omosessuali sono Zbigniew Boniek e Luciano Moggi. Dopo una breve parentesi sul rugby, sul tennis femminile e sull’ex pugile Emile Griffith, il programma segue i King Kickers, squadra di calcio milanese composta esclusivamente da omosessuali, agli Euro Games di Barcellona, manifestazione sportiva riservata a gay e lesbiche. Il programma, ovviamente, resta a corto di rivelazioni shock, ma intervista due ragazzi che dichiarano di essere stati insieme ad alcuni calciatori importanti di serie A, chiaramente senza fare nomi. Vero o no, sembra quasi impossibile che in un mondo così ampio e variegato come quello dello sport l’omosessualità sia completamente assente. La verità, probabilmente, è che c’è ancora troppa paura di compromettere la propria carriera in seguito a una rivelazione del genere. Quanto meno si è cominciato a parlarne. E con il 10% di share, cifra altissima se si considera la terza serata, V-Ictory ha dimostrato che c’è molto interesse e tanta curiosità.

TRIGGER

voto: 7/10

Vic e Kat negli anni Novanta hanno riscosso un discreto successo come leader della rock band Trigger. Il rovescio della medaglia di quel periodo è rappresentato da alcol e droga. La prima infatti entra nel tunnel della tossicodipendenza, mentre l’altra precipita nel vortice dell’alcolismo. A questo punto le strade delle due giovani donne, legate da un sentimento che per certi versi oltrepassa i confini della semplice amicizia, si dividono. Entrambe intraprendono un percorso di purificazione, ma Kat si trasferisce e diventa tecnico del suono, mentre Vic continua a comporre musica nella speranza di avere successo restando pulita. Passano così dieci anni quando, in occasione di un concerto tributo per le Trigger, le due donne si ritrovano, proprio lì dove si erano lasciate, tra dissapori e recriminazioni. Le due ci mettono un bel po’ a sfogarsi, a dirsi quello che sentono e quello che hanno vissuto. E probabilmente ad unirle è un sentimento diverso sia dall’amicizia che dall’amore o che forse ha un po’ di entrambi. Riusciranno a chiarirsi e a far pace con i loro demoni?
Grande interpretazione da parte delle due protagoniste, che si calano perfettamente nella parte, e pregevole la colonna sonora rock che rende il film ancora più vivo. Più che una storia d’amore, “Trigger” è un film sulla dipendenza e sulla lotta per vincerla. Forse un po’ carente a livello di trama, malgrado il titolo “Trigger” risulta essere un film decisamente poco avvincente.

PHOTOS OF ANGIE

voto: 9/10

Colorado, estate 2008, Angie Zapata, diciotto anni, viene trovata morta nel suo appartamento, uccisa da un ragazzo conosciuto su internet perché transessuale. Angie infatti in realtà all’anagrafe risulta come Justin Zapata, ma fin da bambina si è sentita fuori luogo nel suo corpo maschile. Dopo il coming out in tenera età, Justin ha cominciato a farsi chiamare da tutti Angie, ed ha iniziato a indossare abiti femminili e portare i capelli lunghi. Non ha mai fatto segreto però della propria identità, nemmeno nei confronti di Andrade, il suo aguzzino. Dalle indagini emerge che i due hanno trascorso diversi giorni insieme e l’uomo viene inchiodato sulla scena del crimine dalle numerose tracce di DNA rinvenute su un vibratore accanto al letto della giovane. Il processo dura solo cinque giorni e la giuria ci mette solo due ore a pronunciarsi: Andrade è colpevole per ogni capo d’accusa e viene condannato all’ergastolo per omicidio di primo grado. Ciò che di storico ha questa sentenza è il fatto che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti è stata applicata la legge statale che punisce i crimini d’odio a danno di un transessuale. Ci sono voluti quasi quindici anni perché negli USA venisse approvato l’emendamento che considera il movente del pregiudizio come un aggravante del crimine commesso.
“Photos of Angie” ripercorre la vita e soprattutto la morte di Angie Zapata, attraverso le parole della sua famiglia e dei professionisti che hanno seguito e sostenuto la sua causa. Un documentario a tratti anche crudo, come quando, in un’intercettazione telefonica, Andrade dichiara che “All gay things need to die” (“Tutte le cose gay devono morire”), ma che sicuramente apre gli occhi e rende giustiza ad Angie e a chi, come lei, è morto per la sola colpa di essere stato se stesso. Una realtà difficile da accettare e ancor più difficile da cambiare. Ma forse qualcosa, dopo l’approvazione e l’applicazione di questo storico emendamento, comincia finalmente a muoversi.

I AM

voto: 8/10

Sonali Gulati è una regista lesbica indiana, che per poter essere se stessa si è trasferita negli Stati Uniti. Quando sua madre, rimasta a Delhi, viene a mancare, Sonali decide di tornare in India e di girare un documentario sul coming out e sulla vita da omosessuali nel contesto indiano. La vera motivazione che la spinge ad intraprendere questa impresa è però il rimpianto di non aver detto di sé a sua madre prima che morisse. Così, indagando le storie degli altri, cerca di immaginarsi come sua mamma avrebbe potuto reagire. Sonali resta senza risposta, ma ci consegna un ottimo documento sull’essere gay e lesbiche in India. Come ci si può aspettare, la vita non è facile per gli omosessuali indiani. Tuttavia le famiglie degli intervistati, per la maggior parte, reagiscono meglio di quanto si possa credere. Sembra paradossale, ma probabilmente è proprio la religione ad aiutare queste famiglie, che vivono l’omosessualità del proprio caro come un destino voluto da Dio e quindi semplicemente da accettare. Combattere affinché la Proposition 377 del Codice Penale Indiano, che rende punibile l’omosessualità, venga abolita probabilmente non sanerà le ferite di Sonali, ma forse le darà almeno un po’ di pace.

(G. Borghesi)

IMMAGINI DELLA GIORNATA

Mitsuyo Miyazaki e Alessandro Golinelli
Mitsuyo Miyazak
Mitsuyo Miyazak
Angelo Acerbi
Daryl Presgraves (di GLSEN)
 
Angelo Caltagirone
Fabio Bo
Fabio Canino e Angelo Acerbi
Fabio canino
Paola Pallavicini, Canino e Acerbi
Paola Pallavicini
Franco Prono
 
Eldar Rapaport, Murray Bartlett
 
 
 
 
 
 

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