Questo film, «Shame», ha l’assoluto merito di confermare Michael Fassbender, premiato a Venezia, come uno degli attori più intensi e profondi del momento. Non è particolarmente bello, adesso dopo la cura dimagrante che gli ha fatto perdere 30 chili per recitare in “Hunger” (con lo stesso regista, ma lui nelle varie interviste, ci assicura che non sono sposati) è fin troppo snello (giustamente la madre, dopo aver visto il film, lo ha pregato di mangiare di più), ma sul suo viso si possono leggere in ogni momento i diversi stati d’animo, le paure o le gioie, e in questo film soprattutto l’angoscia e la solitudine. Il film non ci racconta molto del suo passato, ma sicuramente non deve essere stato dei migliori. Nel momento in cui ci appare sullo schermo, completamente nudo (ma per pochi secondi, giusto il tempo di farci notare quanto sia dotato), comprendiamo subito che vive solo, che il suo passatempo preferito è quello di masturbarsi, che non ha e non vuole avere legami famigliari, nemmeno con la sorella che lo tempesta di chiamate che vengono sempre rifiutate.
Il regista fa di tutto per presentarcelo come una persona ‘malata’ di sesso. Con le donne ha rapporti sessuali occasionali, le trova facilmente perchè sembra un esperto di battuage (in metro gli bastano due occhiate per catturare la sua preda), ma usa volentieri anche il sesso a pagamento. Una battuta e via. Per noi è stato facile identificarlo con lo stile di vita di tanti omosessuali, soprattutto di quelli cresciuti negli anni in cui le alternative erano difficili. Noi non ci scandalizziamo, ma il regista e forse la maggioranza delle persone potrebbero non essere d’accordo con noi.
Su tutto il film, a nostro giudizio, aleggia una pesante cappa moralistica, ben evidenziata anche dal titolo stesso del film, ‘vergogna’ e confermato dalle parole di McQueen che spiega “quando abbiamo consultato alcune persone sesso-dipendenti ‘vergogna’ era la parola che emergeva di più, ad indicare il senso di colpa che prende chi si trova a vivere questa situazione“. McQueen, sempre nelle interviste, rincara ancora la sua visione moralistica arrivando a spiegare che il suo protagonista rappresenta “un uomo troppo libero. Uno che può fare tutto. E la troppa libertà di oggi è in fondo la nostra prigione“.
Nel film assistiamo quindi ad un crescendo di sesso sfrenato (perfino sul lavoro, al computer o nei cessi) e per confermarci la negatività del personaggio arriva anche una buona samaritana che vorrebbe invece un po’ d’amore, cosa che manda addirittura in disgrazia il nostro assatanato protagonista. Ma nemmeno le cattive maniere, cioè un tremendo pestaggio, servono ad insegnarli un po’ di moralità. Anzi, questo è il momento in cui viene fuori quanto di peggio possa esserci. Accompagnato da una musica in crescendo esageratamente drammatica, lo vediamo adocchiare un uomo appoggiato con la schiena ad un muro nella classica posizione di chi cerca compagnia, poi dopo che questo tipo entra in un cruising, lui lo insegue nei cunicoli del locale mentre a destra e a sinistra assistiamo a estreme performance sessuali, degne dei più bassi gironi infernali (secondo il regista naturalmente). Arriviamo quindi all’apice della perdizione (o dannazione) con l’incontro tra i due. Poi la musica torna su ritmi accettabili con un incontro a tre, cioè con due donne che naturalmente devono anche lesbicare.
Ma il nostro disgraziato sessuomane, ci vuole dimostrare il regista, non sta facendo solo del male a se stesso, sta mettendo anche a rischio la vita della sorella, interpretata da una fantastica Carey Mulligan, personaggio che più dolce e sfortunato di questo non si poteva trovare. Lei, al contrario del fratello, è capace d’amare e di soffrire terribilmente quando viene abbandonata. Lui invece non vuole saperne d’amare, proprio nessuno, nemmeno la sorella che continua a chiedere il suo aiuto.
Ma il castigo arriverà, sarà terribile ma forse taumaturgico. Così si conclude il film, che potrebbe essere visto come una parabola evangelica.
Il film, sia chiaro, ha un suo stile, è molto ben fatto ed interpretato, ed è rivolto soprattutto ad un pubblico cinefilo. In America il film ha ottenuto la stessa valutazione dei film porno, mentre da noi, molto più ragionevolemnte, è solo vietato ai minori di 14 anni (le scene di nudo sono poche e brevi, al contrario di quanto dice certa indiretta pubblicità). A noi dispiace solo che il film si fermi a moraleggiare sulla condizione in cui si trova il protagonista senza darcene una ragione, una spiegazione. Così il male sembra identificarsi col sesso, che addirittura precluderebbe di per sé all’amore. Senza nessuna giustificazione. Una tesi per noi insostenibile.