Clint Eastwood, soprattutto nei suoi ultimi film (“Gran Torino” è uno dei più bei film contro il razzismo. “Million Dollar baby” sposa in pieno il femminismo), sembra volersi togliere di dosso l’ideologia repubblicana e conservatrice con la quale per tanto tempo è stato identificato. Aveva già affrontato temi sessuali come la pedofilia nello splendido “Mystic River” ed anche l’omosessualità nel sottovalutato “Mezzanotte nel giardino del bene e del male”, che però restava sulla sfondo della vicenda. Ora, con questo impegnativo “J. Edgar”, affronta di petto il problema dell’identità sessuale, avvalendosi anche di uno sceneggiatore gay, Dustin Lance Black, già premiato con l’Oscar per “Milk”. Per farlo ci racconta la vita un personaggio, John Edgar Hoover, fondatore dell’FBI, che in America è quasi venerato e nello stesso tempo (colpevolmente) misconosciuto per le tante ombre sulla sua vita privata.
Il film parte apparentemente come una biografia che lo stesso Hoover (un grandissimo DiCaprio), ormai 77enne, detta ad un giovane agente. Scopriremo poi che molte cose da lui ricordate non corrispondono alla verità dei fatti, ma servono ad esaltare la sua figura egocentrica. La sceneggiatura utilizza per questo una biografia scritta da Hoover poco prima di morire. Quello che però interessa maggiormente agli autori, come ha dichiaro lo stesso Eastwood, non è tanto di raccontare una serie di eventi che hanno riempito le cronache e le pagine politiche dei giornali di mezzo mondo per quasi mezzo secolo, quanto piuttosto quello di farci conoscere il dramma interiore vissuto e sofferto dal protagonista. Che era omosessuale ma viveva in un’epoca in cui nessuno, soprattutto se aveva responsabilità istituzionali, poteva dichiararsi. Che amava oltremisura una madre (tipico di molti gay) che nei momenti più difficili sapeva solo dirgli che preferiva avere un figlio morto piuttosto che un figlio finocchio. Che s’innamora a prima vista di un bel giovane (stupenda la scena di quando lo convoca per la prima volta nel suo ufficio e vediamo la sua faccia sudare e le mani tremare) che gli era stato presentato come un uomo “che non aveva nessun interesse verso le donne”, che quindi è sicuramente omosessuale, ma al quale non può assolutamente rivelarsi, sia per il suo ruolo di capo del Dipartimento di Giustizia, sia perchè lui stesso non vuole accettarsi come gay.
Il film, che da questo punto di vista appartiene forse più allo sceneggiatore gay Dustin Lance Black che al regista Clint Eastwood, è soprattutto una profonda indagine su come poteva essere la vita di un omosessuale con alte responsabilità di potere (ha guidato l’FBI dal 1924 fino alla sua morte avvenuta nel 1977, tenendo in scacco ben otto presidenti USA), obbligato dalle circostanze e dalla sua stessa ideologia a tenere completamente segreta la sua identità e i suoi veri sentimenti. Perfino all’amatissima madre. Il risultato è che ci troviamo di fronte ad un personaggio fortemente complessato, tormentato, paranoico, in cerca di potere e affermazione per compensare in qualche modo le sue frustrazioni personali. Come accade in molti omosessuali repressi, l’omofobia, così come l’attaccamento ai valori più conservatori, di ordine, patria e repressione di qualsiasi liberalità, diventano più una necessità (per nascondersi meglio) che un’intima convinzione.
Un personaggio così negativo e quasi odioso (nelle prime scene del film lo vediamo licenziare del personale solo perchè non si presenta secondo i suoi canoni estetici) viene fortunatamente bilanciato dall’incontro con la persona che per tutta la sua vita gli farà da braccio destro e con la quale pranzerà e cenerà ogni giorno (sarà l’unico suo erede e verrà sepolto al suo fianco). Clyde Tolson (interpretato da un bravissimo Armie Hammer), a differenza di Hoover, è un gay che si è accettato e che almeno nella sua vita privata e intima vorrebbe potersi esprimere liberamente. Purtroppo il film non può spingersi troppo in questa direzione per l’assoluta mancanza di riferimenti storici precisi, dovuta forse più alla indiscussa capacità di Hoover nel mantenere segreta la sua vita intima, che alla realtà dei fatti.
Il film si spinge già molto avanti (cosa che non è per niente piaciuta a certa critica di destra) nel raccontarci diversi momenti privati della loro vita in comune, come le intime cenette al loro solito ristorante o le vacanze dove alloggiano in camere comunicanti. Spesso li vediamo guardarsi con desiderio e toccarsi dolcemente le mani. Abbiamo anche la scena di un bacio sulla bocca (che ricorda un po’ l’atmosfera del primo incontro dei due cowboy gay di Brokeback Mountain) dopo un furente litigio dove Clyde minaccia di abbandonarlo per sempre se dovesse decidere di arrivare a sposarsi per copertura. Li sentiamo anche dichiararsi il loro reciproco amore.
L’asse drammatico del film non è la carriera e la lotta politica e poliziesca contro i comunisti prima e la delinquenza poi, non è nemmeno il contrasto che spesso si viene a creare tra il Congresso e l’FBI, e non sono nemmeno le varie imprese di Hoover come quella, molto importante per il suo futuro, della caccia al rapitore del figlio di Lindberg (che diede il via ad un ammodernamento scientifico delle indagini) o l’arresto di famosi gangster come Dillinger. La scelta degli autori ha puntato invece soprattutto sulla segreta ma grandissima storia d’amore di una vita tra i due protagonisti maschili. Una storia d’amore difficile, dove forse (ma noi fatichiamo a crederlo) il desiderio sessuale non si è mai concretizzato, fermandosi ad un fortissimo sentimento amoroso. Dando magari ragione all’idea che “la mancanza di qualcosa che si desidera è una parte indispensabile della felicità”.
Alcuni critici cinematografici americani gay hanno rimproverato al film una certa mancanza di coraggio nel presentare questa storia d’amore, dimentichi che il film ci racconta un’america della prima metà del novecento e soprattutto che ci racconta la storia di uno degli uomini più potenti del mondo in quel periodo. Diversamente gli autori avrebbero dovuto entrare troppo nel campo dell’immaginazione e della fantasia, col rischio di allontanarsi dalla realtà. Forse il film ha alcuni momenti di discontinuità, forse la storia privata e pubblica dei protagonisti non sempre si amalgama bene, forse il film è un po’ troppo lungo, forse mette troppa carne al fuoco. Per noi rimane comunque un ottimo e coraggioso tentativo di penetrare nei misteri dell’uomo e della storia. Scusate se è poco.