Giornata intensa al Festival gay torinese che sfrutta la giornata del sabato per le opere più attese, a iniziare dall’interessantissimo e scioccante documetario di Alessandro Golinelli e Rocco Bernini sulle esecuzioni e torture in Iran, programmato purtroppo in concomitanza col film “Tomboy” di Céline Sciamma, quasi sicuro vincitore del Festival, per terminare con “Romeos” di Sabine Bernardi, grande e coinvolgente affresco sugli incroci della sessualità nella Germania contemporanea. Entrambi i film hanno ottenuto applausi interminabili alla fine delle proiezioni, anche se abbiamo sentito alcuni ragazzi che dicevano: “film bellisssimi, ma riusciremo a vedere un film gay in questo festival gay?”. Noi gli abbiamo replicato che il festival è GLBT, che la varietà è sinonimo di ricchezza, e che per comprendere la propria sessualità è necessario capire anche quella degli altri. Tutto questo perchè i due film suddetti hanno come tema centrale la problematica transgender, analizzata in circostanze ed ambienti finora poco esplorati, ed espressa con intensa e toccante sensibilità, che non può lasciare indifferente nessun tipo di spettatore. Tomboy, già vincitore all’ultimo Teddy Award sarà distribuito in Italia da Teodora, mentre “Romeos” sarà distribuito da Media Luna New Films.
ANGELS ON DEATH ROW. THE EBRAHIM HAMIDI’S CASE.
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In una sala piena il direttore del festival Giovanni Minerba ha introdotto questo toccante e drammatico documentario realizzato da Alessandro Golinelli, uno dei programmatori del festival, insieme a Rocco Bernini dicendo: “Le tematiche affrontate dal film sono quest’anno presenti nel festival all’interno di un focus importante: ‘Iran, nodo alla gola‘, curato principalmente da Alessandro. Focus che con vari film di finzione e documentari , ci racconta quello che succede oggi in Iran. ‘Angels on deah row‘ ci da il polso della situazione fino quasi ai nostri giorni; quasi perché le ultime notizie che abbiamo avuto non è stato possibile includerle. Questo documentario è importante per i poveri cittadini iraniani, ma anche per noi italiani.”
Ha preso quindi la parola Alessandro Golinelli, che ha iniziato con lo spiegare come è nato questo film sull’Iran. Quando un po’ più di un anno fa ci fu il caso clamoroso di Sakineh Ashtiani, l’avvocato di Sakineh, che è un testimone di questo documentario, parlò anche di un giovane di ventuno anni , Ebrahim Hamidi, accusato di omosessualità, anche lui condannato a morte. Di questo ragazzo, proprio perché accusato di omosessualità, non si era interessato nessuno. Da qui è venuta l’idea di provare a cercare di capire che cosa c’era dietro a tutta questa storia e attraverso la rilevante cassa di risonanza internazionale del Festival di Torino, provare a creare un caso, per raccontare alla comunità gay come oggi in Iran gli omosessuali vengano uccisi in un modo spesso nascosto. Di questo ragazzo il documentario non è nemmeno in grado di mostrarci il volto, perché nessuno sa che faccia abbia. Facendo delle ricerche su questo caso sono emerse altre storie terribili legate a questo regime spietato, regime da non confondere con il popolo iraniano. Con il focus sull’Iran si è cercato anche di dare una voce a questo popolo. Oltre a questo documentario sono presenti nel focus film bellissimi come ‘Dog Sweat‘,’ Quelque jours de repit‘, ‘Transsexual in Iran‘ che parla sulla trasformazione di sesso gratuita in Iran (in ‘Angels on death row‘ vediamo che questa trasformazione viene vista positivamente dal regime e spesso imposta, come una soluzione per eliminare gli omosessuali obbligandoli a diventare eterosessuali del sesso opposto). Con questo focus in qualche modo si è già in parte riusciti a riaprire il caso di Ebrahim Hamidi sulla stampa. Il documentario andrà adesso a Padova poi in altri festival. E proprio per agevolarne la diffusione è stato girato in Inglese.
Il documentario ha richiesto un grandissimo lavoro durato circa cinque mesi. Tutto il team del festival ha aiutato moltissimo Alessandro, appoggiandolo con grande entusiasmo sin dal primo giorno nella realizzazione di questa sua idea. A Rocco Bernini va tutto il merito di aver realizzato per questo film soluzioni tecniche e creative che hanno permesso di superare grandi difficoltà realizzative dovute al problema di dover lavorare su immagini scioccanti in condizioni qualitative disastrate (immagini sostanzialmente rubate, trafugate dalla rete e forse proprio per questo ancora più drammatiche), riuscendo ad ottenere un prodotto anche bello da vedere.
Dopo la proiezione del film Fabio Bo ha ribadito il sostegno del festival al lavoro di Alessandro e Rocco. Quindi Alessandro Golinelli ha ringraziato alcune persone presenti in sala che hanno collaborato alla realizzazione del film come Fabio Gallesi, autore delle musiche, l’attore Sara Cerini (pseudonimo) e altri. Tutte le persone che hanno lavorato in questo documentario lo hanno fatto gratis.
Alessandro ha poi ricordato come la tragedia iraniana continui oltre i fatti raccontati dal documentario. Solo a gennaio del 2011 sono state impiccate 400 persone e il 25 aprile sono stati impiccati quattro ragazzi su di una spiaggia per dare un esempio ai giovani. Ragazzi maggiorenni, ma di cui due sono stati arrestati per un reato connesso all’età di 17 anni. Il 25 aprile proprio il giorno della nostra liberazione e per un’altra terribile coincidenza la bandiera iraniana è proprio il nostro tricolore.
Rocco ci ha poi spiegato alcune soluzioni che ha utilizzato per elaborare immagini provenienti dall’Iran, che proiettate sul grande schermo appaiono di qualità non eccelsa (d’altronde sono le uniche immagini che riescono ad arrivare da là, data l’impossibilità di fare riprese professionali senza rischiare la vita ). Su queste immagini si sono fatte delle scelte cromatiche, (come in una scena di impiccagione dove viene evidenziato il cappio con una colorazione blu), accentuando i colori non tanto per abbellirle ma per renderle il più chiare possibili.
Alessandro ha infine voluto puntualizzare come questo documentario parta da un caso di (presunta) omosessualità, ma ovviamente riguardi tutti, parlando di diritti umani. Tra l’altro la maggior parte delle persone che ha contribuito a realizzarlo non è omosessuale. La proiezione di questo documentario all’interno del festival di Torino assolve ad uno dei principali obiettivi di questo festival, quello di occuparsi dei diritti dei gay dando voce a tutte le comunità GLBT del mondo. (R. Mariella)
TOMBOY di Céline Sciamma
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La grande forza del film è soprattutto nelle incredibili interpretazioni offerte dalla giovane protagonista Laure (Zoé Héran) e dalla sorellina Jeanne che la regista ha detto di avere fortunosamente trovato quasi subito in una agenzia di casting. Il dramma del film è vissuto quasi interamente nella mente di Laure che ce lo trasmette con espressioni e sguardi che ci struggono il cuore. La storia è molto semplice ma i momenti toccanti si sussegguono senza interruzione e l’abilità di sceneggiatura e montaggio riescono a creare un coinvolgente clima di suspence. Laure è una bambina di 10 anni che arriva con la famiglia in un nuovo quartiere e deve fare amicizia coi bimbi del vicinato. Laure ha i capelli corti e si veste con magliette e pantaloncini che la fanno assomigliare molto ad un ragazzo. In famiglia non le dicono nulla, il padre la coccola e per la sorellina più piccola è il suo mito. Quando incontra Lisa, una bambina coetanea, questa la prende per un maschio e quando le chiede come si chiama, Laure per non deluderla le dice di chiamarsi Michael, nome maschile. Da questo momento Laure inizia a vivere fuori casa una difficile ma bellissima avventura come maschietto, con Lisa che s’innamora sempre più di lei, e gli amichetti che lo sfidano in diversi giochi dove riesce sempre a farsi valere come abile maschietto. In ogni momento Laure vive il terrore di essere scoperta (godibilissime le scene di quando costruisce col pongo un pisellino da infilarsi dentro il costume da bagno) sia in casa per la delazione occasionale di qualcuno che arrivi dall’esterno, che della sorellina dopo che questa ha scoperto la doppia vita di Laure. I guai purtroppo non tarderanno ad arrivare. Alla fine del film abbiamo obiettato alla regista presente in sala che secondo noi il messaggio del film poteva sembrare quasi di condanna e senza speranza per la condizione della protagonista. Giustamente ci ha risposto che la condanna viene espressa solamente verso una situazione di menzogna (peraltro insostenibile quando dopo poche settimane sarebbe iniziata la scuola), che il film non vuole dare giudizi morali e nemmeno apparire didattico, ma semplicemente fotografare una situazione precisa e reale lasciando la storia aperta a diverse evoluzioni. Una storia molto particolare ma di sicuro effetto su qualsiasi tipo di pubblico, merito soprattutto di una regia che ha saputo coniugare i turbamenti interiori col dianamismo di una storia ricca di pathos.
ROMEOS di Sabine Bernardi
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Ancora una storia transgender questa volta ambientata in un giro di giovani e virili omosessuali. Il protagonista Lukas (Rick Okon) è nato donna ma ha da sempre avuto chiaro di sentirsi uomo ed ora, che sta svolgendo il servizio civile a Colonia, sta iniziando le cure ormonali che lo porteranno all’operazione definitiva. Ogni giorno si sottopone ad esercizi per accrescere la muscolatura, valutando continuamente i risultati con la misurazione di braccia, vita e glutei. Sul suo viso cresce già una discreta barba che cura amorevolemte e che gli dona un aspetto assolutamente maschile. Nella vita di tutti i giorni si trova però a dover affrontare i problemi di una nuova identità che la burocrazia fatica ad accettare (nel convitto è stato inserito nella zona donne) e soprattutto il problema di mantenere segreta la sua origine femminile davanti ai nuovi amici. Casualmente reincontra una sua vecchia grande amica che è a conoscenza di tutta la sua storia e che si propone di aiutarlo e di inserirlo nelle compagnie giuste. L’amica è probabilmente innamorata di Lukas che invece, veniamo subito a scoprire, è attratto da uomini. Quando l’amica gli fa notare che allora non comprende perché voglia cambiare identità, in quanto da femmina potrebbe avere tutti gli uomini che vuole, Lukas le risponde (un po’ incazzato): “possibile che non comprendi che le due cose sono assolutamente separate e indipendenti?”. Disgrazia vuole che Lukas s’innamori subito di uno splendido ragazzo, Fabio (Maximilian Befort), che gli si presenta completamente nudo (impossibile non innamorarsene) e gay dichiarato (ma non nella famiglia italiana) abituato a possedere uno dopo l’altro tutti i più bei ragazzi del posto. La virilità è una delle regole indiscusse della compagnia gay che Fabio frequenta. Ma l’aspetto mascolino di Lukas e il suo fascino particolare lo traggono in inganno, facendo scoccare in entrambi la freccia di cupido. Non possiamo raccontarvi le complicazioni che accompagneranno questa eccezionale storia d’amore, basti ricordarvi che un gay del tipo di Fabio non può certo aspettare molto a mettere le mani dove in questo caso non troverebbe nulla. La regista, presente in sala, ha detto di essere ineressata soprattutto a mostrare e valorizzare qualsiasi tipo di rapporto e d’amore, condannando steccati e pregiudizi ovunque possano trovarsi. L’amore, qualsiasi, è il vero motore del mondo. Per noi è stato un film rivelatore, una storia appassionante ricca di eros e di sentimenti, un film che attendiamo con ansia di rivedere nelle nostre sale.
COMO ESQUECER di Malu de Martino
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Film abbastanza poetico e molto riflessivo, che quasi costringe lo spettatore a soffermarsi sui dettagli che la protagonista sente come importanti e a seguirla nei suoi soliloqui. Julia infatti, docente universitaria, sta attraversando un periodo difficile in seguito alla rottura, dopo dieci anni di relazione, con Antonia. E’ il suo amico gay che le offre una via d’uscita: una gita nella campagna brasiliana per cercare di evadere un po’. Dapprima alquanto restia e diffidente, Julia si lascia infine convincere a intraprendere questo percorso per ritrovare se stessa, per smettere di vedersi attraverso gli occhi e la telecamera della sua ex. Perché dopotutto si può amare da morire, ma morire d’amore no. (Gaia Borghesi)
TIDEN IMELLOM di Henrik Martin K. Dahlsbakken
Cortometraggio molto intenso, probabilmente per il tema che tratta, “Tiden Imellom” è quasi un “Aimée & Jaguar” in miniatura. La protagonista, Ruth, racconta e rivive in un’intervista la sua storia con Eva: l’una tedesca e l’altra ebrea, che vivono il proprio amore come tutte le altre adolescenti nel 1942. Le cose si fanno via via sempre più difficili, fino a quando il padre di Eva denuncia Ruth e i suoi famigliari, suoi vicina di casa, in quanto ebrei.
Film come questi fanno sempre riflettere ed è giusto così, per non dimenticare. Soprattutto se si pensa che “Tiden Imellom”, come “Aimée & Jaguar”, è tratto da una storia vera ed è un omaggio alla memoria della poetessa norvegese Gunvor Hofmo. (Gaia Borghesi)
ALCUNE IMMAGINI DELLA GIORNATA