Brava l’Atlantide Entertainment che sul suo sito web www.queerframe.tv pubblica per il download o lo streaming un bel film sul tema dell’omosessualità curabile (terapie riparative). Tema che in questi giorni sta riempiendo le pagine di cronaca dei nostri quotidiani, dopo le dichiarazioni di monsignor Paolo Rigon, presidente del Tribunale Ecclesiastico della Liguria, che intervistato da giornalisti ha dichiarato che “il problema omosessualità è indotto. Non si nasce omosessuali. Quindi va presa dall’inizio, eccome se si può superare, ma dall’inizio, attraverso la psicoterapia. Specie se viene affrontata nella prima adolescenza. Sono casi che il nostro consultorio familiare affronta sovente. Quando però l’omosessualità è incancrenita, è difficile intervenire“. Parole terribili che hanno sollevato le proteste di molte associazioni gay. Fortunatamente anche nella Chiesa italiana qualche vescovo sta portando avanti idee differenti, come, notizia di oggi, i vescovi di Crema e Cremona che hanno aperto nelle rispettive diocesi dei centri di sostegno, preghiera e ascolto per «gli omosessuali della comunità cristiana» sull’esempio dei gruppi dei cristiani omosessuali come il Guado.
Il film di cui stiamo parlando è “Save Me” di Robert Clary, presentato al Sundance Film Festival del 2007 e distribuito in poche sale negli USA ma diventato un film cult per il pubblico gay, sia per la storia che racconta che per i protagonisti, Chad Allen e Robert Gant, due icone del movimento gay. Chad Allen, di origini italiane, ha fatto il coming out nel 1996, all’età di 21 anni, dopo che un suo amante aveva venduto alla stampa (The Globe) foto di baci compromettenti. Da allora è diventato un attivista per i diritti degli omosessuali, partecipando a dibattiti televisivi (tra i quali anche il Larry King Live, gennaio 2006, in difesa dei matrimoni gay). Al cinema è famoso per avere interpretato il detective gay Donald Strachey, che vive in coppia stabile, nella serie di film basata sui romanzi di Richard Stevenson, iniziata nel 2005 con “Third Man Out”, proseguita con “Shock to the System”, “On the Other Hand, Death” e “Ice Blues” del 2008. Attualmente vive col suo compagno, l’attore Jeremy Glazer.
Nel 2007, Chad Allen, interpreta e produce “Save Me”, film scritto da Robert Desiderio, marito della protagonista femminile Judith Light, premiata agli Emmy. Come co-protagonista maschile sceglie Robert Gant, altro idolo del popolo gay che ha potuto apprezzarlo nella serie “Queer as Fok” USA, dove dal 2001 al 2005 interpreta il ruolo di Ben Bruckner.
Gant, anch’esso con origini italiane, inizia a fare l’attore all’età di dieci anni, si laurea in giurisprudenza, ma rimane a lavorare nel mondo dello spettacolo, apparendo in diverse serie tv come Melrose Place, Ellen, Friends, e Nip/Tuck e in alcuni film indipendenti (Special Delivery, The Contract, Fits and Starts, e Marie and Bruce). Nel 2004 fonda, insieme a Chad Allen e Christopher Racster, la società di produzione Mythgarden con la quale realizzano “Save Me“. Da sempre gay dichiarato, milita in diverse associazioni gay, impegnandosi particolarmente sul tema dell’assistenza agli anziani omosessuali con “SAGE – Senior Advocacy for GLBT Elders” e “GLEH – Gay & Lesbian Elder Housing“.
“Save Me” racconta in modo originale e coinvolgente le storie di tre personaggi che si ritrovano a vivere all’interno di una comunità cristiana di recupero all’eterosessualità. La comunità è diretta da Gayle (Judith Light) e suo marito Ted (Stephen Lang), che si dedicano a questa ‘missione’ dopo la perdita del giovane figlio, cacciato di casa perché gay e morto dopo cinque mesi. Gayle cerca di superare il suo dolore proponendosi di aiutare persone omosessuali a ritrovare la fede e a liberarsi della loro inclinazione. Bravissima Judith Light in questo difficile ruolo, ambiguo e contrastato, diviso tra l’inconscio desiderio di recuperare, nel rapporto materno coi giovani gay che entrano nella comunità, l’amore per il proprio figlio perduto e la volontà di mantenersi fedele alle direttive cristiane che considerano l’omosessualità fonte di perdizione e peccato. Un personaggio che si fa amare e odiare nello stesso tempo e che esemplifica molto bene tanta dottrina cristiana che confonde l’amore con la prevaricazione dottrinale. Assai drammatico e illuminante il momento in cui si confronta con Scott (Robert Gant) che gli ricorda che sulla Bibbia si dice sì che meritano la morte coloro che si uniscono con persone dello stesso stesso, ma che pochi versi prima si dice la stessa cosa di coloro che maledicono i genitori.
Altra storia illuminante è quella di Scott, interpretato da un misuratissimo ed efficace Robert Gant, un uomo che per tutta la vita ha cercato invano l’amore del padre che lo ha rifiutato e odiato dal giorno del suo coming out. Scott entra nella comunità quasi esclusivamente per riavere l’amore del padre. Terribile il momento in cui lo assiste sul letto di morte, pieno d’amore e speranza mentre il padre, come ultime parole, gli ripete i versi biblici che condannano l’omosessualità. Incommensurabile il potere distruttivo di una fede basata più sulla dottrina che sulle persone.
Il protagonista principale è sen’altro il giovane Mark (Chad Allen), che seguiamo nei suoi torridi incontri occasionali, seguiti da angoscianti sensi di colpa, anche per la prematura morte del padre, tentativi di suicidio, e disperazione. La madre e il fratello lo portano nella comunità convinti che sia l’unico modo per salvarlo. Qui cattura subito l’affetto della direttrice, che rivede in lui il figlio perduto, e l’amicizia degli altri componenti del gruppo. Il suo percorso sarà tormentato ma qualcosa di inatteso lo aiuterà, e gli darà una gioia ed una serenità che fino ad allora non aveva mai trovato. Merito della fede ritrovata? Bellissimo e assai significativo il momento culminante che lo vede partecipare con tutti gli altri alla festa di ballo dove s’incontrano per la prima volta con delle giovani fanciulle desiderose di completare l’opera di recupero di questi ex-gay. Alla prova dei fatti tutti verranno rimessi in discussione. Meriti e colpe, odio e amore, dottrina e sentimenti, risultati e speranze, dovranno fare i conti con la realtà.
Nel film, didattico nei risultati e quasi mai nella forma, c’è uno stupefacente equilibrio tra le varie parti in causa: nessuno viene condannato aprioristicamente, tutti potrebbero essere giustificati e compresi, perché tutti sono, in buona fede, impegnati a migliorarsi, a risolversi. Il male non è nelle persone, sta altrove.
INCIPIT DEL FILM: