Il 1° dicembre, giornata mondiale contro l’AIDS il Florence Queer Festival ha proposto film, documentari e corti dedicati al tema dell’AIDS, in collaborazione con l’Assessorato Diritto alla Salute Regione Toscana.
Tra i titoli in programma tre anteprime italiane: The Fire Within (USA 2002) di August Moon, racconta la vita dell’attivista Bob Bowers, che lotta quotidianamente con l’AIDS e con gli effetti collaterali delle cure mediche dal 1983 e di sua moglie Shawn, che lo ha sposato nel 1990 ed è rimasta sieronegativa. Il documentario segue Shawn in una durissima gara ciclistica di beneficenza durata sette giorni e mostra come nonostante tutte le difficoltà che deve affrontare con suo marito lei si senta realizzata e felice di stare al suo fianco.
Sex is an Epidemic (USA 2010) di Jean Carlomusto. Questo interessantissimo documentario (in anteprima europea) ripercorre la storia delle battaglie politiche sull’AIDS in USA dalla scoperta del virus nel 1984 ad oggi, partendo da due importanti affermazioni:
primo – fin dall’inizio questa malattia si è dimostrata essere la malattia più ‘politica’ di tutte, che porta dietro di se un forte contenuto di discriminazione; secondo – questa malattia ha ormai una sua storia importante che va studiata e raccontata.
Il film parte dalle prime notizie contraddittorie sulla malattia. Si racconta ad esempio come la rivista Cosmopolitan avesse pubblicato articoli di un medico che sosteneva che il virus non poteva infettare le donne eterossessuali. Molti gay reagirono inizialmente anche con incredulità: Michel Foucault definì inizialmente questa malattia un’invenzione, frutto delle paranoie del puritanesimo americano. Quindi si ripercorrono le lotte degli attivisti nella lotta all’AIDS negli Stati Uniti, soprattutto negli anni di Reagan, per far valere il concetto che il virus si combatte investendo su informazione, educazione e prevenzione oltre che sulla ricerca. Un altro fronte che ha impegnato gli attivisti è stato quello di mostrare alla popolazione gay come prevenire il virus senza rinunciare ad una vita sessuale pienamente soddisfacente. Tra gli altri interventi, interessante quello di una attivista femminista che faceva notare quanto poco sia stato fatto in America per spingere il maschio eterosessuale ad usare il preservativo. Al giorno d’oggi in USA la malattia colpisce maggiormente la comunità di colore e perciò a questa comunità si rivolge il lavoro di molti attivisti.
Rock Hudson – Dark and Handsome Stranger (Germania 2001) di Andrew Davies e André Schafer . Altro bellissimo documentario che, utilizzando interviste e spezzoni cinematografici, fa luce su questo grande attore che per tutta la sua esistenza condusse una doppia vita. E ci riuscì talmente bene che proprio nessuno del suo pubblico aveva mai avuto il minimo sospetto sulla sua omosessualità. Ma, una volta gravemente ammalato, rendendo pubblico il suo stato di salute, diede un enorme contributo alla diffusione delle informazioni sull’AIDS, raggiungendo in tutto il mondo fasce di popolazione fino ad allora completamente disinteressate al problema. Tra i vari interventi di suoi amici e collaboratori, particolarmente interessante è quello dello scrittore Armistead Maupin autore di Tales of the City, che era un amico intimo di Rock Hudson. I due avevano fatto sesso assieme e insieme avevano frequentato dei locali gay. In seguito però Armistead decise di smettere di frequentare Rock Hudson, perché come gay dichiarato, non voleva sentirsi trattato come un amico di serie B, che non può essere mostrato in pubblico.
Per la prima volta quest’anno il Festival ha dedicato una sezione speciale del VideoQueer al tema dell’AIDS, alla percezione del rischio e alla sua prevenzione. Il titolo della sezione, che prevedeva un premio di 1.000 euro per il miglior video, è “SE HAI TESTA FAI IL TEST“. La Giuria era composta da Roberta Vannucci e Bruno Casini, direttori artistici del Florence Film Festival, Marco Lelli della Regione Toscana, Camilla Toschi della Mediateca della Regione Toscana.
E’ stata invitata a parlare Stefania Staccardi, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Firenze, che ha fatto un commosso intervento in cui ha parlato della sua visita il giorno prima al Centro Diurno di Casa Elios e a Casa Vittoria, le due principali strutture non sanitarie che accolgono persone malate di AIDS in Regione. Parlando con gli operatori, questi “mi hanno detto che la sensazione è che il numero dei casi di infezione sia in aumento. Invece sentendo il TG1 stamattina il giornalista diceva che questa malattia piano piano sta diminuendo. La differenza tra queste informazioni è preoccupante. Chi lavora sul campo dice che se ne parla di meno, mentre i casi crescono. Un altro dato preoccupante è quello che il costo dei farmaci è in aumento. Il miglioramento delle cure e la cronicizzazione della malattia porta a far passare in secondo piano l’attenzione. Servirebbe invece grande attenzione, perché i casi sono in crescita e la malattia attacca categorie diverse da prima. E forse è per questo che l’informazione non ne parla quasi più, perché si esce dallo stigma di una categoria di persone, per esempio gli omosessuali. Sempre di più eterosessuali sono aggrediti da questa malattia. Le azioni che le Istituzioni hanno il dovere di fare: prima di tutto non abbassare la guardia e lavorare moltissimo sulla prevenzione, insieme con le associazioni, anche con manifestazioni come questa. Invitare le persone a fare il test, lavorare sull’accertamento precoce sulla malattia e poi lavorare sulle persone ammalate. Non diminuire di un euro i fondi sulle strutture che si occupano di questo”.
Ha portato il suo saluto al Festival anche Marco Lelli a nome della Regione Toscana. Dopo la proiezione dei video in concorso si è svolta la premiazione. E’ intervenuta Stefania Ippoliti e quindi è stato assegnato il premio ex-equo al corto ‘Con amore‘ di Olga Brucciani ‘per l’efficacia comunicativa e la semplicità del messaggio particolarmente adatto a target diversi’; e a ‘Ripped Paper‘ di Daniele Papa ‘per la sensibilità con cui tratta il delicato tema della discriminazione, e per lo svolgimento delicato e intelligente del soggetto scelto‘.
Silvia Minelli ha ricordato che presso l’associazione IREOS, che è tra gli organizzatori di questo festival, è possibile effettuare, su prenotazione il test dell’HIV , in modo completamente anonimo e gratuito.
Fuori concorso è stato quindi trasmesso un trailer, o versione breve del corto documentario “Still Fighting” (2010) di Samuele Malfatti, girato in Swaziland (nazione dell’Africa del Sud) per raccontare il progetto COSPE dedicato a ridurre l’incidenza e l’impatto dell’HIV/AIDS fra i settori più poveri e vulnerabili della società. Grazie ai buoni risultati delle cure e all’attività delle associazioni di cooperazione allo sviluppo come il COSPE, in un paese come lo Swaziland, ancora afflitto da molti pregiudizi, parlare di AIDS non è più un tabù e i siero-positivi non sono più completamente emarginati dalla popolazione locale. Presenti in sala, Pamela del COSPE che ha parlato dell’attività dell’associazione e i due registi che hanno brevemente presentato il film. Tramite il COSPE è possibile richiedere una copia della versione lunga del film.
Accolto con grande commozione da tutto il pubblico il lungometraggio, The House of Boys (Lussemburgo / Germania, 2009) del lussemburghese Jean-Claude Schlim (presente alla proiezione).
Fabrizio Ungaro presenta il regista con queste parole: “Jean-Claude viene dal Lussemburgo, questo è il suo primo lungometraggio, lavora da anni nell’industria cinematografica, è laureato in cinema all’Università di Parigi. Da sempre attivista contro l’AIDS, nel 2002 ha ricevuto per questo una onoreficenza dalle mani del GranDuca del Lussemburgo. E’ membro di Stop AIDS Now ed è anche membro del National AIDS Committee del Lussemburgo.
Interviene Jean-Claude Schlim: “Anche io avevo una versione lunga del mio film. Questo vuole essere il mio tributo personale, è il mio primo lungometraggio e forse sarà anche l’ultimo, ma mi sentivo in dovere di farlo. L’ AIDS è un soggetto molto complesso. Più di 25 milioni di persone sono morte. Voglio dedicare questo film alle persone che sono sopravvissute a questa malattia, circa 40 milioni, persone che vivono cronicamente questa malattia. E’ difficile continuare a parlare di una malattia che già esiste da trent’anni. L’aids oggi vive con noi, è diventata un dato di fatto, e nessuno sembra più avere voglia di affrontare il problema ripensando le strategie di comunicazione, di prevenzione e di educazione, e i giovani, i giovani gay stanno ricominciando ad ammalarsi, soprattutto negli Stati Uniti. Abbiamo tutti la responsabilità di fare qualcosa, soprattutto gli artisti e i registi. L’AIDS è anche una malattia che ha una grande storia, intorno alla malattia è stato fatto molto lavoro ed è il momento di ripensare a come utilizzarlo. Come voi saprete l’Italia negli ultimi due anni non ha versato alcun contributo al Fondo mondiale contro l’AIDS e questo era il momento meno opportuno per questa dimenticanza. Ho visto questo pomeriggio un documentario molto bello che dimostrava come fosse politica questa malattia e come deve essere politica la risposta.”
Dopo la proiezione del film, e dopo un’ovazione interminabile dal pubblico, il regista ha risposto al alcune domande.
Domanda – Nel documentario di questo pomeriggio un’attivista parlava dell’importanza di recuperare la memoria visiva, riguardo all’AIDS.
Jean-Claude Schlim – Anche se può sembrare strano questo film vuole anche essere un tributo alla malattia, a tanti artisti a tante persone che sono morti di AIDS. E’ vero quello che si diceva in quel documentario che si è persa la consapevolezza di quello che è questa malattia, per la nostra generazione che ha visto la gente ammalarsi, i propri amici morire, l’equazione AIDS-morte era immediata. Si conosceva la vera faccia della malattia. Oggi i giovani non hanno più gli elementi per fare questa associazione di idee, l’AIDS è diventata una cosa astratta che non li riguarda. Attraverso questo film volevo ritirare fuori questa memoria, il passato, perché se è vero che la lotta contro l’AIDS è lontana da essere vinta, è solo attraverso la consapevolezza di quello che l’AIDS è stata ed è ancora oggi che si può andare avanti e pensare a nuove strategie ed è dovere preciso dei politici farsene carico. Il mio film è forse in po’ naif e molto emotivo, ed è lontano dall’essere un capolavoro, ma questo non mi interessa: se anche una sola persona, vedendo il fìlm, si è resa conto di cos’è l’AIDS, allora è valso la pena farlo. Ricordo una frase detta da Clinton, quando era presidente: ‘ E’ molto difficile ma tutti noi possiamo fare qualcosa. Quindi facciamolo.”
Domanda – Il film è anche molto duro. Che tipo di distribuzione ha avuto ?
Jean-Claude Schlim – Il film in Lussemburgo l’anno scorso ha vinto il premio come miglior film. E’ uscito ieri in Germania in 11 copie. E’ difficile trovare non solo un distributore, ma anche un pubblico gay, che oggi voglia vedere un film che parla di AIDS. Non è un caso che ci siano nel film molte scene di sesso, e che io abbia dedicato buona parte del film a ricostruire quella che era l’atmosfera degli anni ottanta: alla fine della rivoluzione sessuale, la nostra generazione aveva ottenuto una serie di vittorie ed era completamente calata in quello stile di vita. Poi è arrivata questa cosa ed inizialmente è stata vissuta sulla pelle delle persone a livello molto emotivo. Come diceva Kofi Annan bisogna continuare a parlarne. Ci tengo a sottolineare che la strategia non possa essere solo l’uso del preservativo. Noi tutti possiamo qualcosa, la politica le associazioni, il festival, possiamo trasmettere anche una storia della malattia, parlandone tutti i giorni. L’AIDS ha una lunghissima storia.
Una persona del pubblico cita la responsabilità delle Industrie farmaceutiche.
Jean-Claude Schlim – L’industria farmaceutica ha un enorme responsabilità soprattutto in Africa, soprattutto per quanto riguarda il costo dei brevetti. Ma non dobbiamo dimenticare che l’AIDS non è una malattia, degli Africani o dei poveri. Abbiamo passato gli anni ’90 cercando di convincere la gente che l’AIDS non era una malattia dei gay o dei neri, ma anche degli eterosessuali. L’AIDS è un disastro globale e il modo combatterla è fare il test, rientrare in quest’ottica. La maggior parte delle persone a cui viene diagnosticata questa malattia, ha una diagnosi non di sieropositività ma di AIDS conclamata. Il 60% delle persone è in età avanzata. Si arriva alla diagnosi già ammalati senza saperlo. Il test è importantissimo. Un altro messaggio del mio film è che, non dobbiamo avere paura, il sesso è bello. Fare festa è bello.
Domanda – Tu hai fatto una piccola parte nel film.
Jean-Claude Schlim – Sì. Biancaneve. Quello che fa il festino a base di cocaina, quando Jack ha il collasso . L’ho fatto perché non riuscivo ad ottenere quello che volevo ad un altro attore. Non è stato facile per me, soprattutto quando mia madre ha visto il film.
Domanda – Perché nel film non parla di preservativi ?
Jean-Claude Schlim – Il mio scopo non era di fare una campagna sull’uso del preservativo, quello lo lascio alle autorità. Se avessi fatto un film sull’uso del preservativo, ci avrei messo solo due mesi di lavoro invece che sette anni. Poiché l’AIDS è una malattia legata alla sessualità, io volevo parlare di sessualità. Tutti conoscono l’uso del preservativo e intanto la malattia va avanti. Io preferivo toccare il registro delle emozioni, la sessualità è bella, è di questo che volevo parlare.
Domanda – più che un film sull’AIDS mi sembra il tuo un film sulla vita e sull’amore. L’aids ci stà, perché è il tema, però poteva anche non esserci, perché è un grande film.
Jean-Claude Schlim – Sono molto contento del suo complimento, dopo la prima in Lussenburgo, ho avuto molti di questi complimenti soprattutto dal pubblico femminile , che vedeva nel film la storia d’amore. E’ vero è una storia di amore, di amicizia, del prendersi cura, di costruire una comunità basata sugli affetti e di relazioni attorno a questa tragedia, che mi ha ricordato quello che ho vissuto quando i miei amici morivano e non potevi fare altro che stringergli la mano.
The House of Boys (Lussemburgo/Germania, 2009) . Amsterdam, anni ’80, in un periodo di piena libertà sessuale. Il giovane Frank arriva in città e comincia ad esibirsi nella “House of boys“, un cabaret/bordello gay dove i ragazzi cantano e ballano seminudi tra scenografie camp. Frank ritrova in quell’ambiente una nuova famiglia, ma soprattutto incontra Jack, bellissimo ragazzo americano etero, con una tristissima storia familiare alle spalle, che si prostituisce per soldi. Inaspettatamente nasce tra i due una tenera storia di amore, ma Jack si ammala di una nuova malattia, il “cancro dei gay”, che arriva a sconvolgere le vite di tutti… Un film assolutamente da vedere! (Testo e foto di R. Mariella, video di A. Schiavone)
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