La quinta giornata del Florence Queer Festival è iniziata con una mini-retrospettiva del regista francese Jean-Jacques Zilbermann , del quale sono stati proiettati “L’ Homme est une femme comme les autres” (1998) e il suo seguito “La Folle histoire d’amour de Simon Eskenazy” (2009) che dopo dieci anni continua la storia iniziata nel primo film.
Il regista Zilbermann, presente in sala, ha fatto il seguente intervento:
“Prima di cominciare vorrei dedicare un pensiero a Mario Monicelli, perché quando si scrivono delle commedie non si può non pensare a Monicelli. Il primo film che vedrete questo pomeriggio l’ho diretto tredici anni fa. Da allora potete constatare come si è evoluto il modo di vedere la cultura gay: quando ho diretto questo film avevo un produttore, che mi chiamava ogni settimana in ufficio e mi diceva ‘mi piace molto il soggetto ma c’è qualcosa che non funziona nella sceneggiatura’ e io gli chiedevo tutte le volte ‘mi dica cosa non funziona e io vedrò se posso cambiare quello che non va’. Tutte le settimane facevamo la stessa conversazione e io gli dicevo ‘mi dica cosa non va, non posso continuare ad andare avanti così senza cambiare cosa non funziona’. Un giorno finalmente mi ha detto la verità: ‘mi piace molto l’idea che il personaggio suoni il clarinetto, suoni musica sacra, che sia ebreo, ma perché è gay?’, ma perché è l’argomento del film! Penso che tredici anni dopo non ci sarebbe più una conversazione di questo tipo. Ho proposto a molti attori di interpretare il ruolo di Antoine de Caunes nel film , e per un anno tutti hanno rifiutato, o perché non volevano cambiare l’immagine pubblica che loro avevano come seduttori, o perché erano gay e non volevano che si sapesse, e ho avuto molte difficoltà a trovare l’attore. Penso che se oggi riscrivessi la stessa sceneggiatura tutti gli attori vorrebbero fare una parte da gay, come il ruolo dell’handicappato, tutti pensano che così avranno un oscar. Per concludere, il punto di partenza della storia, quando avevo ventitre anni mia madre che sapeva che ero gay, voleva a tutti i costi sposarmi ad una donna e pensava che con la dolcezza e la psicologia sarebbe riuscita a cambiarmi. Cosi ha organizzato un incontro con una ragazza, già i genitori si erano messi d’accordo. Lei è arrivata a un matrimonio dove anche io ero ospite. Era vestita con un abito bianco ed era più bella della sposa. Mi ha invitato a ballare. Ma dopo un po’ lei mi ha detto: “Ma tu sei gay!..” e se n’è andata il lacrime. E questo era il punto di partenza di “L’ Homme est une femme comme les autres”. Il film successivo ‘La Folle histoire d’amour de Simon Eskenazy’ sono gli stessi personaggi come si sono evoluti dieci anni dopo”.
Dopo la proiezione dei due film Jean-Jacques Zilbermann ha risposto ad alcune domande del pubblico.
“Grazie per avere avuto il coraggio di rimanere a guardare i due film, che visti insieme sono un po’ lunghi. E’ la prima volta che i due film vengono proiettati uno in seguito all’altro. Ed è emozionante, perché ci sono tredici anni di scarto tra i due film e il primo era molto lontano nel tempo, mentre il secondo è uscito l’anno scorso ed è ancora ben presente nella mia mente. Tutti quelli che mi fanno una domanda li invito a mangiare un gelato sul Ponte Vecchio.”
Domanda – Trovo incredibile che due film cosi belli e importanti non trovino distribuzione in Italia, so che in Francia e in altri paesi hanno avuto molto successo.
Zilbermann – Il primo film ha avuto molto più successo. Quando ho girato il secondo, che non era previsto quando ho diretto il primo, ho pensato alla frase di Francois Truffaut:’ fare un film è dire nel buio a migliaia di persone, qualche cosa che non si oserebbe dire alla persona che si ama’. Questa era l’emozione nel fare il secondo film.
Domanda – e per il futuro?
Zilbermann – Penso che tra dieci anni avrò voglia di fare il seguito. Ne abbiamo parlato già molto con di Antoine de Caunes durante le riprese, e abbiamo già pensato ad un titolo: ‘Mio nonno è una lesbica’. Nel primo film il protagonista è innamorato di una donna, nel secondo si innamora di una donna che in realtà è un uomo, e nel terzo film sarebbe lui stesso una donna. Però penso che devono passare dieci anni, per lasciare che dal mio vissuto arrivino nuovi spunti per realizzare questo film. Il vissuto dell’ultimo film è stato che sia io che Antoine abbiamo perso la nostra madre in questi ultimi dieci anni e avevamo il desiderio che la storia ruotasse attorno alla figura della madre. Spero che i prossimi dieci anni la notra vita sia più felice… Domande? chi vuole un gelato?
Domanda – A me sembra che il cambiamento non sia tanto nei personaggi, che sono solo un po’ invecchiati, tranne la madre, stupenda in entrambi i film, con neanche un capello fuori posto, ma è il mondo intorno che cambia, il primo centrato su di una popolazione bianca, yiddish, mentre nel secondo esplode una Francia multietnica, che fa da co-protagonista in tutto il film.
Zilbermann – Verissimo. Ho girato il secondo film nel mio quartiere. Io abito proprio a Chateau Rouge, il quartiere degli emigranti africani a Parigi. Tutte le persone che vedete nel film, la comunità africana, hanno prima letto la sceneggiatura, ma quando arrivano i poliziotti, che erano invece degli attori, la gente ha pensato che fossero veri. Solo quando io ho gridato ‘Stop. Si rifà la scena’ hanno capito di essere tutti degli attori. E’ un quartiere che io amo molto, molte persone non hanno documenti e vivono tra molte difficoltà, e io ho pensato che questa storia tra un ebreo ed un mussulmano doveva per forza essere ambientata in questo quartiere.
Domanda – La musica nel film, la musica kletzmer, è molto importante, ma visto che il quartiere è culturalmente molto contaminato non aveva pensato di usare anche altre musiche ?
Zilbermann – No, perché la storia stessa di questa musica, è una metafora per questo film. La musica kletzmer è il blues ebraico, che si trasmette di padre in figlio, non è una musica scritta, come può essere il jazz, e il protagonista è condannato a suonare questa musica. E’ musica sacra che ha perso il senso del sacro. E l’incontro con Naim ridà il senso del sacro a questa musica perché Naim è rimasto vicino al sacro. E colui che nel film celebra i funerali della madre Bella, che è un rabbino liberale, ha detto dopo aver visto il film, che il senso nascosto del film è quello di un mussulmano che vuole salvare l’anima di un ebreo. E’ molto idealista, però il cinema è “bigger than life” più grande della vita.
Domanda – Che fine fa la mamma di Rosalie?.
Zilbermann – Nella storia rimane a New York . Ma l’attrice interpreta nel secondo film l’agente teatrale. Invece il (bellissimo) fratello piccolo di Rosalie è psicanalista per gay, e c’è sempre una lunga fila davanti al suo studio.
Domanda – Nel primo film il protagonista, e suo cugino non accettandosi completamente come gay si sposavano rendendo infelici se stessi e le loro mogli. Nel secondo film il protagonista è sempre un po’ confuso e promiscuo, ma c’è un finale positivo perché egli accetta di stare con il ragazzo mussulmano. Possiamo pensare che il terzo film sarà ancora più ottimista?
Zilbermann – Non lo posso sapere ancora perché questo film non è una fiction ma una autobiografia travestita. La sola cosa che posso dire è che io non sono un clarinettista. Il resto è più complicato. Riguardo al cugino David, mi è molto dispiaciuto che Gad Elmaleh che aveva interpretato David nel primo film, non abbia accettato di recitare anche nel secondo film, ma nel frattempo in Francia era diventato un attore molto famoso e non voleva fare una particina. Successivamente gli sceneggiatori hanno pensato che sarebbe stato ripetitivo che ci fosse una storia d’amore con il cugino, oltretutto hanno scelto un attore più giovane di dieci anni, si vede che hanno pensato che questa figura del cugino di cui ci si innamora, non invecchia mai. Invece la madre non invecchia per merito della chirurgia plastica.
Domanda – Come hanno reagito gli attori all’idea di ricostruire il cast dieci anni dopo.
Zilbermann – Durante le riprese del primo film Elsa e Antoine avevano avuto una bella storia d’amore che è durata sette anni, ed ero contento di aver filmato la nascita di questa storia di amore. La scena della prima notte nozze doveva essere all’inizio delle riprese, ma quando ho visto che i due si avvicinavano, ho voluto farli aspettare fino alla fine delle riprese, in modo tale che l’emozione fosse più forte. E sia Antoine che Elsa continuavano a chiedere, ma perché non giriamo quella scena? E io trovavo delle scuse per rinviare. Quando abbiamo girato, era la prima volta che facevano l’amore insieme. Dopo sette anni si sono separati ed è stato moto difficile ricominciare a recitare questa storia. All’epoca avevo parlato molto con Elsa, dicendole che non era colpa mia se siamo passati dalla realtà alla finzione e viceversa. Anche l’attore che doveva interpretato il padre non da voluto recitare di nuovo. Avrei voluto fare il cast con gli stessi personaggi ma la vita è più complicata.
Domanda- Abbiamo capito che c’è molto di autobiografico nei suoi film. Quanto del carattere del protagonista, questa incostanza, rispecchia il suo carattere ?
Zilbermann – E’ una domanda molto personale. Questa è una auto-biografia ma finzionale. Per darti una risposta sincera : sì, ho vissuto con un travestito algerino per sette anni. C’è stato un periodo in cui mia madre era ammalata ed è venuta a casa mia perché non poteva camminare. E’ stato un periodo molto lungo e doloroso, non era stato come nel film. Già conoscevo il vero Naim, ma non aveva mai fatto la badante di mia madre. Mia madre è morta durante la scrittura del film ed io ho pensato che mia madre era venuta per portarmi una commedia durante il lavoro di scrittura. Ci tengo a ribadire che non suono il clarinetto…
Domanda – E’ stato molto difficile trovare l’attore per il personaggio dell’arabo Naim?
Zilbermann – E’ stato molto difficile. All’inizio avevo scritto la parte per il vero Naim, ma lui non era un vero attore. Avevamo fatto dei provini e sembrava all’inizio che potesse andare bene. Però poi ha avuto il terrore di farlo. E’ tornato in Algeria, ha iniziato a pregare cinque volte al giorno, giusto per rompermi le scatole, e ha complicato le cose all’infinito. In un film sono impegnate più di trecento persone. Il mio compagno era più trash, più estremo, nella vita, rispetto al film, una vera drag queen, avrebbe potuto prendere in ostaggio tutta la troupe. Sono andato in Algeria con lui per vedere se si poteva completare il film con lui, ma poi ho concluso che sarebbe stato impossibile. E ho fatto un cast con 350 candidati per la parte. La cosa più complicata è che queste 350 persone dovevano provare vestiti nei quatto ruoli diversi del film. Non si può sapere fino a quando non sei truccato se vai bene nel ruolo. E poi ho scelto Mehdi Dehbi, uno studente di conservatorio, che è molto bello sia come donna che come uomo. Per essere credibile bisognava che Bella non si potesse mai rendere conto che Naim era un uomo. E oggi con due anni di distanza da quando l’ho girato, penso che Mehdi sia molto bravo nel film.
Domanda – E se l’avesse girato con il vero Naim?.
Zilbermann – Penso che il film sarebbe stato molto più divertente, oppure forse il film non sarebbe arrivato sino in fondo. Più il tempo passa più rimpiango di non aver voluto assumermi questo rischio.
L’ homme est une femme comme les autres di Jean-Jacques Zilbermann ci presenta Simon, un musicista gay, ultimo erede di una famiglia di ricchi ebrei. Suo zio gli ha promesso la sua fortuna a condizione che sposi una ragazza ebrea. La madre Simon lo spinge quindi ad incontrare una ragazza, Rosalie. Lei si innamora e i due si sposano. Rosalie rimane anche incinta. Ma a poco a poco la verità viene a galla e il matrimonio va a rotoli. Esattamente come era successo al cugino David, con il quale Simon aveva avuto una storia quando erano ragazzi.
In Histoire d’amour de Simon Eskenazy di Jean-Jacques Zilbermann (Francia, 2009), dieci anni dopo ritroviamo Simon costretto a ospitare a casa sua, nel quartiere parigino a maggioranza africana di Château Rouge, la mamma malata, Bella, stereotipo della classica madre ebrea, invadente e impicciona. Simon si innamora di un ragazzo arabo trans, Naïm, cameriera in un locale di cabaret, che riesce ad insediarsi a casa sua spacciandosi per badante. Ma nella confusa vita di Simon c’è già un altro ragazzo conosciuto in sauna, che per lui lascia la moglie. Spunta poi anche il figlioletto di Simon di dieci anni avuto dall’ex moglie Rosali, in procinto di risposarsi. La morte improvvisa della madre provoca in Simon una crisi profonda, dalla quale uscirà grazie alla carica umana del suo amico arabo. Due film imperdibili!
La serata del Festival è dedicata al cinema sudamericano. Contracorriente di Javier Fuentes-León (Perù /Colombia, 2009) è una bellissima ed insolita storia d’amore e di fantasmi ambientata in un villaggio di pescatori peruviano. Miguel è un pescatore con moglie e figlio in arrivo, che nasconde a tutti la sua storia d’amore con un pittore, Santiago. I due litigano perché Miguel non vuole che la loro storia possa divenire di dominio pubblico. La sera stessa Santiago muore incidentalmente in mare e si ripresenta a Miguel come fantasma. In base ad una credenza locale il fantasma di Santiago rimarrà intrappolato in paese fino a quando il suo corpo non verrà trovato e sepolto in mare con una cerimonia religiosa. Ritrovato il cadavere di Santiago, inizialmente lo tiene nascosto, continuando ad avere relazione con lui, facendo l’amore in spiaggia e, dato che il fantasma non è visto dagli altri, girando con lui nel paese, cosa che prima non faceva. Quando viene trovato un ritratto di Miguel nudo nella casa del pittore, il suo rapporto con la moglie entra in crisi. Miguel alla fine di decide a dare al cadavere di Santiago la cerimonia pubblica che gli serve per andare via in pace. La cerimonia sarà l’occasione per Miguel di fare coming out verso i suoi omofobi compaesani, che alla fine in gran parte lo accettano per quello che è. Il film rappresenterà il Perù agli Oscar 2010.
L’ultimo film della serata è stato il documentario brasiliano “Dzi Croquettes” di Raphael Alvarez e Tatiana Issa(Brasile 2009) che ha vinto il premio del pubblico al 25esimo Film Festival di cinema gay di Torino oltre a molti altri premi. Era presente il regista Raphael Alvarez. La storia raccontata in questo documentario è stata dimenticata per più di trentacinque anni e Alvarez si considera molto fortunato di essere stato in grado di riportarla in vita. “Ho avuto molti problemi nel realizzare il film perché, per l’argomento trattato non è stato possibile trovare i finanziamenti necessari“.
Il documentario racconta la storia del leggendario gruppo di teatro brasiliano en travesti Dzi Croquettes , composto principalmente da gay, diventato più famoso all’estero che in patria, dove era censurato dal regime militare. Gruppo che ha influenzato la storia della cultura pop e queer negli anni settanta, amato da Mick Jagger e Liza Minnelli. (Testo e foto di R. Mariella, video di A. Schiavone)
Alcune immagini della giornata: