La terza giornata del Florence Film Festival è stata dedicata al tema ‘ Omosessualità e Fede’. Hanno brevemente introdotto il tema , Innocenzo e Mauro, due rappresentanti del gruppo Kairòs, uomini e donne cristiani e omosessuali di Firenze:
“Per la prima volta a Firenze e forse in Italia si tiene una giornata su questo tema in un festival cinematografico. Scorreranno su questo schermo storie di donne e di uomini che cercano di conciliare la fede con la loro omosessualità. Storie più ordinarie di quanto si pensi, perché tantissime persone in questa sala e anche fuori hanno avuto questo problema. Hanno trovato qualcuno, un genitore o un sacerdote, che gli ha detto ‘tu sei sbagliato nel nome di Dio’. In realtà le cose non stanno proprio così e film come ‘Fish out of Water’ ci aiutano a dimostrarlo“.
Il primo film della giornata Fish out of Water di Ky Dickens (USA, 2009) ci è stato presentato dalla regista e dalla produttrice Fawzia Mirza.
Ky Dickens ha introdotto il film dicendo: “Abbiamo fatto questo film perché negli Stati Uniti la religione è il principale strumento per discriminare gay e lesbiche. E quindi ci è parso un ottimo spunto quello di cominciare esaminando uno per uno i sette passi del testo biblico che parlano di omosessualità, con l’aiuto di esperti abbiamo cercato di decostruirli, contestualizzarli ed esaminare cosa veramente c’è scritto. Speriamo che vi piaccia”
Fabrizio Ungaro ha poi chiesto alla regista che tipo di distribuzione ha avuto il film in America.
Ky Dickens :”Il documentario è stato inizialmente distribuito nel circuito dei festival, ha girato molto anche nelle università, ed è anche già uscito in DVD, ma la cosa più importante è che è stato richiesto anche dalle congregazioni religiose, dalle parrocchie. Si è visto anche nel documentario che ci sono sacerdoti che apertamente dicono alle loro comunità che non c’è niente di sbagliato nell’essere gay e lesbiche, in altre situazioni i sacerdoti preferiscono limitarsi a mostrare il documentario alla loro comunità aprendo una discussione“.
Dopo la proiezione del film la regista ha risposto ad alcune domande del pubblico.
Fabrizio ha chiesto perché sono stati inseriti dei cartoni animati nel film.
Ky Dickens:”L’argomento trattato può essere molto polarizzante, e rischia così di allontanare le persone piuttosto che avvicinarle attraverso un confronto, inoltre è un argomento che può risultare noioso perché dietro c’è tutto un pesante lavoro di ricerca che deve essere trasferito al pubblico rendendolo più vivace, colorato.”
Una persona del pubblico ha poi chiesto quali sono ora i diritti per i quali la comunità gay statunitense si batte in questo momento, se solo il matrimonio o se ci sono anche altri argomenti.
Ky Dickens :”Il matrimonio è sicuramente uno dei temi principali, però ultimamente, come forse voi sapete, ci sono stati numerosi casi di suicidi tra giovanissimi e adolescenti, proprio perché negli Stati Uniti l’età del coming out si è molto abbassata, non avviene più al liceo o all”università, ma anche durante le scuole medie, con ragazzi di 11- 14 anni che devono affrontare padri macho e compagni bulli“.
Un altro spettatore ha chiesto come hanno fatto a convincere a parlare quelle persone fondamentaliste che nel film fanno interventi molto negativi sull’omosessualità.
Ky Dickens :”Non è stato per niente difficile, perché loro erano pienamente convinti di dover fare il loro lavoro e non gli pareva vero che ci fossero due lesbiche che volevano sentirsi dire perchè era sbagliato il loro modo di vivere“.
Le è stato poi chiesto se appartengono ad una chiesa, ed hanno risposto che Ky Dickens è credente ma non frequenta più nessuna chiesa, mentre Fawzia Mirza è mussulmana, ma è convinta che i temi trattati abbiano una valenza universale.
E’ stato infine chiesto se non ritengono che le Chiese protestanti non siano più aperte su questi temi rispetto alle gerarchie cattoliche.
Ky Dickens ha confermato questa differenza dicendo che i sacerdoti cattolici contattati non hanno voluto essere filmati in questo documentario.
Finito il dibattito sul film ‘Fish out of Water‘ è stata data la parola ad Arianna Petilli, che ha presentato i risultati della sua tesi di laurea in psicologia sull’argomento Fede e Omosessualità. In questo suo lavoro Arianna aveva potuto contare anche sul supporto della associazione IREOS e nella scorsa edizione del festival erano circolati tra il pubblico i suoi questionari. Analizzando i questionari distribuiti soprattutto nelle associazioni di omosessuali credenti, Arianna ha ottenuto risultati che suggeriscono che “gli omosessuali che manifestano una costante frequenza religiosa o che provengono da famiglie con un´alta aderenza alla dottrina cattolica istituzionalizzata, subiscono maggiormente, rispetto agli altri omosessuali, l´impatto dei condizionamenti omofobici“. Ma – a sorpresa – i gay credenti e osservanti “non sembrano mostrare un maggior disagio psicologico o una più bassa autostima rispetto a quanto emerso per gli individui non credenti. La loro salute mentale generale non è messa in discussione, forse perché sono riusciti a fare della religione una fonte di benessere psicologico“.
E’ stato quindi proiettato in anteprima italiana il film documentario “Cul de Sac”
di Ramin Goudarzi Nejad e Mashad Torkan (UK, 2010) presenti in sala.
Il film racconta la vicenda reale di Kiana Firouz una lesbica iraniana che ha dovuto fuggire in Inghilterra, dopo che le autorità avevano saputo che lei stava girando un documentario sull’omosessualità. In Iran era e stata espulsa dall’università, la sua casa perquisita, i familiari interrogati, la sua vita era in pericolo. In Inghilterra però le autorità avevano rifiutato di rinnovarle il permesso di soggiorno, perché Kiana non poteva provare, carte alla mano, di essere lesbica e perseguitata in patria. Il film fa chiari riferimenti ai recenti avvenimenti che hanno visto la protesta studentesca brutalmente repressa dal regime iraniano.
Abbiamo chiesto ai registi se il titolo del film si riferisce al fatto che la situazione in Iran sia senza speranza.
Mashad Torkan:”In effetti la situazione appare in questo momento senza speranza, ma noi speriamo che le cose possano in futuro cambiare. Noi speriamo che i governi fondamentalisti che ora perseguitano i gay, arrivino ad accettare la realtà che gay e lesbiche hanno gli stessi diritti degli altri. Ma non sappiamo quando succederà.”
Fabrizio Ungaro ha chiesto se il film rispecchia la situazione attuale di Kiana.
Mashad Torkan:”Rispetto al film ci sono stati degli aggiornamenti positivi, grazie alle pressioni fatte dalla stampa e grazie al lavoro delle associazioni LGBT a Kiana è stato riconosciuto il diritto di asilo in Inghilterra. Però Kiana è solo una delle migliaia di lesbiche e gay che in paesi come l’Iran cercano di fuggire. Alcuni vengono uccisi altri vengono fermati in centri di accoglienza in Turchia, dove non hanno nessun diritto.”
Ramin Goudarzi Nejad:”Essere donna lesbica in Iran è allo stesso tempo un peccato e un reato, per il quale si rischia la pena di morte. Il pubblico che volevamo raggiungere con questo film non era tanto la comunità iraniana in Inghilterra, ma volevamo piuttosto raggiungere i governi, quello iraniano ma anche quello inglese, in modo che aumentasse la consapevolezza della situazione dei gay e delle lesbiche in Iran. Non abbiamo ricevuto alcun tipo di finanziamento. Quello che vedete è tutto frutto di tre persone, noi due e Kiana Firouz. Io ho qui fatto di tutto, anche il tecnico del suono, mi sono occupato delle luci ecc.”
Attesissimo è arrivato l’evento clou della giornata, che ha riempito la sala di pubblico, l’ormai famosissimo “Prayers for Bobby” di Russell Mulcahy (USA, 2009).
Alla presenza dei produttori Daniel Sladek e del suo compagno Chris Taaffe, Fabrizio Ungaro ha specificato che su richiesta esplicita dei produttori e distributori il film viene proiettato al festival gratuitamente. Questo è un progetto durato tredici anni. Nasce dall’omonimo libro che raccontava la storia vera di Bobby Griffith, ma soprattutto di Mary Griffith, perché questa in realtà è la storia di una madre. I due produttori presenti hanno speso tredici anni di lavoro per convincere gli Studios di Hollywood a raccontare questa storia, le difficoltà che hanno incontrato sono state molte, in quanto nel mondo cinematografico c’erano diverse resistenze, perché i temi trattati sono tutti scottanti, il suicidio di un adolescente, il ruolo che la religione gioca in questo suicidio e anche perché per molti il tema in questione era del tutto superato. Sappiamo benissimo che non è vero dalle cronache di questi giorni.
Il film racconta la vera storia di Mary Griffith (Sigourney Weaver) una devota cristiana che alleva i figli secondo gli insegnamenti della Chiesa Presbiterana. Quando il figlio Bobby confida al fratello maggiore di essere gay e il segreto arriva alle orecchie della madre, l’intera famiglia entra in crisi e Mary più di tutti cerca, in completa buona fede, di riportare il figlio sulla retta via cristiana. Il suicidio di Bobby fà entrare Mary in una profonda crisi che la porta a ridiscutere la sua posizione nei confronti della religione ed a impegnarsi direttamente all’interno di una associazione di genitori di ragazzi omosessuali.
Dopo il film i produttori hanno risposto ad alcune domande del pubblico.
Daniel Sladek: “Il film è stato girato in 19 giorni in Michigan. Questi 19 giorni sono stati però preceduti da dieci anni di lavoro in giro per prepararlo. Il mio compagno Chris aveva trovato in libreria il libro ‘Prayers for Bobby’ appena uscito, e mi disse che era un buon soggetto per un film. A fine dicembre uscirà il DVD negli Stati Uniti, 14 anni dopo il libro. Voi lo vedete prima della maggior parte degli americani.”
Domanda: “Perché avete scelto Sigourney Weaver come protagonista ?”
Daniel Sladek: “Perché no”. (ovazione del pubblico)
Chris Taaffe: “E’ stata per noi una grande fortuna. Lei ha accettato subito entusiasta la nostra proposta, e semplicemente il fatto di avere lei ci ha permesso di ottenere le risorse finanziarie necessarie al film. Abbiamo girato in cosi breve tempo perché lei era contemporaneamente impegnata in Avatar. Sigourney ha accettato alla condizione di poter incontrare Mary Griffith e ottenere il suo permesso a interpretare il suo personaggio sullo schermo”.
Domanda: “Più che una domanda una considerazione. Sembra impossibile che in un paese così avanzato come l’America esistano persone ancora legate ad una interpretazione cosi rigida e puritana della religione”.
Daniel Sladek: “E’ molto, molto possibile. L’America è una società molto confusa, con contraddizioni enormi. Molta di questa gente vive negli Stati in mezzo tra Los Angeles e New York (the people we fly over). Prayer for Bobby è stato pensato per la televisione, nelle prime due serate in cui è stato trasmesso è stato visto da diciassette milioni di persone, il sito web il giorno dopo ha avuto 200.000 contatti, e ricevuto oltre 2000 email prevalentemente da parte di gay e lesbiche giovanissimi. Una ricerca governativa ha svelato che l’anno scorso ci sono stati 1700 suicidi di giovani gay e lesbiche negli Stati Uniti. E quanti saranno quelli che ci hanno provato senza riuscirci?”
Domanda: “La vera Mary ha partecipato alla lavorazione del film?”
Chris Taaffe: “Noi siamo diventati molto amici di Mary e della sua famiglia. Mary ha seguito tutto il progetto. Ha appena compiuto 75 anni e l’hanno festeggiato tutti assieme nella stessa casa che si vede nel film. La vera Mary si vede alla fine del film, di fianco a quel ragazzo che Mary/Sigourney scambia per Bobby.”
Domanda: “Il film sarà distribuito in Italia nei normali canali ?”
Daniel Sladek: “I diritti del film sono stati ceduti ad un’altra società che ne gestisce la distribuzione in tutto il mondo, e noi non ne abbiamo più il controllo.”
Domanda: “Perché ci sono voluti 13 anni ?”
Chris Taaffe: “Avevamo iniziato contattando Susan Sarandon che aveva appena finito di girare ‘Dead Man Walking’, successivamente abbiamo però avuto tutta una serie di rifiuti da parte delle case di produzione, per il contenuto politico del film, il suicidio di un adolescente, una madre che rimette tutto in discussione.., il progetto rimbalzava così da una casa di produzione all’altra e così sono passati tutti quegli anni. Poi fortunatamente siamo stati chiamati in occasione di un grande sciopero degli sceneggiatori e in quell’occasione ci hanno messo a disposizione tutti i mezzi necessari. Il film è stato premiato, miglior film e migliore attrice, agli Emmy Award, tutti noi non riuscivamo a crederci”.
In prima serata è stato proiettato il film “Children of God” (Bahamas, 2009) ottima opera prima del giovane regista delle Bahamas, Kareem Mortimer .
Un film molto colorato ed esotico in cui omofobia e ipocrisia hanno per sfondo il mare, il cielo e le splendide spiagge delle Bahamas.
Il pallido Johnny, studente di pittura, fa un viaggio sull’isola in cerca di ispirazione. Lì incontra il bellissimo ragazzo di colore Romeo, che con la sua fisicità fa venire a Johnny oltre all’ispirazione, la forza di accettarsi come gay. Romeo invece davanti ai parenti perde tutta la sua focosità. Non avendo il coraggio di opporsi a sua madre che lo vuole sposato, si fidanza con una ragazza.
L’altra protagonista del film è la malmaritata Lena, attivista anti-gay impegnata in una campagna contro la sosta alle Bahamas delle crociere gay. Suo marito il reverendo Mackey, di giorno attacca i gay e la notte li cerca per fare sesso. Così trasmette una malattia venerea alla moglie e quando lei lo scopre, lui le dà della puttana e l’abbandona. Lei cade poi nelle braccia di un giovane e aperto sacerdote, ma quando il marito si rifà vivo torna con lui a fare le sue campagne anti gay. Un coraggioso intervento di Johnny durante una riunione nella chiesa locale smuoverà le acque. Ma l’omosessualità repressa avrà modo di fare ancora danni, per mano di un amante occasionale del reverendo Mackey, di giorno macho omofobo.
L’ultimo film della serata è stato “Hannah Free” di WendyJo Carlton (USA, 2009) che racconta la storia d’amore durata tutta una vita tra due donne, Hannah che crescendo diventa un’avventurosa e dichiarata lesbica e Rachel una forte ma tranquilla casalinga sposata ad un educatore religioso. Conosciutesi fin da bambine si ritrovano ai giorni nostri entrambe ricoverate nella stessa casa di riposo, ma ad Hanna è proibito di visitare Rachel ormai in coma, perché la figlia di Rachel non ritiene Hannah della famiglia. Molto romantico, il film è anche stato definito un Brokeback Mountain al femminile. (Testo e foto di R. Mariella, video di A. Schiavone)
Alcune immagini della giornata: