In questi giorni, i radicali Marco Cappato e Sergio Rovasio, hanno denunciato e portato in Parlamento il caso del servizio trasfusionale dell’ospedale Gaetano Pini di Milano, che ha dichiarato di non voler accettare la donazione di sangue da un donatore gay che finora lo aveva dato almeno venti volte per otto anni. Questa storia ci riporta alla vicenda di Lorenzo Masili, un trentottenne milanese, che il 29 marzo 2009 si è scontrato con l’ignoranza che pervade l’Italia. Masili voleva donare il sangue ma dopo aver spiegato ai medici di essere sano e di avere un rapporto monogamico con il suo compagno da otto anni, è stato cacciato dall’ambulatorio e gli è stato impedito di effettuare la donazione. In Italia non esiste nessuna legge che impedisce l’accesso alla donazione, ma in questi casi i medici si avvalgono capziosamente di un “protocollo interno rivolto alla salvaguardia della salute dei pazienti che avranno bisogno di sangue”. Un’assurda regola interna volta a discriminare i cittadini sinceri, perchè è probabile che molte persone barino nel dichiarare le proprie abitudini sessuali.
Il cinema può servire a far sì che questi incresciosi eventi non si ripetano più. Infatti la settima arte ci dimostra costantemente, rispetto ad altri mezzi di comunicazione di massa, di avere uno sguardo obliquo sul mondo, molto più complesso, elaborato, critico ed evoluto.
E’ necessario che le pellicole dalle tematica gay e lesbica circolino il più possibile, ci sono film nel cinema contemporaneo che hanno segnato l’immaginario gay ed altri meno conosciuti che profilano interessanti scenari, spesso rapportando la “diversità” al capitalismo e liberando una visione marxista della questione.
Se Orlando (1992) di Sally Potter si profila come pellicola della transculturalità e della transnazionalità di un corpo e un’identità che non concepisce frontiere (non a caso la protagonista è Tilda Swinton: attrice feticcio di Derek German) che mutano nel tempo, nelle pellicole qui trattate, l’omosessualità è strettamente dipendente dal tangibile contesto sociale che annichilisce le minoranze.
Spesso la complessità e la diversità in queste pellicole viene appiattita dall’ignoranza, la guerra, la borghesia, il capitalismo e i benpensanti.
L’Italia leghista, berlusconiana e papalina è un paese becero e volgare, dove tutto ruota intorno alla famiglia tradizionale e patriarcale. E il sessismo, il maschilismo, l’omofobia e la xenofobia sono all’ordine del giorno.
I film che proponiamo di seguito sono tre fra le tante pellicole atte a ribaltare la visione limitata e distorta dell’omosessualità. Opere che dimostrano che le discriminazioni partono da un contesto sociale arroccato in posizioni autoritarie che mira all’autoconservazione secondo i più barbari sistemi, una politica delirante ed intrisa di odio nei confronti del “diverso”.
Furyo (Merry Christmas, Mr Lawrence 1983), lo strepitoso film di Nagisa Oshima, racconta la storia ambientata a Giava nel 1942, in un campo di prigionieri di guerra, in cui una guardia coreana è condannata all’harakiri per aver violentato un prigioniero olandese. Contemporaneamente nel campo viene trasferito il maggiore Jack Celliers, motivo di una serie di tensioni che portano a brutalità sempre maggiori. La pellicola è il celebre adattamento dell’opera di Van Der Post con un David Bowie (splendidamente truccato e pop) e Ryuichi Sakamoto, stupefacenti attori. Il desiderio omosessuale si configura attraverso la punizione. Il maggiore Jack “Strafer” Celliers affronta il capitano Yonoi dandogli un bacio in bocca davanti ai suoi commilitoni, il dono – affronto costa caro al maggiore che verrà seppellito in giardino fino al collo procurandogli un agonizzante e lenta morte. Il bacio, elemento destabilizante è desiderato profondamente da Yonoi, che però subisce l’atto come un oltraggio per la posizione che ricopre, chiusa a schemi alternativi che non siano quelli del cameratismo reazionario. Così l’amore gay si sublima nella tortura e nell’impossibilità di un rapporto mai consumato e vissuto ma sempre agognato.
Strizh (2007) di Abai Kulbai, è un film tragico sulla ribellione giovanile, in cui Ainur è un’adolescente persa nei suoi sentimenti e in cerca della sua identità. La scuola è terribile come i compagni che la prendono in giro. Anche la vita in famiglia è orrenda, la madre incinta è concentrata più sul compagno alcolizzato che sulla figlia. L’unico posto in cui la ragazza trova pace è dal padre. L’amica di Ainur, Asel, sembra diventare la sua anima gemella, fino a che per questioni di denaro l’amicizia finisce. La vita della ragazza si fa di nuovo difficile e lei comincia a sentirsi sola.
Film dolce come un bacio tra donne che viene consumato tra le due amiche, forte come la rabbia di un’adolescente povera che aspira al palazzo più grande della città, il quale ha sul tetto una sfera del potere e la ricchezza, ma anche la violenza che la ragazza subisce da un uomo di potere appena riesce ad accedere nella sospirata palla vetrata. Ainur è una “diversa” perché ha un aspetto maschile, perché è povera, così viene emarginata da tutti. La forza fragile di una ragazzina contro la grandezza della strutturata città.
Strizh è stato premiato ex aequo con Grand Prix al Festival internazionale Eurasia in Kazakistan e con il NETPAC Jury Award. Un film da vedere, dove il rapporto lesbico, poco esibito viene annientato dal devastante potere del patriarcato.
Riparo dell’ italiano Marco Simon Puccioni (2008) è un film di confine che tratta temi diversi per eccellenza, l’omosessualità e l’immigrazione, quelle zone di frontiera che sono soggette al movimento e alla trasformazione, infatti una coppia di donne raccoglie un ragazzo marocchino che si insinua nella loro vita. Il dramma sociale prende le sembianze di una storia d’amore, perché sono tre i personaggi legati dall’amore tra di loro, ognuno ha una relazione diversa, ma le punte del triangolo sono connesse da una relazione affettiva. Il protagonista marocchino, Anis (Mouir Ouadi), è un elemento che destabilizza la coppia lesbica, prima la lega maggiormente e poi la disintegra, ma chi ne farà le spese sarà comunque il migrante che in questa società viene vissuto come elemento critico, più forte dell’amore lesbico tra le due donne, che è accettato a fatica dai genitori borghesi di Anna perché la compagna appartiene ad una classe sociale diversa. “Il fatto che, le due attrici che interpretano due donne italiane, non lo siano, non è una decisione a priori, spesso le attrici più famose, di fronte alla storia omosessuale declinano l’offerta” spiega il regista. Questo la dice lunga sull’arretratezza del nostro Paese.
Maria De Medeiros racconta, parlando delle due protagoniste del film: “Le due donne non vedono il ragazzo, o non lo vogliono vedere, ma c’è anche una componente marxista e sociale in tutta questa storia, c’è l’idea della diversità e di tutte le diversità […] Le due donne non hanno voglia di un uomo ma dal momento che incontrano Anis si creano delle relazioni inaspettate […]”
Il regista dichiara a proposito del film: “Le relazioni che si creano tra queste persone diverse sono dovute dalla differenza di classe sociale. Il personaggio di Mara sente la manipolazione di Anna. Una relazione omosessuale dunque che però nasconde una componente di potere, dove la figura di Anna è estremamente conservatrice, in quanto inizialmente accetta il migrante perché è pervasa dall’istinto materno, ma poi lo rifiuta appena sospetta una relazione con la sua compagna, con cui a sua volta ha una rapporto-dipendenza basata sul potere economico. Anna si configura come elemento maschile della vicenda.
Questi sono film in cui fisicamente e sessualmente l’omosessualità è poco esibita, ma sfiorata a livello visivo e vissuta molto celebralmente, in cui i protagonisti delle storie emergono con un impatto rivoluzionario, con la giusta rabbia, indispensabile per sovvertire le situazioni stagnanti, ma che inevitabilmente si arenano in una zona del non ritorno, vittime di un sistema arrogante e prepotente.
Rompere il muro dell’indifferenza oggi è anche compito del cinema, che di certo non ha il potere di plasmare le menti come nei primi decenni del ‘900, ma può veicolare concetti più umani di accoglienza, rispetto e amore nei confronti dell’Altro, colui che la maggioranza silenziosa esclude, emargina in modo brutale. Perché la vicenda che ha vissuto Lorenzo Masili non abbia più ragione di compiersi.
Sonia Cincinelli
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