Fa un certo effetto rivedere “Salò o le 120 giornate di Sodoma” il 28 giugno del 2010, nel giorno esatto dell’Orgoglio Gay (che è un po’ il Capodanno degli omosessuali), al Festival MIX MILANO. Ho provato tutt’altre sensazioni e pensato tutt’altre cose rispetto alle altre 2 volte in cui l’ho visto. Avrebbe mai voluto o immaginato Pasolini un tributo a lui in un Festival di Cinema LGBTQ XYZ?
Senz’altro Pier Paolo sarebbe stato utile a quella nazione sbirola nella forma e nel modo d’essere chiamata Italia, o almeno alla sua parte migliore. Ma al 2010 Pasolini non sarebbe mai arrivato: avrebbero trovato modo di ammazzarlo prima comunque.
Il film mantiene tutta la potenza espressiva, anzi penso ne abbia guadagnata in quell’urlo che contiene. Mi sono sempre domandato -e me lo chiesi la prima volta vedendo il film, postumo, uscito poco dopo la morte del Poeta- se forse Pasolini non avesse cercato l’autodistruzione, perché non riesco ad immaginare un film come “Salò” da parte di un regista in vita. Dopo, cosa avrebbe detto?
Ma vediamo cosa ci dice ora, o almeno cosa dice a me. Mi hanno colpito prima di tutto i quadri futuristi e l’arredamento anni ’30 così perfettamente restituito ai nostri occhi. Ma avendo visto da poco gli interni di Villa Necchi in “Io Sono l’Amore” di Luca Guadagnino, mi sono chiesto se quegli interni possono essere stati scenografia solo del male assoluto. Forse no. E’ mai esistito un potenziale “fascismo buono”? Chissà.
Poi mi ha colpito quanto le abitudini sessuali, un tempo schifose e innominabili (la golden shower, per esempio), oggi siano state declassificate nell’era internet a giochini passeggeri e innocuo passatempo.
Certo non ci sono più i bei ragazzoni e le brave ragazze di una volta che nel film vengono rappresentati come vittime, quel mondo un po’ “buon selvaggio” di cui Pasolini lamentava l’estinzione (forse anche perché gli venivano a mancare i maschi bonaccioni disponibili in libera uscita dalla caserma e stava per nascere il movimento gay).
Mi hanno infastidito le parole pesanti di Pasolini sulla sodomia come forma di sottomissione e annullamento del maschio paragonabile e forse più efficace (perché ripetibile) dell’omicidio; mi sono chiesto se era omofobia introiettata da Pierpa, una descrizione tragica e rituale o chissà, solo un “innocente” escamotage di sceneggiatura. Certo un po’ di disprezzo (se non di pallottole) verso gli uomini che amano gli uomini, discorsi così li attirano.
Ma forse Pasolini è una figura tragica come il Caravaggio di Derk Jarman ossia totalmente uncorrect e non giudicabile secondo criteri convenzionali.
Mi ha poi stupito accorgermi che certi momenti di degrado e accoppiamento tra uomini li trovavo comunque eccitanti, tipo il baffone superdotato; anche momenti del matrimonio tra persecutori e perseguitati (proprio per il matrimonio molti di noi stanno lottando: siamo rincretiniti del tutto o ci siamo emancipati?); e uno dei carnefici sembra tirato furi da un sito bear. Anzi il sadomasochismo è per molti liberatorio.
Ho lasciato perdere con le mie considerazione, mentre la trama proseguiva: tanto continuava inesorabile il gioco al ribasso del film, dove tutto fa brodo, anzi tutto fa merda. La parte coprofila è forse l’unico vero tabù che resta nel film, a tutt’oggi inosabile, sfregio assoluto. E di merda in effetti ne abbiamo mangiata grazie ai media con i capovolgimenti del senso comune, la discesa del minimo comun denominatore collettivo.
Il Capo della Protezione Civile che tra un auto ai terremotati e l’altro va a farsi fare i massaggi in un Centro Estetico, puttane candidate che nascondono il registratore mentre trombano con il Presidente del Consiglio e si vendicano per non essere state aiutate, la Chiesa ha da dire se in Belgio perquiscono i suoi archivi in cerca di prove contro i preti pedofili. …Forse siamo nei racconti delle ammalianti signore di Salò.
Aspettiamo che “Salò o le 120 giornate di Sodoma” finisca per poter giudicare.
Ricordo che il film era proiettato a MIX MILANO, il Festival di Cinema LGBTQ XYZ osteggiato dall’Amministrazione Comunale che però concede il proprio palazzo per una festa di due stilisti omosessuali, ed evasori fiscali. Milano, città Medaglia d’Oro della Resistenza.