Dzi Croquettes (Le Polpette) è un’opera straordinaria da diversi punti di vista: filmico, storico, politico e direi antropologico. Nel nome di questo gruppo c’è un tributo senza troppi problemi alle Cockettes, ensemble simile e di qualche anno precedente, la cui esperienza è rivisitata con autoironia e sfottò (“siamo come le polpette, qualcosa di piccolo, invitante, giocoso, e fatte di carne). Eppure la sfida espressiva di Dzi Croquettes ha forse superato quella della Cockettes –deragliate per l’uso delle droghe.
I neolatini sorprendentemente hanno resistito di più. Hanno trasformato senza volere la danza in politica e sono diventati negli anni della dittatura militare in Brasile (60/70) un culto, un punto di riferimento: non censurabili perché “senza contenuto” eppure eversivi, vitali, incontenibili.
Quella raccontata da Dzi Croquettes è una scena intellettuale artistica avanzata, esplosiva e controllatissima, cool. Sorprendente e rutilante e inaspettata dal Brasile di quegli anni.
Il film che è insieme un energetico ritratto della loro carriera e una galleria di testimonianze (superstiti, amici e ammiratori) dà nuovo valore al “pittoresco” brasiliano: esuberanza e forza della natura, sorprendentemente molto cool e sotto controllo. Fa l’effetto di Cabaret: prima di Bob Fosse “Germania” significava nazismo. Dopo quel film sappiamo che era proprio per annientare la libertà di amore e di vita che il nazismo era nato.
Non a caso dopo l’esplosione in Brasile – e perché era meglio cambiare un po’ aria – la mentrice internazionale di Dzi Croquettes è stata Liza Minnelli: ammiratrice che adorava Lennie Dale, coreografo e ballerino italiano-americano che li rifondò. E fu Minnelli ad aprir loro Parigi dove la loro fisicità e istinto era rimasta dopo i primi spettacoli inclassificabile: i giornalisti non sapevano trovare le parole! E fu Minnelli a portare Deneuve, Gainsbourg, Jeanne Moreau e molti altri a vedere gli spettacoli del gruppo. Incluso Josephine Baker, che lasciò nel testamento la volontà che fossero loro a prendere il suo posto, nel suo teatro, alla sua morte!
Scena da uno spettacolo delle Dzi Croquettes
Agli Dzi Croquettes non serve rivendicare la libertà di omosessualità, che è solo un frammento del discorso, anche se uno dei più importanti. Sono stati i primi travestiti che non volevano fare la bella figura, ma volevano fare la rivoluzione con il corpo. E questa ribellione del corpo intersessuato è nata non in ambito anglosassone ma nel “sottosviluppato” Brasile dell’epoca.
E’ un film su un gruppo finora semi-dimenticato, con una riflessione su quanto corta è la memoria per quanto riguarda la cultura, e ancor più la cultura gay, a differenza del pregiudizio e del luogo comune.
E’ un film sul senso di famiglia, perché il gruppo era anche una comune, e perché uno dei due registi era all’epoca una bambina (figlia dell’elettricista) cresciuta con i Dzi Croquette, che per lei erano i “pagliacci con le ciglia lunghe” che la tranquillizzavano delle sue paure. Pagliacci che fanno spesso una fine tragica: o morti assassinati o di AIDS.
E’ anche un film sulla sopravvivenza attraverso lo stile, grazie al lavoro degli straordinari registi: Tatiana Issa e Raphael Alvares … Perché Dzi Croquettes, oltre che preciso, è anche tecnicamente straordinario. La colonna sonora non è quella originale, registrata con i microfoni insieme alle riprese dell’epoca: l’audio è stato rimontato sincronizzando le scene …con la stessa musica in qualità CD!
Così, veder ballare James Brown o Elis Regina con un impatto sonoro così potente è sconvolgente. Riporta Dzi Croquettes in vita, tra noi. Con un’intensità fisica e una prepotenza emotiva che nell’era di internet abbiamo forse dimenticato. Come ricordava Laura Righi, che anni fa a Torino e a Parigi riuscì a vederli…
Vedi il sito ufficiale del film
La locandina del film:
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Un altro notevole titolo presentato al 25° Togay:
Tú eliges, di Antonia San Juan, Spagna 2009.
Antonia San Juan è attrice indimenticata (la Agrado di “Todo Sobre Mi Madre”). Da tempo autrice affermata di cinema e teatro, nel film Tú eliges apre il vaso di Pandora del dolore di vivere nella Spagna contemporanea.
Contro ogni retorica e political correctness (o ipocrisia) sviscera la difficoltà nell’eliminare convenzioni, sotterfugi e luoghi comuni dei rapporti interpersonali. Anche in una situazione “aperta” come la Spagna attuale si può cadere, anche e soprattutto in ambienti dove la ricchezza alimenta la volgarità.
Con Antonia ce n’è per tutti: vuoi perché chi ama le persone del suo sesso deve smaltire secoli di odio, indifferenza o incultura. O perché ne approfitta per giocare al ribasso. O per vigliaccheria o per pigrizia. E non sempre è evidente: in amore la strada dell’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni e belle maniere. Per nascondere bugia, manipolazione o tradimento di sé/dell’altro.
Solo scegliendo un percorso individuale di sincerità fuori dai luoghi comuni si può iniziare ad evitare la corruzione del denaro, della banalità, dalla volgarità, delle convenzioni.
Oltre che attrice, con Tú eliges, Antonia prosegue così la sua carriera di autrice forte e coraggiosa.
Il tono riesce ad essere brillante e “spagnolo” pur toccando temi taglienti, con una drammaticità che mixa tragedia e commedia. Unico difetto è forse il forte sapore teatrale (Antonia è anche autrice di opere di grande successo come “Las Que Faltaban”, dove diventa una Franca Valeri iberica, survoltata e senza un pelo sulla lingua). E per questo nel film c’è troppa carne al fuoco: se Antonia San Juan invita a scegliere- non sa essere drastica nella scelta lei. Ma più che un difetto, è il sapore del film. E bisogna comunque ringraziare la Señora San Juan per il coraggio e l’onestà.
La locandina del film:
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Paolo Rumi
(vedi blog dell’autore)
Paolo Rumi. Più di 20 anni nella radiofonia gay, fondatore de L’Altro Martedì il primo magazine gay italiano su radio. Orso dissidente. Lesbico dichiarato. Espaliano (emotivamente ha doppia cittadinanza spagnola e italiana). Enfant prodige ribelle del quartiere Gratosoglio, Milano. Si sente una sintesi quasi riuscita di Friedrich Nietsche, Corrado Levi e Amanda Lear.