PRIMA GIORNATA AL 25° TOGAY

Peter Cameron, due lungometraggi in concorso con capolavoro (“L’arbre et la foret”), uno splendido doc (“Postcard to daddy”) altri film e interessanti (più o meno) cortometraggi

L’INCONTRO CARDINALE-IVORY

Prima giornata del Festival con la proiezione dei film in concorso, la presentazione dei libri alla Feltrinelli con Peter Cameron autore di “Quella sera dorata”, l’arrivo di James Ivory e la partenza di Claudia Cardinale, ecc.
Tanta emozione, nella mattina, per l’incontro fortuito tra Claudia Cardinale e James Ivory nella hall dell’albergo Principi di Piemonte, dove alloggiano entrambi. Dopo l’affollatissima cerimonia inaugurale della 25esima edizione del “Torino GLBT Film Festival Da Sodoma a Hollywood” di ieri sera (nel corso della quale Claudia ha festeggiato il suo compleanno, celebrata dal pubblico con numerose standing ovation) l’attrice italo-tunisina aveva espresso il desiderio di visitare la Sindone. Splendida e sorridente, intorno alle 11.30 Claudia era in attesa dell’auto che l’avrebbe portata al Duomo di Torino. Proprio in quel momento, appena atterrato dagli Usa, in albergo è arrivato il regista James Ivory, che domani sera riceverà dalle mani di Liliana Cavani il premio “Dorian Gray” alla carriera. I due, che si incontravano per la prima volta, hanno approfittato dell’occasione per stringersi la mano e scambiare qualche impressione sulla città di Torino e sul Festival.


Claudia Cardinale James Ivory al Togay

LO SCRITTORE E GIURATO PETER CAMERON

L’attesissimo film fuori concorso di James Ivory, “In the City of Your Final Destination” è un libero adattamento del romanzo di Peter Cameron pubblicato in Italia col titolo “Quella sera dorata”, autore presente al festival come membro della Giuria Lungometraggi. Cameron, scrittore gay dichiarato, è stato anche l’autore che ha inaugurato la sezione letterraria “A qualcuno piace libro” alla libreria Feltrinelli. Lo scrittore Giancarlo Pastore lo ha presentato e intervistato davanti ad un foltissimo pubblico (come ha detto lo stesso Cameron, il suo libro ha venduto in Italia più della somma di tutti gli altri suoi libri). Riporteremo a breve l’integrale delle domande e risposte. Qui vogliamo solo rimarcare una nostra personale (e opinabile) delusione apprendendo che Cameron non ama essere definito un ‘autore gay’ in quanto ritiene che il compito di uno scrittore sia quello di rivolgersi a qualsiasi pubblico, senza rinchiudersi in particolari categorie (ha addirittura contestato gli editori dei libri che invece ritengono che inserire un libro in una determinata categoria sia più redditizio). Quando gli è stato chiesto come mai nei suoi romanzi i personaggi gay siano quasi sempre solo delle figure secondarie, ha risposto che il suo mondo non si limita a considerare solo l’omosessualità, che lui si sente una persona come le altre, con interessi verso molte altre tematiche. Lo ha detto come se fosse un limite affrontare solo le tematiche gay. Non osiamo immaginare con quale metro di giudizio valuterà, in quanto giurato, i film in concorso al festival.

FILM IN CONCORSO

“L’arbre et la foret” (voto 9)

Da questa sera i registi Olivier Ducastel e Jacques Martineau, coppia gay anche nella vita privata, sono in assoluto i miei autori preferiti. Non hanno fatto molti film, probabilmente nessuno di questi è un assoluto capolavoro, e forse dimostrano ancora una certa discontinuità sia nel genere che nella tecnica dei loro film, anche se quest’ultimo in concorso al Festival, “L’arbre et la foret”, dimostra a mio giudizio un grosso salto di qualità. La cosa che più mi ha entusiasmato di questo film è una perfetta coerenza stilistica, il rifiuto di qualsiasi allettamento spettacolare, e una originale e profonda indagine sul tema della persecuzione politica e sociale degli omosessuali a iniziare dagli internamenti nazisti fino quasi ai nostri giorni. Il tutto narrato attraverso le melodrammatiche vicende di una famiglia della media borghesia francese, con la musica di Wagner ospite scomodo della loro residenza, e una significativa “guerra” tra generazioni che si concluderà con una resa ‘apparente’ dei più anziani e la crescita spirituale (ma anche materiale) dei più giovani. Un film che ci fa respirare un’aria viscontiana unita ad un’attenta analisi introspettiva tipica dei migliori autori francesi.

“Sagwan” (voto 7)

Opera prima del regista filippino Monti Parungao, presente in sala, che, prima della proiezione ha voluto informarci su come venga considerata e praticata l’omosessualità nelle cattoliche Filippine: in poche parole tutti la condannano ma quasi tutti la praticano. Il film, quasi un porno soft (le scene di sesso gay sono prolungate e senza limitazioni visuali), ci presenta la vita di un gruppo di giovanissimi che lavorano come traghettatori su un bellissimo fiume, meta anche e soprattutto di turismo sessuale gay. In pratica i ragazzi arrotondano lo stipendio prostituendosi coi visitatori sotto la direzione di alcune simpatiche e furbe trans. La storia ci viene raccontata in prima persona da uno di questi ragazzi, che si crede innamorato di una fanciulla sorda ma si eccita sessualmente solo pensando ad uno dei suoi giovani e attraeanti colleghi. Il suo percorso di accettazione sarà lungo e tormentato da episodi omofobici (un po’ religiosi e un po’ vendicativi) con un finale a sorpresa (piacevole, ma forse non del tutto). Nel film si sente la mano ancora inesperta di un regista al suo esordio: flashback troppo ripetuti, tematiche diverse che s’incrociano in modi poco plausibili (genitori e figli, abuso, religione, sessualità, prostituzione, triangoli amorosi, ecc.), ma il risultato complessivo, soprattutto il ritratto di una piccola comunità locale, è senz’altro godibile.

DOC “POSTCARD TO DADDY” IN CONCORSO (voto 9)

Un documentario controverso e di non facile visione, ricco di spunti su cui riflettere. Primo fra tutti il filo conduttore e motivazione sottostante la realizzazione di questa “cartolina al papi”: il tema della pedofilia e degli abusi sessuali in famiglia. Il film infatti è un’autobiografia del noto regista tedesco Michael Stock, fresco di Berlinale, il più piccolo di tre fratelli, che ha subito le violenze sessuali del proprio padre in giovane età.
L’argomento è già scottante di suo, soprattutto in un momento in cui in Italia il dibattito su binomio pedofilia/omosessualità è più che mai acceso. Il regista e protagonista di Postcard To Daddy dichiara subito quali sono le proprie intenzioni: raccontare la propria esperienza per liberarsi dei vecchi fantasmi e tentare una riconciliazione con suo padre dopo molti anni. Questo videomessaggio dunque ripercorre l’esperienza traumatica di Michael Stock, che racconta di come suo padre lo facesse sentire colpevole di averlo sedotto, di come aspettasse i momenti in cui restavano da soli in casa per abusare di lui, di come usasse la scusa dell’educazione sessuale per violentare il figlio e di come quest’ultimo abbia ripetutamente tentato il suicidio senza che nessun altro membro della famiglia si rendesse conto di nulla. Fino a quando la famiglia si sfascia e il giovane Michael trova il coraggio di raccontare tutto a sua madre. Mentre la sorella decide di tagliare definitivamente i ponti col padre e il fratello Christian sceglie invece di mantenere i contatti, lui si rifà una vita e una famiglia e non sembra mostrare alcun segno di rimorso o di pentimento. Nel frattempo Michael comincia consapevolmente a gettar via la sua vita, forse per autopunirsi o per aver altro dolore a cui pensare, per non affrontare la sua esperienza. Fa uso di sostanze stupefacenti, beve, si macchia la fedina penale e mantiene una condotta piuttosto promiscua, nel desiderio cosciente di volersi dare totalmente agli altri, di essere sottomesso. Come conseguenza di tutto ciò, nel fiore degli anni, risulta sieropositivo.
A questo punto ci si aspetta che Michael riservi parole dure nei confronti del padre, che non voglia più avere nulla a che fare con lui, dal momento che gli ha rovinato la vita. E invece no… (G. Borghesi) segue sulla scheda del film.

MADRE AMADISIMA

Abbiamo visto il bellissimo e divertente “Madre amadisima” della regista spagnola Pilar Tàvora, tratto da un opera teatrale di Santiago Escaliante (l’attore protagonista è lo stesso: Ramon Rivero). L’anziano sacrestano Alfredito passa le sue giornate a cambiare i sontuosi abiti della statua della Madonna nera, alla quale è molto devoto (anche se non ha molta simpatia per il Papa che discrimina i gay). Parlando con la Madonna, Alfredito ripercorre la storia della sua vita, una vita divisa tra l’amore ricambiato per sua madre (e l’ odio verso il padre violento) e le sue esperienze di omosessuale. Da sempre effeminato, già da ragazzino viene evitato dagli altri compaesani, ma questo non gli impedisce di avere frequenti incontri sessuali con il bellissimo figlio del sindaco (a cui si devono le migliori scene erotiche del film) che però lo evita in pubblico dopo che il prete è andato a raccontare ai rispettivi padri quello che Alfredito gli aveva confessato. A 18 anni Alfredito deve fare il servizio militare e sue disavventure in caserma sono la parte più divertente del film. Finito il franchismo la vita di Alfredito e dei suoi amici diventa più facile. Ora la madre è morta e Alfredito è anziano e solo e non gli resta che il conforto dei suoi dialoghi con la Madonna nera. (R. Mariella)

CORTI E DOCUMENTARI A TEMATICA LESBICA (a cura di Gaia Borghesi)

ROMA BOYS di Rozàlie Kohoutovà

L’omosessualità nella comunità Rom è una tematica molto poco indagata e approfondita. Eppure il protagonista è un esponente della comunità e un noto attivista gay. La sceneggiatura di questo docu-fiction si basa proprio su una sua esperienza autobiografica. Per tale motivo, il timore di sconvenienti ripercussioni a livello lavorativo per gli attori era decisamente fondato.
Il film si snoda intorno all’incontro fra il protagonista e Marek; il primo è uno studente universitario che convive con Eva, una ragazza innamorata di lui, mentre il secondo vive con i suoi genitori in un’altra città. I due si conoscono su internet ed instaurano una buona amicizia, finché al protagonista viene dato l’incarico di fare un intervento durante la Giornata Internazionale dei Rom nella città dove vive Marek. Quest’ultimo decide dunque di fare coming out con la sua famiglia, la quale non la prende decisamente bene: dopo esser stato picchiato da suo padre e suo fratello, Marek viene costretto a sposarsi.
Roma Boys vorrebbe essere una fiction, ma, seppur con una rudimentale realizzazione, il risultato finale è alquanto curioso. Lo spettatore si rende conto che si tratta di un film, che è tutto finto, che i personaggi stanno recitando, probabilmente perché la regista vuole che se ne renda conto: talvolta i dialoghi vengono provati e le scene ripetute. Soprattutto però, questo documentario ci viene letteralmente raccontato dallo sceneggiatore/protagonista, che parla in prima persona e ci dà qualche spiegazione sulla sua sceneggiatura e sulla comunità Rom.

ANNUL VICTORY di Cheryl Riley

Un documentario ben riuscito sull’improbabile iter della legge sui matrimoni gay in California, approvata nel maggio del 2008 e rovesciata soltanto sei mesi dopo. Il montaggio è degno di nota: si alternano interventi e interviste di personaggi più o meno noti e momenti di manifestazioni, presentati con un sottofondo musicale dance, che mette proprio voglia di scendere in piazza. Personaggi come Sigourney Weaver, Cindy Lauper, Liza Minnelli, Matthew McCormack, Cleve Jones, Jane Lynch e tanti altri si schierano a favore della causa omosessuale, e non fanno segreto del loro stupore quando osservano con amarezza l’approvazione della Proposition 8, passata con il 52%. Dal canto loro, gli americani non esitano a scendere in piazza per manifestare tutto il loro disappunto. E’ una manifestazione spontanea, in piena notte, con poche decine di migliaia di persone. Forse proprio per questo motivo è una manifestazione vera: la rabbia, lo sdegno e l’orgoglio sono autentici. Una delle cose più curiose di tali esternazioni sono i cartelli preparati dai manifestanti, con frasi tanto evocative quanto poetiche in un certo senso; interessante anche la testimonianza di due gemelli omozigoti, identici in tutto e per tutto, tranne che per l’orientamento sessuale. Gay e lesbiche californiane stanno ancora lottando per vedere riconosciuti i propri diritti, prima acquisiti e poi persi.
Ormai gli omosessuali americani, soprattutto di stati come la California, sono stanchi di elemosinare quelli che loro considerano diritti primari e fondamentali. Attaccano il bigottismo e le comunità religiose e mettono in risalto l’assurdità della vicenda: è un paradosso non soltanto l’iter della legge, ma anche il fatto in sé che in California nel 2010 possa succedere una cosa simile. Il sindaco di Los Angeles arriva a definire la California come uno degli stati più arretrati dell’Occidente. C’è da domandarsi se consideri o meno il Belpaese come parte di tale Occidente. Comunque la comunità LGBT della West Coast non vuol più sentir parlare né di punti interrogativi né di punti esclamativi: quando si tratta dei loro diritti c’è soltanto un punto a capo, perché tali diritti sono ormai inalienabili.
Probabilmente sia la società che la stessa comunità LGBT italiane non sono veramente pronte a una simile mobilitazione. Però c’è da interrogarsi sul come chiediamo i nostri diritti, più che sul cosa chiedere. Anche l’iter dei PACS-DICO-“echipiùnehapiùnemetta” nostrani è stato tristemente simile, ma forse noi ce l’aspettavamo. Perché? Perché i gay e le lesbiche italiani sono disposti ad accettare una legge sui PACS, che da un lato garantisce determinati diritti e tutele, ma dall’altro li considera automaticamente cittadini di serie B. Il documentario ci scherza su, ma se effettivamente “cominciassimo a dare cattivi consigli in fatto di moda”, se tutti gli stilisti ammutinassero, cosa ne sarebbe della già provata economia italiana? E se tutti i gay e le lesbiche smettessero di pagare le tasse, dal momento che sono cittadini di serie B? Personalmente trovo che indossare con orgoglio (e con stile!) la propria omosessualità sia un dono e un privilegio essenziale, se si vuol smuovere la società. Ma credo innanzitutto che non si dovrebbe aspettare ogni anno il 20 e qualcosa di giugno per scendere in piazza: si manifesta quando c’è bisogno di qualcosa e direi che l’Arci potrebbe benissimo presentare un papiro di necessità che la comunità richiede. Ma soprattutto io ritengo che non si tratti più di ostentare la propria presenza: probabilmente manifestazioni meno appariscenti e più “serie” darebbero maggior credibilità agli occhi dell’opinione pubblica, che purtroppo vedono soltanto i luoghi comuni. Spesso il Pride è stato definito “un Carnevale”, ma bisogna capire e far capire che le richieste che sottointende sono serie. Purtroppo l’Italia è un paese impregnato di omofobia (oltre che di bigottismo). Il primo passo di questa lotta è capire e accettare se stessi e la propria omosessualità, non farne un vanto ma un punto di forza, scardinare i luoghi comuni e aver coraggio di dichiararsi, proprio come auspicava Harvey Milk, e mi sa tanto che aveva ragione.

GLORY TO THE CONQUERORS OF SPACE di Ryan Suits

Questo cortometraggio lesbico di fantascienza in 3D, il primo, vede come protagonista un’astronauta sovietica in missione nello spazio. Atterrata su Saturno, viene accolta da una bluastra e allegra popolazione aliena. La sovrana di Saturno la seduce, ma la nostra eroina deve infine far ritorno alla stazione spaziale.
Un pubblico molto variegato, complici anche gli occhialini 3D bianchi, verdi e rossi, che però rimane alquanto deluso da questi 7 minuti in cui si vede molto poco molto male e non si sente proprio nulla per la totale assenza di dialogo. Si capisce bene che il budget di questo film deve essere stato molto ridotto. Anche il cast molto scadente. Forse la sua unica qualità è da ricercarsi nell’essenza: è un cortometraggio e, in quanto tale, dura poco.

TREMBLE & SPARK di Kelly Burkhardt

Rientrata da poco a Philadelphia, la detective Charlie (?) Forest è alle prese con l’omicidio di una giovane ragazza orientale, strangolata visibilmente al momento topico di un occasionale incontro sessuale. Mentre i due colleghi sembrano gareggiare per il “premio volgarità 2010”, un tatuaggio conduce il sergente direttamente al Divine Loraine Hotel, un bordello burlesco di proprietà di Veronica Anderson, che si presenta allo spettatore proprio nel mezzo di una “colazione”. Indizio dopo indizio l’avvenente detective riuscira a far emergere la verità, ma a che prezzo…?
Forse un po’ scarico dal punto di vista della trama, questo cortometraggio può invece vantare un buon uso del colore, una buona fotografia, una sapientemente dosata colonna sonora e una recitazione volutamente (si spera) forzata che per fortuna stona rispetto alla storia relativamente piatta. Considerato il ridotto budget di partenza, la regista ha saputo tirare fuori un film tutto sommato gradevole nei suoi 24 minuti.

Alcune immagini della giornata

Lo scrittore Peter Cameron
Lo scrittore Giancarlo Pastore
"A qualcuno piace libro" alla Feltrinelli
Giovanni Minerba
James Ivory
La Giuria lungometraggi
Olivier Ducastel e Jacques Martineu
Alessandro Golinelli
Il regista filippino Monti Parungao
 

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