Pubblichiamo le pagine che il quotidiano La Stampa, nel suo inserto settimanale Torinosette, come ogni anno dedica al Festival gay di Torino. Purtroppo dobbiamo rilevare che quest’anno il servizio si è ridotto a sole tre pagine, contro le 12 dello scorso anno (vedi rass. stampa) e dei precedenti: un (triste) omaggio indiretto alla Sacra Sindone? Peccato, perché quest’anno il Togay festeggia i 25 anni con tanti illustri ospiti internazionali che meritavano di più e non di meno!
GRAZIE A CHI HA CREDUTO IN NOI PER UN FELICE QUARTO DI SECOLO
DI GIOVANNI MINERBA
DIRETTORE DEL FESTIVAL «DA SODOMA A HOLLYWOOD»
Clicca sull immagine per ingrandirla Dopo 25 anni mi piacerebbe ricordare esattamente quel primo momento, adesso è come rivedere i filmati amatoriali in vhs di allora che ho visto pochi giorni fa, sfocati, sbiaditi dal tempo, ma ogni tanto si bloccano… Era il 25 giugno 1986, al Cinema Faro di via Po (ora Greenwich), una nuvola di gente sotto i portici davanti al cinema che intralcia l’abituale passaggio, è incredulità, gioia, soddisfazione! Avevamo avuto ragione io e Ottavio, che con testarda caparbietà portavamo avanti quel progetto già da qualche anno, era divento finalmente realtà. Grazie anche agli amici, membri di quello che allora chiamammo Comitato d’Onore della Rassegna: Gianni Rondolino, Angelo Pezzana, Gianni Vattimo, Alberto Barbera, Marinella Venegoni, Stefano Reggiani, Ugo Buzzolan, Nino Ferrero, Gianni Volpi, Edoardo Ballone – e grazie all’importante patrocinio della Città di Torino e del suo coraggioso Assessore alla Cultura del tempo, Marziano Marzano.
Fra qualche giorno sarà il 15 aprile 2010, la sala cinematografica è un’altra, nel 1989 siamo diventati Festival, Ottavio ha oltrepassato lo schermo nel 1992, ma l’iniziale scelta e volontà di opporsi non si è mai affievolita. Non solo perché senza questo Festival molto cinema sarebbe invisibile, ma soprattutto per dare ad una comunità l’opportunità civile, culturale e politica di affermare la propria visibilità, rivendicare i propri desideri, chiedere riconoscimento ai propri diritti.
Con l’entusiasmo e la caparbietà del primo giorno, o forse ancor più, siamo giunti al Venticinquennale. Nei ringraziamenti, non rituali, è bene ricordare che non saremmo qui a festeggiare senza il determinante appoggio delle Istituzioni: il ministero dei Beni e delle Attività Culturali; la Regione Piemonte, la Provincia e la Città di Torino. Del modesto ma importante apporto della Fondazione Crt. Di pochi ma coraggiosi sponsor. Né esisteremmo senza l’entusiasmo e la disponibilità di uno staff in larghissima parte rinnovato rispetto agli anni precedenti. Senza la vigile e decisiva presenza del Museo Nazionale del Cinema. Senza il Maestro Ugo Nespolo che ci ha fatto dono della bellissima immagine guida del Festival e della statuetta raffigurante Oscar Wilde, che, da questa edizione sarà attribuita ad una personalità del mondo del cinema per il Premio Dorian Gray; quest’anno, ne siamo onoratissimi, a James Ivory.
Non saremmo qui a festeggiare se non avessimo la certezza dell’affetto, della testimonianza e della solidarietà dell’amico pubblico che negli anni ci ha accompagnato e al quale siamo riconoscenti e grati. Non saremmo qui, non meriteremmo d’esser qui, se infine dimenticassimo chi non c’è più, i nostri Harvey Milk, i nostri Oscar Wilde, le nostre Virginia Woolf, i miti senza i quali saremmo più poveri e tutte le vite più oscure, figure che infiammano un firmamento di eroine ed eroi senza tempo: fra i tanti, è naturale per me aggiungere Ottavio.
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Il lungo viaggio da Sodoma a Hollywood
Per la sua venticinquesima edizione il più longevo e noto festival europeo di cinema gay premia James Ivory
DANIELE CAVALLA
Nozze d’argento con James Ivory per «Da Sodoma a Hollywood». Il Torino Glbt Film Festival celebra i venticinque anni di vita attraverso una ricca edizione, com’è del resto ormai consuetudine, nobilitata dalla presenza del regista californiano in qualità di ospite. Oggi il Torino Glbt è il più antico Festival d’Europa e terzo nel mondo solo ai celeberrimi «Frameline» di San Francisco e «Outfest» organizzato a Los Angeles.
In occasione del venticinquennale il Festival si propone in una veste in parte rinnovata, con una nuova squadra di collaboratori (Fabio Bo in qualità di coodinatore artistico, Angelo Acerbi, Margherita Giacobino, Alessandro Golinelli) guidata dal direttore Giovanni Minerba.
Per festeggiare l’ambito traguardo, il Festival, in programma a Torino da giovedì 15 al 22 aprile (inaugurazione la sera del 15 all’Ideal, le proiezioni dal 16 si terranno all’Ambrosio), presenta una retrospettiva dall’eloquente titolo «I venticinque film che ci hanno cambiato la vita». Nel cartellone spiccano «Bent» del britannico Sean Mathias, un film che ha fatto epoca sull’amore ai tempi dell’Olocausto sulle note di Philip Glass, «A mia madre piacciono le donne» della coppia Inés Paris e Daniela Fejerman, effervescente commedia spagnola datata 2002 che ha giocato d’anticipo con l’era zapateriana, e «Lilies» di John Greyson, regista canadese con un passato da attivista, un’indole queer e una filmografia a dir poco eccentrica.
Come ogni anno il Festival propone tre sezioni competitive sottoposte al giudizio di tre giurie internazionali e del pubblico (concorso lungometraggi, concorso documentari, concorso cortometraggi). Fra i temi in evidenza in questa edizione ci sono l’omofobia ovvero «L’odio mangia gli uomini» anche in paesi come Iran, Camerun e Uganda, dove essere omosessuali è un reato punibile con il carcere e la morte; il tormentato, intenso e a a volte morboso rapporto genitori e figli omosessuali; la bisessualità, non vissuta più come indecisione ma come scelta; i problemi dei gay anziani e soli.
Gli omaggi riguardano tre icone del cinema internazionale tra erotismo, femminismo e drag queen: Maria Beatty, filmaker newyorkese sperimentale che indaga i territori dell’erotismo lesbico, Patricia Rozema, autrice di tre pellicole chiave («Ho sentito le sirene cantare», «When Night Is Falling» e «Mansfield Park») pietre miliari della cinematografia femminista e lesbica, e Holly Woodlawn, attrice, cantante, drag queen e performer portoricana cresciuta artisticamente nella Factory di Andy Warhol: fu a lei che Lou Reed si riferiva nel celebre intramontabile brano «Walk on the Wild Side».
A partire da questa edizione, il Torino Glbt Film Festival attribuisce un premio ad una personalità – un regista, un attore, un’attrice, un produttore – che si è particolarmente distinta, nel corso della sua vita o della sua carriera, nel cinema gay. Il premio si chiamerà «Dorian Gray» (hanno dovuto rinunciare a chiamarlo «Oscar» Wilde per una questione di copyright), una statuetta realizzata sempre da Ugo Nespolo, che riproduce la silhouette del grande letterato e commediografo irlandese. Lo scrittore che per quell’amore «che non osa dire il suo nome» fu perseguitato, processato e imprigionato, simbolo della lotta contro i pregiudizi e le discriminazioni, probabilmente la più importante icona gay della storia. Il primo premiato sarà l’ottantaduenne James Ivory, atteso a Torino sabato 17 aprile alle 20,30 all’Ambrosio con la «prima» del suo ultimo lavoro «The city of Your final destination», opera del 2007 tratta dal romanzo dello scrittore Peter Cameron (in giuria quest’anno al Gay Festival) che, nonostante l’autore di rilievo («Camera con vista» e «Maurice» un paio di suoi successi) e il cast notevole (Anthony Hopkins, Omar Metwally, Laura Linney, Charlotte Gainsbourg) è tuttora inedita nel nostro Paese.
«Da Sodoma a Hollywood – Torino Glbt Film Festival» nasce nel 1986 ed è diretto da Giovanni Minerba. Dal 2005 è gestito e amministrato dal Museo Nazionale del Cinema con il sostegno degli assessorati alla Cultura della Regione Piemonte, della Provincia e della Città di Torino, con il contributo della Fondazione Crt, oltre al ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha riconosciuto il Festival come «una tra le più importanti manifestazioni cinematografiche italiane a livello internazionale».
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INFORMAZIONI
Il Festival si svolge dal 16 al 22 aprile all’Ambrosio Cinecafé, multisala di corso Vittorio Emanuele II 52 (numero di telefono 011/540068). Inaugurazione (giovedì 15) e chiusura sono all’Ideal Cityplex (corso Giambattista Beccaria 4, telefono 011/5214316). Tutti i film in cartellone sono proposti in lingua originale con sottotitoli.
I biglietti d’ingresso costano 7 euro, stesso prezzo per il tagliando giornaliero valido per le proiezioni fino alle ore 19,30. Alla cassa dei locali sono in vendita abbonamenti per tutta la manifestazione a 70 euro (ridotti a 50 euro per i soci Aiace). Gli studenti che seguono i corsi di storia e teoria del cinema nelle Università italiane e straniere hanno diritto alla tessera di accredito. Per la serata di apertura il costo del biglietto è di 10 euro, prezzo analogo per il gran finale previsto ancora nella sala Uno dell’Ideal.
L’accesso alle proiezioni dei film ancora privi di visto della censura non è consentito ai minori di 18 anni. Gli uffici temporanei del Festival sono allo Star Hotel Majestic, corso Vittorio Emanuele II, 54. Numeri di telefono 011/4546955 e 011/5622068.
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UN SUCCESSO D’INTELLIGENZA E CIVILTA’
DI ALBERTO BARBERA
DIRETTORE DEL MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA
E’giusto interrogarsi sulle ragioni di un successo che dura ininterrottamente da venticinque anni. Al di là di spiegazioni comprensibili ma accessorie, importanti ma non decisive, come la forte spinta identitaria della comunità gay che amamanifestare – in questa come in altre occasioni consimili – il proprio spirito di appartenenza, c’è sicuramente un’altra ragione, senza la quale il Festival non avrebbe raggiunto gli obbiettivi messi a segno in due decenni e mezzo di attività, sino a diventare una delle manifestazioni di settore più conosciute e apprezzate al mondo. Mi sembra di poter indicare questa ragione nell’intuizione originaria che spinse Ottavio Mai e il suo compagno Giovanni Minerba a subordinare la motivazioni militanti del loro gesto fondatore alle più complesse e sfumate istanze di una prospettiva culturale. Consapevoli che l’ostilità e la discriminazione nei confronti degli omosessuali non si possono vincere con le armi della forza ma con quelle assai più convincenti della dialettica.
Non con le barricate o le dimostrazioni di piazza, ma con il confronto e la discussione. Da qui, la scelta di fare del Festival un’arena destinata a privilegiare più l’estetica che la polemica, più la capacità degli autori di esprimere compiutamente la propria dimensione creativa che l’efficacia del messaggio polemico o rivendicativo.
Insomma, il Festival di Mai e Minerba (in fondo, non è sbagliato continuare a chiamarlo così, anche dopo la scomparsa di Ottavio e l’avvicendarsi di numerosi e pur validi programmatori) ha fatto la cosa giusta, abbracciando la prospettiva che è propria di ogni evento culturale: è entrato in relazione con le altre manifestazioni del pensiero umano, ha dialogato con le diverse forme dell’espressione individuale, si è confrontato con le realizzazioni più significative dell’arte contemporanea e del recente passato. Ha reso così il miglior servizio possibile alla lotta per l’affermazione di quei principi di rispetto ed eguaglianza sostanziale che chiunque avrebbe diritto di vedersi riconoscere, anche e soprattutto coloro che vivono le frustrazioni e il disagio di una condizione esistenziale considerata «anormale». A venticinque anni di distanza, non è venuta meno la spinta iniziale, anzi. Molto è cambiato nella coscienza collettiva, molto ancora resta da fare. Per questo, il Festival si presenta all’appuntamento celebrativo in veste rinnovata, con una nuova squadra di programmatori e un ampio rimaneggiamento della sua scaletta. Meno dispersivo nelle articolazionima non meno ricco nelle proposte e, ci si augura, ancora più efficace nel perseguire i suoi obbiettivi di sempre. I limiti di budget non lasceranno molto spazio per grandi festeggiamenti ma la qualità del programma non è affatto destinata a risentirne. Al contrario, ci si deve aspettare che anche quest’anno il Festival si confermi come uno degli appuntamenti ai quali il Piemonte non può e non deve rinunciare, pena l’impoverimento di un orizzonte culturale che della varietà e della profondità ha sinora fatto la principale ragione del suo successo.
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Conflitti di famiglia
Apre la rassegna «Le Fil», opera prima del tunisino Mehdi Ben Attia: la Cardinale è una madre alle prese con un figlio gay
Serata di gala giovedì 15 aprile all’Ideal Cityplex per la venticinquesima edizione di «Da Sodoma a Hollywood – Torino Glbt Film Festival». Star dell’inaugurazione, Claudia Cardinale.
La sala Uno del locale di corso Beccaria vede alle 21 salire sul palco del locale Ramona Dell’Abate, conduttrice della serata, pronta a conversare con Giovanni Minerba, fondatore con Ottavio Mai e direttore del Festival, Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema, e Fabio Bo, coordinatore artistico di questa edizione.
A seguire Claudia Cardinale introduce al pubblico in sala il film «Le Fil»; l’affianca il regista tunisino Ben Attia, autore di questa pellicola che segna anche il ritorno dell’attrice nei luoghi che l’hanno vista nascere. Al termine della presentazione, quindi alle 22, viene proposto in anteprima mondiale «Le Fil», lungometraggio in cui la Cardinale interpreta Sara, la madre che accoglie nella sua villa di Hammamet il figlio Malik (Antonin Stahly), tornato in Tunisia dopo aver studiato a Parigi. Malik si innamora di Bilal (Salim Kechiouche) e Sara dovrà fare i conti con questa nuova realtà: in fondo, ai suoi tempi, anche lei, d’origine francese, aveva destato scandalo sposando un arabo (interpretato da Lotfi Dziri). Opera prima di Mehdi Ben Attia, il film affronta apertamente il tema dell’omosessualità, tabù per i paesi arabi. Nella colonna sonora si segnala la canzone «La bambola» di Patty Pravo.
Il film dura novantadue minuti e viene proiettato in lingua originale con sottotitoli in italiano. I biglietti d’ingresso costano dieci euro.
La Cardinale è tuttora impegnata in due film: «Il primo uomo» di Gianni Amelio, adattamento dall’opera postuma di Albert Camus con il protagonista Jacques Cormery, alter-ego di Camus, che negli anni Cinquanta ritorna in Algeria e ricorda gli anni della propria infanzia; «Il giorno della Shoah» di Pasquale Squitieri, opera che comincia con un imprenditore ebreo che vaga, con moglie e figlio, tra le macerie de L’Aquiala, colpita da un devastante terremoto.
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PERSONAGGI DI PRESTIGIO IN GIURIA
Un gruppo davvero “importante”
GIOVANNA CARNINO
E’ una cinquina prestigiosa quella che compone la giuria della sezione lungometraggi della 25° edizione del Festival Glbt-Da Sodoma a Hollywood. Il regista israeliano Eytan Fox, lo scrittore americano Peter Cameron, lo sceneggiatore Ivan Cotroneo, la cineasta e produttrice canadese Patricia Rozema e il co-direttore di Teodora Film Cesare Petrillo sono voci di primo piano del panorama internazionale che hanno fatto della differenza la cifra del loro successo. Eytan Fox, nato negli Stati Uniti da famiglia ebraica e cresciuto a Gerusalemme, ha raggiunto la fama nel 2002 con il pluripremiato «Yossi e Jagger», pellicola che affronta il tema dell’omosessualità all’interno dell’esercito israeliano. Sono seguiti «Camminando sull’acqua» (2004), il film israeliano più visto nel mondo, e «La bolla» (2006), difficile storia d’amore tra un israeliano e un palestinese sullo sfondo del conflitto tra i due popoli mediorientali. Per la televisione ha realizzato le serie «Florentine» e il nuovo «Mary Lou», che sarà presentato al Festival. L’omosessualità affiora anche nei romanzi dello scrittore Peter Cameron, pubblicato in Italia da Adelphi. Il suo titolo più famoso è «Quella sera dorata», da cui è stato tratto il film «The City of Our Final Destination» di James Ivory in programma quest’anno al Festival. Dal Canada arriva l’unica giurata donna, la regista e sceneggiatrice Patrizia Rozema, cui il Festival dedica un omaggio. Nonostante sia nata e cresciuta nell’Ontario in una severa comunità calvinista dove cinema e televisione erano al bando, Rozema esordisce nel lungometraggio con «I’ve Heard The Mermaids Singing» («Ho sentito le sirene cantare»), vincitore della Camera d’or al Festival di Cannes del 1987, caustica commedia sul mondo dell’arte contemporanea visto dal punto di vista di Polly, segretaria pasticciona invaghita dell’affascinante gallerista Gabrielle. Due sono i giurati italiani. Il napoletano Ivan Cotroneo, sceneggiatore, autore televisivo e narratore, ha firmato i dialoghi di pellicole come «I vesuviani» di Pappi Corsicato, «Paz!» di Renato De Maria e dell’ultimo Ozpetek «Mine vaganti». Per la tv ha scritto «L’Ottavo Nano» e «Parla con me» di e con Serena Dandini. E’ anche romanziere e traduttore ufficiale di Hanif Kureishi e Michael Cunningham. Infine, Cesare Petrillo, co-direttore con Vieri Razzini della società di distribuzione indipendente Teodora film, ha portato nelle sale italiane alcuni dei migliori registi d’essai come il francese François Ozon («Ricky»), la danese Susanne Bier («Dopo il matrimonio», «Noi due sconosciuti») e l’argentina Lucrecia Martel («La cienaga»). Ad oggi il suo più grande successo è stata la scommessa sullo «scabroso» «Irina Palm» di Sam Garbansky. Anche nelle altre sezioni del Festival diretto da Giovanni Minerba sono stati scelti nomi di rilievo per valutare i film in concorso. La giuria dei documentari è composta dalla venezuelana Maria Beatty, innovativa regista di cinema erotico al femminile a cui il festival dedica anche l’omaggio «Fronte del porno»; dal giornalista e autore televisivo Giovanni Anversa che per Rai Due ha firmato programmi come «Ho bisogno di te», «La cronaca in diretta», «Racconti di vita»; da Massimo Fusillo, docente di letterature comparate all’Università de L’Aquila. Premieranno il miglior cortometraggio il regista torinese Roberto Cuzzillo anche anima della casa di produzione Enzimistudio; Zvonimir Dobrovic fondatore e direttore del Queer Zagreb Festival di Zagabria e Massimo Fenati, designer, illustratore e animatore genovese, londinese d’adozione. Nel 2005 ha creato la striscia a fumetti Gus & Waldo, spassosa cronaca della vita di coppia di due pinguini gay.