"I Love you Phillip Morris": le reazioni in sala

Un nostro collaboratore è andato a vedere il film con Jim Carrey e ci racconta questa incredibile esperienza in una sala cinematografica della città più gayfriendly d’Italia: Bologna.

Iniziamo subito col dire che I Love you Phillip Morris non è un film demenziale. Eppure la distribuzione italiana ha fatto di tutto per farlo credere. Ha cambiato il titolo in “Colpo di fulmine”, ha tolto dal cartellone ogni riferimento alla storia d’amore omosessuale e, addirittura, non ha fatto nessun riferimento al co-protagonista Ewan McGregor. Persino nel trailer italiano l’omosessualità del protagonista sembra un travestimento per una truffa. Questo scadente e sciagurato gioco di marketing ha puntato tutto su Jim Carrey sperando in un effetto “Ace ventura” che, di fatto, è riuscito.
Da un punto di vista strettamente cinematografico il film non è riuscitissimo, è in continuo bilico fra commedia e dramma e non si decide mai ne’ per l’una ne’ per l’altra. Carrey non è proprio adatto al ruolo, comincia ad avere un’età e rimanere intrappolato in ruoli demenziali lo ha, in qualche modo, rovinato. Peccato perché, come ha dimostrato in “The Truman Show”, è davvero bravo. Qui però non si cala bene nella parte o, per meglio dire, è la sua faccia tutto sorrisi e mossette che non glielo consente. I personaggi sono abbastanza sopra le righe e i dialoghi, ma temo che sia soprattutto colpa della traduzione, sono abbastanza scadenti. Si salva solo in alcune parti, paradossalmente quelle drammatiche che sono le più interessanti e cariche di patos. Bello il senso del film, l’amore non ha colore e non ha sesso e quest’uomo, innamorato del suo compagno di cella, fa di tutto per stargli vicino.
Le spietate regole di mercato, purtroppo, hanno trasformato un potenziale bel film in qualcosa di commercialmente scadente, la campagna alla “Ace venture” ha attirato in sala ragazzini disinteressati che si aspettavano di sentire rutti e scoregge e invece si sono trovati davanti a due uomini che lottano per rimanere insieme.
E qui esco dalla critica cinematografica per immergermi in uno spaccato di quotidianità.
In sala, a Bologna (Bologna, Emilia Romagna non Bergamo. Bologna con le sue lotte per l’affermazione dei diritti civili delle minoranze omosessuali, Bologna con una storia gay ben radicata, Bologna con il Cassero, luogo amato anche da moltissimi eterosessuali) io, il mio compagno e il mio miglior amico. Noi e trecento ragazzi fra i quindici e i venticinque anni.
Pensavo che su certe tematiche le nuove generazioni fossero più avanti, più pronte, non avevo considerato l’effetto branco. Quello che ho sentito in sala durante la proiezione mi ha fatto accapponare la pelle e mi ha demoralizzato non poco. I due ragazzi vicino a me hanno iniziato a dire “che schifo” appena il protagonista si dichiara e hanno terminato alla fine del film, ho alzato la voce per far notare che potevano andare a vedere qualche altro film, hanno fatto peggio.
Purtroppo, a un certo punto del film, il vociferare era talmente alto che ho smesso di seguire il film, le offese andavano da “froci” a “culattoni”, le ragazzine in sala, purtroppo, non erano meno feroci dei maschietti. La cosa che mi ha fatto più male è che persino durante la scena più drammatica del film (Carrey che dice addio al suo ex che sta morendo) non si sono placati i malumori della sala, addirittura sono partiti un paio di “Muori frocio di merda.”
Questa è l’Italia del 2010.
Qualcuno potrebbe obiettare che era un campione relativamente basso di ragazzi e che non tutti sono così.
Io invece penso che, purtroppo, ad essere una minoranza siano i ragazzi e le ragazze che non la pensano come quelli in sala.. Lo dimostrano le ultime elezioni e lo dimostra il disprezzo quotidiano che si riversa sulla comunità LGBT.
Avrei voluto che in quella sala ci fossero campioni di mondo LGBT, da quelli che lottano quotidianamente contro le ingiustizie (per ricordare loro che nulla è stato ottenuto e che la strada è ancora lunga) a quelli che pensano che le persone LGBT non abbiano bisogno di lottare, avrei voluto che fossero presenti soprattutto coloro che si nascondono per far capire loro i danni che crea un vivere sotterraneo, il nascondersi da se stessi prima che dagli altri.
L’umanità riflessa in quella sala è la stessa con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno. Bande di ragazzi e ragazze, tutti uguali, tutti indifferenti al prossimo, vestiti allo stesso modo, pettinati uguali, pieni di informazioni eppure totalmente ignoranti, padroni di nuove tecnologie che non capiscono e di cui abusano.

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