Da sinistra: Txema Gonzalo (presidente associazione Hegoak), Roberto Caston (direttore Zinegoak e regista), Cosimo Santoro, Alaska, Michèe Philibert (festival Reflets, Marsiglia), Gorka Cornejo (regista)
Si è chiusa con un bilancio positivo l’edizione numero 7 di Zinegoak, il festival LGBT di Bilbao diretto dal regista Roberto Caston. Nove giorni di proiezioni, 5.000 spettatori e circa 80 titoli hanno segnato l’edizione di un festival in crescita, attento agli slittamenti e assestamenti di un cinema queer sempre più ricco di codici e capace di mischiare classici come Westler e Mishima a pellicole di puro intrattenimento, fino a proporre lavori come This Is Family di Jean Baptiste Erreca o Test de la vida real di Florencia P. Marano, in cui le questioni legate all’idea di famiglia e al trasgenderismo prendono vie nuove, anche rispetto a certi clichés esistenti nella comunità LGBT, attraverso le storie raccontate dai protagonisti.
Il nutrito palmares registra i due premi ufficiali assegnati dalla giuria internazionale, composta da Michèle Philibert (Francia), Cosimo Santoro (Italia) e Gorka Cornejo (Spagna), che sono stati assegnati al film filippino Jay di Francis Xavier Pasion per la sezione lungometraggi (3.000 euro) e al messicano Intimidades de Shakespeare y Victor Hugo di Yulene Olaizola per la categoria documentari (2000 euro). Altri due premi ufficiali, il premio del pubblico al miglior cortometraggio o documentario (1.000 euro) e quello “Lesbianismo y Genero” (1.500 euro), sono andati alla commedia islandese di Bardi Gudmundsson, “Mama Veit Havo Hun Syngur”, e al lungometraggio tedesco Mein Freund aus Faro di Nana Neul. I premi non ufficiali per le migliori interpretazioni maschili e femminili, assegnati dall’ Unione Attori Baschi, sono andati a Lucas Ferraro (Plan B, di Marco Berger) per la categoria attore e, ex-aequo, ad Angela Vint (The Baby Formula, di Alison Reid) e a Mina Orfanou (Strella, di Panos H. Koutras) per la categoria attrice. L’Associazione Sceneggiatori Baschi ha premiato il greco Strella di Panos H. Koutras, mentre il Premio Gioventù per il Miglior Cortometraggio è andato a Glioblastom di Tanja Bubbel e Alex Ranisch.
Un altro premio (del valore di 600 euro) è stato assegnato durante l’ormai mitico “El Show del Txistu“, spettacolo condotto dalla drag Yogurinha Borova, in cui vengono presentati cortometraggi di produzione basca il cui tema viene annunciato durante l’inaugurazione del Festival e che sono realizzati durante tutta la settimana della manifestazione. Il pubblico, munito di fischietto (txistu) rilasciato all’entrata concede alla proiezione i primi trenta secondi, dopodiché inizia a fischiare nel caso in cui il cortometraggio non piaccia. Una giuria decide poi il lavoro vincitore tra quelli che hanno superato indenni il giudizio degli spettatori. L’idea, una sorta della nostra Corrida-Dilettanti allo sbaraglio, prende spunto dallo show che già da anni si tiene a San Paolo; il pubblico ha aspettato con ansia la serata dello show, un vero e proprio festival nel festival, che quest’anno ha premiato l’esilarante El ataque de las naranjas homófobas del giovane regista Pablo Isidro.
Tra gli altri eventi del Festival, un emozionato Wieland Speck ha ritirato il Premio Speciale che gli è stato assegnato durante la serata di inaugurazione, mentre il direttore di Queer Lisboa, Joao Ferreira e i registi Joao Pedro Rodrigues e Margarida Baptista hanno presentato una selezione di film portoghesi al centro dell’omaggio di quest’edizione. La festa di chiusura si è tenuta nella prestigiosa sede del Museo Guggenheim, con un dj setting di Alaska, vera e propria star in Spagna e in tutta l’America Latina, celebre personaggio della movida madrilena, una delle muse di Almodovar e oggi voce del famoso gruppo pop Fangoria.
Tra i lungometraggi in concorso spiccava l’anteprima mondiale de L’ultimo giorno di inverno, di Sergio Fabio Ferrari, che nasce come pittore e che si è diplomato all’Accademia di Brera. L’ultimo giorno di inverno è opera prima coraggiosa per i temi affrontati ma ancora non vista nel nostro paese, un film pieno di colori, spazi e vuoti che concepisce la costruzione dell’immagine come quella di una tela da cui rimuovere tutto il superfluo e che usa le immagini per raccontare una storia, usando le parole solo quando le immagini non bastano più.
Abbiamo fatto qualche domanda a Sergio:
Il tuo film intreccia storie diverse in cui i rapporti tra le persone sembrano subire il periodo di profonda debolezza e di contraddizioni della nostra società. Ci spieghi perché hai deciso di racontare queste storie?
Viviamo in tempi dove le contraddizioni, la debolezza ed il giudizio sono parte della società e ho voluto raccontare queste storie perché mi aiutavano a rappresentare tutto questo.
Tutto il film ruota attorno al giudizio e uso personaggi deboli e forti creando situazioni estreme, poiché sono le più esposte al giudizio e quando un giudizio nasce troppo facilmente il più delle volte è sbagliato.
Se prendi una qualsiasi delle storie trattate nel film scopri che non prendo le parti di nessuno, mi limito a raccontare, nella speranza che il pubblico, una volta espresso un giudizio d’istinto, riesca a mettersi nei panni del personaggio giudicato e ne capisca, in parte, le motivazioni.
Non ci sono, nel mio film, personaggi davvero positivi o negativi, davvero buoni o cattivi.
Persino la madre apprensiva e oppressiva del giovane sacerdote (è quella che più ha attirato le antipatie e i giudizi negativi del pubblico), se si prova a mettersi nei suoi panni si riesce ad immaginare tutti gli anni in cui ha sofferto anche lei; ecco che forse il giudizio si attenua.
Come nella vita reale dove davvero sarebbe meglio astenersi dal giudicare con troppa facilità le vite e le scelte degli altri.
Poi tutti i personaggi devono fare una scelta; c’è chi sceglie con coraggio e ne paga il prezzo, chi sceglie di non vedere pur di non soffrire e nel momento della scelta, quando questa è stata fatta, i personaggi vengono isolati, rimangono da soli nello schermo forse è perché anche nella vita siamo da soli a fare le scelte davvero importanti.
Scelta e giudizio, ecco le tematiche del film.
Il tuo è un film low budget, puoi dirci qualcosa circa il suo sviluppo e se ci sono state difficoltà nel reperire fondi?
Direi che nel mio caso si può parlare addirittura di no budget. Il costo del film, a livello economico è ridicolo, circa 700 euro, euro spesi per la maggior parte in i biglietti ferroviari per gli spostamenti tra Roma e Milano miei e di Ivana Monti. Tutto il resto non è quantificabile, non sono quantificabili gli otto mesi di riprese, non lo sono gli altrettanti mesi occorsi per il montaggio. Ho scritto, girato e montato l’intero film completamente da solo durante i giorni di riposo e le sere libere mie e degli attori.
Durante il giorno lavoro in una Boutique del centro di Milano e per poter lavorare a questo film ho usato tutti i giorni di ferie possibili, di permesso retribuito e non, questo rende L’Ultimo Giorno d’Inverno un film a bassissimo costo economico ma ad un alto costo in tutti gli altri termini.
Prima di affrontare quest’avventura ho provato e riprovato a cercare fondi, produttori, qualcuno che credesse a questo progetto ma non avendo trovato nessuno ho preferito imbarcarmi in questo viaggio in solitaria piuttosto che aspettare e sperare, dopotutto il bello di fare i registi in questi tempi è che il digitale ci permette di sfiorare il livello filmico delle grandi produzioni sopperendo con il tempo e la dedizione ai soldi mancanti.
Come è stata l’accoglienza del film alla sua prima proiezione a un festival? sai già se si riuscirà a vederlo in italia?
Confesso che ero molto preoccupato per come sarebbe stato accolto, non ho avuto modo di testare il film prima, eccezione fatta per alcuni amici che lo avevano visto e non sapevo davvero che reazione avrebbe suscitato.
Sono molto contento della reazione del pubblico al Festival di Bilbao, sentivo il pubblico sorridere nei momenti giusti e “sentivo” il silenzio totale nei momenti di tensione, ho provato una forte emozione quando ho capito che quanto volevo raccontare riusciva ad arrivare al pubblico e spero di ripetere quest’emozione all’infinito.
Se si riuscirà a vederlo in Italia? Non so davvero cosa rispondere, considera che non ho nessuno che mi aiuti nella distribuzione.
Quanto mi rimane da fare è continuare a spedire il mio dvd ovunque e a chiunque, allegando le lettere più appassionate che si possano scrivere cercando di trasmettere la mia passione per il cinema e la mia voglia di fare questo mestiere. Prima o poi qualcuno presterà attenzione al mio lavoro no?
Cosimo Santoro
Il trailer di “L’ultimo giorno d’inverno” di Sergio Fabio Ferrari