A pochi giorni dalla conclusione della serie tv “Il mostro di Firenze”, che sarà trasmessa da Sky nella prima serata di giovedì prossimo, azzardiamo un breve bilancio, dal nostro particolare punto di vista, delle fiction che dallo scorso anno Sky, encomiabilmente, ha iniziato a produrre, quasi tutte con personaggi o riferimenti gay. Tra parentisi cogliamo l’occasione per denunciare ancora una volta la “pruderia” della Rai che anche oggi trasmette solo in tarda serata l’innocente “Ma l’amore… sì”, film non vietato che arriva in prima visione alle 23.10 su Rai Uno.
Diciamo subito che al vertice qualitativo della coraggiosa produzione Sky, mettiamo la serie che a noi è sembrata, nel suo complesso, la migliore e più innovativa, cioè “Romanzo Criminale”, ispirata all’omonimo film diretto da Michele Placido. Ottima struttura, fotografia, cast e interpretazioni, e un montaggio molto vicino a quello delle migliori serie americane. Insomma una serie tv italiana che si distacca completamente dalle nostre tradizionali e casalinghe serie televisive. In essa troviamo solo un personaggio gay di secondo piano, assai stereotipato (l’unica colpa che addebitiamo alla sceneggiatura) ma comunque credibile (considerati gli anni in cui si svolge la vicenda) e bene interpretato da Fausto Paravidino nel ruolo di Ranocchia, l’amico della prostituta Patrizia. Ranocchia, il soprannome già dice tutto su come venivano considerati gli omosessuali all’epoca, è presente con brevi apparizioni in sette episodi su dodici ed ha un ruolo più consistente (e assai positivo) quando viene pestato dai malavitosi perché si rifiuta di parlare.
Qualitativamente appena sotto mettiamo “Quo Vadis Baby?”, diretta da Guido Chiesa e basata sul film omonimo di Gabriele Salvatores, che ha fornito anche la direzione artistica della serie tv. Questa serie, di cui abbiamo già ampiamente parlato, è stata la prima ad avere come protagonista un personaggio gay dichiarato, per nulla stereotipato, convivente col compagno che vediamo anche baciare e dormire insieme.
Molto ben fatte sono state anche le otto puntate della serie “Donne Assassine”, due delle quali, “Patrizia” e “Veronica” dedicate in gran parte alle nostre tematiche.
Da poco terminata la miniserie in due puntate dedicata alla breve vita di Moana Pozzi, “Moana” diretta da Alfredo Peyretti, una serie che ha avuto una produzione assai travagliata, prima per la controversa scelta del cast, poi per le polemiche sollevate da Cicciolina e infine per il cambio di regia, che doveva essere del creatore e sceneggiatore Cristiano Bortone, col quale la produzione ha avuto divergenze sia d’impostazione che di contenuti.
Purtroppo, a nostro giudizio, il risultato ha risentito di queste problematiche, e il prodotto finale ci è sembrato alquanto discontinuo, con fastidiose e inutili lungaggini sulle scene hard, e molti personaggi poco riusciti se non male interpretati. Salviamo naturalmente l’impegno messoci dalla protagonista Violante Placido che ci restituisce una Moana assai veritiera, sempre in bilico tra ingenuità e arguzia, tra amorevolezza e calcolo, tra bisogno d’amore e aspirazione al successo. Viene presentata bene anche la svolta che dovrebbe allontanarla dal porno e portarla verso la politica e l’impegno culturale, con la campagna elettorale durante la quale difende il diritto alla libertà, i diritti dei diversi e delle minoranze.
Un altro personaggio riuscito ci è sembrato quello dell’amico Mario, interpretato da Giuseppe Soleri, un gay col quale abita e che le vuole molto bene, e che diventerà il suo truccatore. Solo leggermente effeminato, ci ha lasciato un po’ perplessi quando lo ritroviamo nella seconda parte, diventato Maddalena, già operato e finalmente felice, ma ormai tagliato fuori dalla complicata vita di Moana.
Delusi invece dall’interpretazione di Fausto Paravidino (era il gay sterotipato ma efficace di Romazo Criminale) nel ruolo di Riccardo Schicchi, cacciatore di talenti e imprenditore porno, che ci offre un personaggio da macchietta, sopra le righe e poco credibile. Complessivamente un film che voleva essere coraggioso e dirompente e che invece non ci ha detto nulla o poco di nuovo.
Solo qualche merito abbiamo trovato anche nella fiction “Il mostro di Firenze” prodotta da Wilder per Fox Channels Italy con protagonisti Ennio Fantastichini nei panni di Renzo Rontini e Marit Nissen in quelli della moglie Winnie, una delle coppie di genitori delle vittime degli otto duplici omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985 nelle campagne fiorentine. Nelle intenzioni degli autori questa coppia avrebbe dovuto essere il collante delle drammatiche vicende presentate, aiutandoci a comprendere il dolore umano e famigliare provocato da queste tragedie. In verità, nonostante la superba interpretazione, i momenti dedicati a questa coppia ci sono sembrati a volte troppo artificiosi e spesso quasi patetici.
La serie adotta una tecnica che vorrebbe richiamarsi a serie criminali americane come CSI, ma si perde nei soliti stereotipi italiani come l’investigatore un po’ tonto (il primo che segue le indagini) o l’investigatrice donna naturalmente sottovalutata, ecc. Più indovinata ed efficace ci è sembrata la parte dedicata ai personaggi investigati e implicati negli efferati delitti, i cosiddetti “compagni di merende”.
Un po’ pudicamente, forse per eccesso di correttezza, viene dato il minimo rilievo alle implicazioni omosessuali all’interno della banda. Nelle investigazioni s’inizia a trovare qualcosa di concreto solo quando uno di questi si autodenuncia affermando che era stato costretto a collaborare ai delitti (come palo) da Pacciani che minacciava di denuciarlo pubblicamente come frocio (in quanto aveva avuto rapporti sessuali con lo stesso Pacciani). Sentiamo solo questa sua frettolosa dichiarazione e niente altro, nemmeno da o su Pacciani. Mentre le cronache e i resoconti processuali dell’epoca insistettero molto su questi aspetti “depravati”, come, ad esempio, quando si raccontò che Pacciani fu addirittura ricoverato in ospedale per farsi togliere un vibratore dal condotto anale.
Sarebbe stata una buona occasione, da parte degli autori della serie, mostrare come all’epoca veniva considerato quasi normale o comunque accettabile avere degli amici o conoscenti serial killer, mentre era inconcepibile e insopportabile affrontare l’omosessualità in pubblico. La serie sembra anche nascondere che una delle coppie assassinate erano omosessuali, come se fosse stata una sorpresa per gli assassini, che invece, essendo la coppia in paese da più di una settimana, dovevano conoscere bene.
Per un giudizio complessivo sulla serie ci sembra opportuno attenderne la conclusione con l’ultima parte che sarà trasmessa giovedì prossimo su Fox Crime di Sky.
Qui sotto una immagine di Maddalena, ex Mario, interpretato Giuseppe Soleri in “Moana”