Il cinema gay sta vivendo un periodo d’oro. Dopo la vittoria morale di “A Single Man” al Festival di Venezia, incredibile opera prima di Tom Ford che ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile (Colin Firth) e il Queer Lion, ecco trionfare al Festival di Roma un’altra opera prima ad esclusiva tematica gay, “Brotherhood” del danese Nicolo Donato (di lontane origini italiane), che vince il Marc’Aurelio d’Oro 2009. Grazie a questa vittoria il film ha trovato una distribuzione italiana che lo porterà presto nelle nostre sale.
Intanto è finalmente arrivato sui nostri schermi l’atteso “Bruno” di Larry Charles, ultima fatica del comico Sacha Baron Cohen, apprezzato in mezzo mondo per il suo precedente dissacrante “Borat”. Le prime reazioni italiane al film sono alquanto discordanti. Noi stessi in sala abbiamo sentito commenti opposti del pubblico, cha andavano da “non pensavo che fosse così brutto e gay” (utilizzando il termine “gay” in modo dispregiativo di per sè) a “provocante capolavoro”, detto da un’anziana coppia gay. Noi naturalmente siamo più d’accordo con questi ultimi e anche se non ce la sentiamo di usare il termine capolavoro, riteniamo che “Bruno” sia addirittura più riuscito e coeso di “Borat”.
Mentre “Borat” affrontava dispersivamente una lunga serie di temi, tra i quali anche l’omosessualità e l’omofobia, “Bruno” si concentra esclusivamente su questi, assumendo un protagonista gay dichiarato, effeminato quanto basta a non farci mai dimenticare il suo orientamento, e mostrandoci come reagiscono i cosiddetti “normali” davanti alle “esuberanze” gay del nostro donchisciottesco eroe alla ricerca di celebrità.
Il film risulta quindi più unitario e, differentemente da Borat, contiene anche una sottile trama rappresentata dalle vicende sentimentali di Bruno, prima fidanzato con un latino che lo abbandona dopo aver sperimentato con lui (e con noi) tutti i possibili giochi sessuali, poi adulato e corteggiato invano dal suo assistente (al quale si nega in una straziante e commovente scenetta), per poi alla fine trovare (non possiamo dirvi chi) l’anima gemella che lo porta all’altare.
Nel frattempo Bruno, che ha come unico obiettivo quello di diventare una celebrità (al passo coi tempi, come insegnano i vari reality), ne combina ovunque di tutti i colori, a cominciare da dove lavora, in Austria, conduttore di un programma tv notturno, presto licenziato dopo un suo distruttivo servizio (novello Buster Keaton) ad una sfilata di moda a Milano; poi cerca di imporsi alla rete NBC con interviste a delle celebrità (Harrison Ford) e con un suo show che viene giudicato “peggio del cancro” (a voi scoprire perchè) e paragonato a un video porno. Cerca quindi di sfruttare l’idea del porno tentando di girarne uno con un politico (Ron Paul, esterefatto protagonista involontario scambiato per la drag queen RuPaul)… eccetera con una serie di esilaranti gags (la più famosa delle quali è la scenetta dove si presenta in tv come novello padre di un bimbo nero avuto in cambio di un ipod) che lo portano a concludere che come gay non riuscirà mai a diventare celebre in un mondo eterofilo, dove possono avere successo solo personaggi “etero” come Tom Cruise, Kevin Spacey e John Travolta. Decide quindi di andare in terapia presso due convertitori cristiani di gay che lo consigliano su come diventare eterosessuale. La prima tappa convertitrice avviene in un campo militare, poi a caccia in Alabama, poi a lezione di Taekwondo (arte dei calci e dei pugni), poi in un club di scambisti con lezioni da una “dominatrice”, tutti ambienti notoriamente “eterosessuali”. Dopo otto mesi, finalmente diventato etero, col nome di “Etero Dave”, lo vediamo protagonista di un combattimento in arti marziali in Arkansas dove succederà di tutto e di più in un finale che commuove tutti e cerca di riscattare le intemperanze e le provocazioni che ci hanno accompagnato fino a quel momento.
Il film, in perfetto stile Sacha Baron Cohen, cerca in ogni momento di scandalizzare e provocare, risultando spesso oltraggioso e difficilmente digeribile anche dai più “depravati”, ma a nostro giudizio non è mai gratuito o fine a se stesso, restando sempre fedele ad uno spirito critico che vuole mettere in rilievo contraddizioni o aspetti ambigui della nostra società e del comportamento umano. L’utilizzo di situazioni scabrose e pratiche sessuali estreme vengono impiegate da Cohen per metterci di fronte alla nostra capacità di sopportazione, cartina di tornasole della nostra reale apertura mentale e accettazione della diversità. Se la nostra reazione davanti a quelle scene è simile a quella dei personaggi etero del film, probabilmente abbiamo anche noi, gay, ancora qualche problema da risolvere. A meno che non vogliamo continuare a predicare bene e razzolare male…
Alla obiezione che il film mostrerebbe i lati peggiori del mondo gay, noi replichiamo che non possiamo giudicare un film o un’opera artistica solo con gli occhi della morale, e che spesso portare agli estremi certe situazioni, con modi quasi surreali o grotteschi, è necessario per farcele comprendere e affrontare alla radice e senza ipocrisie o vie di fuga.
Qui sotto il trailer del film.