"Viola di mare" di Donatella Maiorca

Struggente e attualissima storia di un amore lesbico nella Sicilia autoritaria e maschilista di fine ottocento. Critica tiepida (anche se quasi tutti apprezzano il coraggio del film) ma pubblico entusiasta.

Qui sopra una delicata scena del film con Isabella Ragonese e Valeria Solarino

La critica si è divisa nel giudizio sul bellissimo film di Donatella Maiorca “Viola di mare”, con in testa il borioso critico cinematografico dell’Unità Alberto Crespi che anche oggi sottolinea come il film sia “sbagliato al 100%”. A noi, che critici non siamo, il film è piaciuto moltissimo e ci è anche sembrato un film “giusto” sia nella difficile trasposizione del libro di Giacomo Pilati a cui resta fedele nello spirito e nella quasi incredibile storia, sia nel coraggio di affrontare un tema oltremodo attuale, l’omofobia, in una Italia che si sta dimostrando non molto diversa da quella Sicilia di fine ottocento.

La storia quasi incredibile di una ragazza costretta a trasformarsi in un uomo per poter amare un’altra donna, diventa nel film una storia realistica e suggestiva, che non ha nulla a che vedere con il travestitismo burlesco, fantastico o surreale di tanto cinema che piace al suddetto Crespi, qui il travestismo forzato di Angela che diventa Angelo, è una spietata condanna, una dolorosa pena inferta a chi non vuole e non può rientrare nella norma, a chi è diverso, a chi vuole restare fedele alla sua natura e non a quello che gli altri si aspettano da lui.

Superba l’interpretazione di Valeria Solarino/Angela che già dalle prime immagini ci appare come predestinata al cambio di ruolo, frutto di una società autoritaria e tribale, mentre vediamo come complemetare e altrettanto realistica l’immagine tormentata ma dolce di Isabella Ragonese/Sara, che pure deve seguire un difficile, anche se diverso, percorso verso la conquista della propria identità e libertà. Il personaggio di Sara è forse quello più vicino alle storie e alle problematiche di tante lesbiche dei nostri giorni, con le incertezze e le paure che segnano il percorso verso l’accettazione della propria diversità, rese stupendamente da una candida e commovente Ragonese. Angela è invece l’emblema della lotta, della battaglia senza limiti o paure, che solo l’amore costringerà al compromesso, ma che sarà sempre come una pentola che bolle in attesa di potersi scoperchiare.

Gli eventi tragici, attesi per tutto il film, non mancano di arrivare sul finale, ma la storia finisce con uno stupendo inno alla libertà e al coraggio, un messaggio che arriva dritto ai nostri giorni dove ancora dobbiamo difenderci da chi, purtroppo, ci vorrebbe cambiare i “connotati” in tutti i modi possibili.

Peccato che il film conceda più del necessario al voyeurismo etero, gay o lesbico che sia, cosa che potrebbe essere usata come scusa per limitarne la fruizione in alcuni ambienti o media. Gli appassionati baci tra le due donne erano più che sufficienti (e benissimo hanno fatto le due attrici a replicarli sul tappeto rosso del festival romano) per farci comprendere la loro legittima passione.

Un altro elogio va a tutta la troupe che accompagna l’uscita film, a partire dalle coraggiose dichiarazioni dell’attrice produttrice Maria Grazia Cucinotta, vista anche alla testa del corteo romano contro l’omofobia, che ha dichiarato di aver avuto tante difficoltà e porte chiuse in faccia nel realizzare questo film che deve essere “usato come uno specchio attraverso il quale ci si confronta e magari si riesce a vincere il pregiudizio“.

La regista Donatella Maiorca ha detto alla conferenza stampa di Roma che il film “è una storia che parla di liberta’, liberta’ di scegliere e di amare. Io credo che ci sia un virus latente nell’umanità, il razzismo e l’odio nei confronti dei diversi. Per questo credo che il film sia attuale oggi come allora“.

La sceneggiatrice della storia, Pina Mandolfo, ha dichiarato che: « il film dà vita a tre sfide: la rottura dei codici etero, il travestimento per sopravvivenza, la rottura della società patriarcale. Credo che sia un film che non esita ad andare “contro”, molto attuale».

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Di seguito la recensione di Marino Buzzi.

“Viola di Mare è, prima di tutto, un film molto coraggioso che mette in evidenza come, nonostante siano passati molti anni, la condizione delle donne e delle persone omosessuali non sia molto cambiata. Siamo nel XIX secolo e assistiamo alla difficile vita di una piccola isola della Sicilia. Un fantomatico barone (con baronessa al seguito) fa campare gli abitanti grazie allo sfruttamento del Tufo. A capo dei lavori ( e dell’intera isola) c’è un uomo violento che pensa solo alla propria felicità. La vicenda gira attorno a sua figlia Angela, sin da bambina carattere ribelle e libero, odiata dal padre che voleva un maschio e maltrattata a causa della sua indipendenza, e Sara la sua amica del cuore che perde il padre in guerra.
Non è una storia semplice, le due bambine crescono lontane e quando Sara torna sull’isola, alle dipendenze della baronessa, ritrova la sua vecchia amica. Nasce un amore che va oltre la falsa morale dell’isola e che porterà a conseguenze inimmaginabili.
Il padre padrone, abituato a essere “rispettato” da tutti e da tutte, prova con ogni mezzo a far cambiare la figlia senza riuscirci. Nasce quindi l’idea di farla diventare un “masculo” perché sull’isola tutti fanno quello che vuole il capo che in un momento di ira urla “se io domani mi faccio cane a tutti “bau bau” gli faccio fare”.
È il mondo dei maschi in cui l’unico modo di diventare “persone libere” è quello di farsi uomo.
E tornano prepotentemente i confronti con i giorni nostri, quel maschilismo, quella violenza dell’uomo, quel machismo strisciante non è mai morto. C’è stata una rivoluzione femminista che ha migliorato le cose ma non le ha cambiate completamente. Ancora oggi è la mentalità dell’uomo, con tutta la sua violenza ad avere la meglio. Una violenza che spesso è potere e che è divenuta il modo di pensare anche di troppe donne. E ancora il ruolo della donna ridotto ad una illusoria libertà in cui per entrare in determinati ambiti lavorativi devi “concedere” qualcosa al maschio di turno, in cui, se sei donna, guadagni meno del maschio, sei soggetta ad attenzioni non richieste, hai meno opportunità di fare carriera. Una società in cui, soprattutto nei momenti di crisi, divieni, se donna, sacrificabile e torni a rivestire il ruolo della “madre”. E allora non c’è nessuna differenza fra le botte del capofamiglia mafioso e lo sfruttamento di un qualsiasi “utilizzatore finale”, fra la violenza sessuale e lo sfruttamento del corpo, fra il mercato nero del sesso e il top costretto ad indossare per andare in televisione. Quella mentalità arrogante tipica del maschio torna con tutta la propria tristissima imponenza ai giorni nostri.
Angela quindi si fa maschio per amore, consapevole che quello è l’unico modo di poter vivere la propria condizione. Ed ecco l’altro tema del film. La negazione del corpo e della propria sessualità, il nascondere i propri sentimenti e il proprio amore, il rinnegare la propria natura, in modo ipocrita, per il ben pensare della gente.
Proprio come vorrebbero che fosse ancora oggi.
“Viole di mare” tratto dal libro “Minchia di re” di Giacomo Pilati e diretto da Donatella Maiorca è un film sulla libertà e sull’amore. Un film coraggioso, dicevo, in cui la forza è tutta al femminile. Non solo Angela e Sara ma anche le rispettive madri (soprattutto quella di Angela) donne provate dal tempo che, per amore delle proprie figlie, vanno contro le convinzioni del paese e si oppongono alla cultura dominante. Donne che non rinunciano, come farà poi Angela, alla propria identità e che camminano a testa alta in terra nemica.

Qui sotto il bacio tra Isabella Ragonese e Valeria Solarino sul tappeto rosso del Festival del Film di Roma

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