Una Mostra, questa di Venezia 66, che ha fatto parlare di sè, arrivando fino alle prime pagine dei quotidiani, per le tematiche politiche in primo luogo (culminate nella visita del presidente Chavez, cosa mai vista prima a Venezia) e per l’abbondanza di film con tematiche e personaggi omosessuali, spesso diretti da registi dichiaratamente gay.
In più c’è stata tutta una giornata, quello dell’arrivo a Venezia di George Clooney, dedicata al gossip sulla sua presunta omosessualità, in attesa di una sua dichiarazione o smentita ufficiale, che non c’è stata, anche se ha danzato intorno alla bellissima fidanzata Elisabetta Canalis (senza però mai baciarla). In merito noi abbiamo già detto la nostra (vedi news del 18/8/2009) e Clooney continua ad essere uno dei nostri divi preferiti.
Meritatissimo il premio Queer Lion all’incredibile film di Tom Ford “A Single Man” tratto dall’omonimo libro di Christopher Isherwood. Incredibile perchè è l’opera prima di un autore che fino ad oggi si era dedicato al mondo della moda e ancora più incredibile perchè riesce splendidamente a portare sullo schermo un libro difficile, fatto quasi tutto di riflessioni e commenti personali del protagonista lungo l’evolversi di una sola giornata. Efficacissima l’intuizione di Ford che lo trasforma in un aspirante suicida, struggenti i momenti ricostruiti della sua storia d’amore passata che ci rubano gli occhi e il cuore, come quelli dell’incontro con lo studente gay velato che ci fanno capire come l’amore sia dentro e non fuori da noi, basta sapergli dare spazio e vita.
Grande prova d’attore di Colin Firth, continuamente presente sullo schermo, che ha saputo entrare così bene nel personaggio che quasi ce lo sentiamo respirare addosso. Fotografia e musiche superlative, per niente da spot (come hanno insinuato alcuni critici che dovevano per forza trovarci qualcosa di negativo), contribuiscono a creare un film che è quasi un oggetto d’arte, per niente freddo o staccato, ma vivo e penetrante, impossibile da dimenticare. La motivazione del premio Queer Lion ne sottolinea anche gli aspetti politici, sottolinenando come si tratti di un’opera ricca e completa: “La giuria ha assegnato il Queer Lion 2009 all’unanimità al film di Tom Ford per la perfezione formale con cui viene raccontata la storia di un uomo che vive con dignita’ la perdita del proprio amore e perche’ ci ricorda l’urgenza di leggi che garantiscano la parita’ di diritti, affinche’ gli omosessuali possano vivere i loro amori alla luce del sole”.
Tra gli altri film che più hanno colpito pubblico e critica per il contenuto gay c’è stato senz’altro il bellissimo e solare “L’amore e basta” di Stefano Consiglio, già nelle nostre sale dal 4 settembre, dove purtroppo non sta ottenendo il successo che merita (ma è stato distribuito da Lucky Red solo in 9 copie, più come fiore all’occhiello che come titolo su cui puntare). Non vale la giustificazione che il genere documentario ha tradizionalmente uno scarso pubblico, perchè “Videocracy”, uscito lo stesso giorno (ma con 69 copie ora aumentate) ha guadagnato un sorprendente quarto posto in classifica con una media per sala di 3.032 spettatori contro i 790 de “L’amore e basta”. Il film di Consiglio riesce ad essere bello e originale anche se affronta un tema, quello delle coppie omosessuali, che i frequentatori dei festival gay conoscono già molto bene. La freschezza e semplicità con cui ci vengono presentate le storie di nove coppie lgbt ci cattura e coinvolge come stessimo vedendo nove piccoli film. Ogni coppia ha qualcosa di peculiare, dalla storia individuale, alla modalità del loro incontro, al tipo di famiglia in cui credono, allo stile di vita, alle aspettative sul futuro, sui figli, ecc. Quello che tutte hanno in comune è la “normalità” e intensità del loro amore, la sicurezza senza indecisioni sulla scelta di vivere apertamente la loro unione, e la gioia che questa scelta ha loro regalato, unita all’orgoglio di essere delle avanguardie e dei riferimenti in una società ancora in trasformazione.
Persécution di Patrice Chéreau ha conquistato tutta la critica (ma anche il pubblico), con le uniche 4 stelle assegnategli dal critico del Corriere (Paolo Mereghetti), con una storia coinvolgente e disarmante che ci racconta la solitudine e l’insicurezza dell’uomo contemporaneo, incapace non solo di percepire le persone che gli stanno intorno ma nemmeno se stesso. La grandezza del film è che si presta a diversi livelli di lettura e ognuno può trovarci dentro quello che vuole, quello che più gli assomiglia. Il tema di fondo, come ha detto lo stesso regista in conferenza stampa, è quello della paura d’amare, una paura che, purtroppo, a volte ci fa preferire la solitudine all’amore. La persecuzione del titolo è quella di un “matto” (Jean Hugues Anglade) che dice di essere innamorato del protagonista, facendosi trovare anche nel suo letto, e perseguitandolo per tutto il film. In realtà potrebbe essere l’unico “sano”, quello che non ha paura di esprimere i propri sentimenti ma che proprio per questo è quello che fa più paura a chi non è capace di essere se stesso. Bellissimo il finale sulle note della canzone “Mystery of Love”, scritta da Angelo Badalamenti e cantata da Antony and the Johnsons.
“Il compleanno”, opera seconda di Marco Filiberti dopo l’autobiografico “Poco più di un anno fa”, ci ha sorpresi per la maturità registica raggiunta dall’autore che, coraggiosamente, s’imbarca con successo nelle complicate trame di un melodramma contemporaneo, un genere che, come ha dichiarato lo stesso Filiberti, è molto affine alla sua sensibilità personale e creatrice. Con un cast di primordine (Alessandro Gassman, Massimo Poggio, Maria de Medeiros, Michela Cescon e il bellissimo esordiente modello Thyago Alves) il film ci racconta, tra dotte citazioni e iconiche scene (la masturbazione di David accompagnata dalle note di Maledetta primavera di Loretta Goggi), la scoperta di una passione omosessuale all’interno di due nuclei famigliari che si ritrovano uniti sotto lo stesso tetto in occasione di una vacanza al mare. Il tema della passione e della bellezza e della loro forza travolgente è il filo conduttore del film, quasi una tragedia greca. Stona forse un poco, per il fatto di richiamarsi più alla commedia all’italiana che alla tragedia greca, la figura interpretata da Gassman, machista e donnaiolo dalla battuta facile. Peccato che la grande stampa abbia trascurato di soffermarsi su quest’opera che speriamo possa trovare presto una distribuzione italiana.
Bello ma deludente sotto l’aspetto queer ci è sembrato “Choi voi” (“Adrift” – Alla deriva) dal quale ci aspettavamo una intensa storia d’amore lesbico che invece resta chiusa nel desiderio e nella passione dell’amica della bellissima sposa. Quest’ultima non riesce a consumare le nozze col pur bellissimo giovane sposo (che sembra un bell’addormentato e, a noi, un probabile gay represso) e che finirà tra le braccia del primo ragazzo “sveglio”. Il film è comunque assai interessante e coraggioso, opera seconda del vietnamita Bui Thac Chuyen che ci racconta, senza moralismi e didascalismi, una bella metafora della società vietnamita contemporanea che fatica a liberarsi dal vecchio e ormai inadeguato tradizionalismo famigliare.
Qui sotto l’autore e i protagonisti di “A Single Man” a Venezia 66