Merce Cunningham ci ha lasciati

Uno dei più grandi danzatori e coreografi del ventesimo secolo, fedele compagno per oltre 50 anni di John Cage, è serenamente deceduto il 26 luglio, all’età di novant’anni, nel suo appartamento di New York.

La comunità gay perde un’altra stella del suo glorioso firmamento artistico: Merce Cunningham, uno dei più grandi coreografi dell’ultimo mezzo secolo, ci ha lasciati domenica scorsa, per cause naturali, all’età di 90 anni, nella sua casa di New York.

Nel 1992 aveva perso il suo compagno di una vita, il compositore John Cage, col quale aveva condiviso dal 1944 sia la vita privata che quella artistica. Si erano conosciuti al “Cornish College of the Arts” di Seattle e subito dopo il trasferimento di Merce da Washington a New York diventarono una fedele coppia monogamica.

Nel 1944 Cunningham e Cage danno a New york il loro primo concerto insieme. Nel 1953, col supporto di altre avanguardie artistiche come Andy Warhol, Frank Stella e Jasper Johns, formano una propria compagnia (Robert Rauschenberg scenografo e Cage direttore musicale) con la quale reinventeranno la danza, oltrepassandone i confini tradizionali, mescolando varie forme artistiche anche con l’utilizzo delle nuove tecologie.

Pubblicamente Cunningham e Cage sono sempre stati molto riservati, anche per il carattere schivo e introverso di entrambi, come ci racconta Carolyn Brown (consulente artistica della compagnia) nel suo libro di memorie “Chance and Circumstance: Twenty Years with Cage and Cunningham”. Nonostante ciò tutti coloro che li conobbero e frequentarono rimasero affascinati dalla loro storia, definita spesso come “una delle storie d’amore più belle del secolo, sempre inseparabili anche nelle immancabili turbolenze”. Il critico Alfred Kazin scrisse che “mi stupivano per come vivevano sia la loro arte che la loro libertà”. Purtroppo i particolari della loro vita in comune non sono mai usciti fuori dalle mura domestiche e quando in tempo di matrimoni gay i giornalisti facevano domande specifiche a Cunningham, questi rispondeva (al Guardian nel 2000) che “non penso di essere mai stato guardingo sulla mia vita privata, John ed io eravamo insieme, facevamo tutto insieme, lavoravamo insieme, viaggiavamo insieme. Cos’altro c’è da sapere?”.

Nei suoi lavori traspare spesso la tematica omosessuale e, insieme a Cage, è stato per oltre mezzo secolo un punto di riferimento per la cultura e l’emancipazione della comunità gay americana.

Cunningham diceva che “la danza è un esercizio spirituale in forma fisica”. Il critico musicale del Times, Marc Swed, ha detto che Merce “ha cambiato la danza, e, con la sua continua ricerca innovativa, ha cambiato anche la musica. E’ sempre stato un passo avanti a tutti gli altri, che da lui hanno sempre imparato.”
Il New York Times lo ha definito “il coreografo più grande del mondo”.


Riportiamo di seguito le pagine dell’Unità di oggi che lo ricordano:

L’Ultimo ribelle

Addio Merce Cunningham
la danza della libertà

ROSSELLA BATTISTI

Turn Out The Stars, Spegnete le stelle, suonava Bill Evans, e, davvero, ora che nel giorno del compleanno dell’appena scomparsa Pina Bausch, muore anche Merce Cunningham, il firmamento della danza sembra subito buio. Se Pina era la Signora del Tanztheater, Merce era il patriarca della danza contemporanea, con sessant’anni di carriera e qualcosa come 150 lavori. Il guru ineguagliabile per generazioni di danzatori di tutto il mondo, lo scalatore di concetti di danza copernicani, il coreografo evergreen che sapeva essere più moderno dei suoi pronipoti d’arte.
Anagraficamente non ci coglie impreparati la sua morte, sebbene i novanta anni di Cunningham – che era nato il 16 aprile a Centralia, Washington – fossero lievi e aerei come i suoi Beach Birds, le creature alate e astratte di un lavoro del ’91. Nell’aprile scorso li aveva festeggiati come suo solito: creando e mandando in scena Nearly Ninety. A fermarlo, ma solo in parte, era l’artrosi che lo costringeva su una sedia a rotelle. Merce gli rispondeva beffardo, animando lezioni virtuali sul suo sito e continuando a inventarsi passi di danza al computer, la sua ultima passione. Continuava, insomma, a danzare la sua vita, infischiandosene di convenzioni e abitudini che regolano l’esistenza dei comuni mortali. Aveva iniziato a farlo da ragazzo, quando il padre sognava di passargli i ferri del mestiere da avvocato, e lui si era messo a ballare il tip tap. Al vero verbo della danza, però, lo aveva battezzato la gigantesca Martha Graham. Nel folgorante lustro (1940-45) passato a mollo nella Modern Dance, Cunningham sarebbe potuto passare già alla storia per quei ruoli che Martha gli crea su misura come l’Acrobata, il Cristo e il Predicatore, ma un destino di nome John Cage si era manifestato all’orizzonte della scuola di Seattle dove l’alto e dinoccolato Merce proseguiva i suoi studi di danza e balletto. Galeotto fu un affine sguardo zen sull’arte, orlato d’ironia, curioso. Quel «perché no» che ha poi acceso tutta la carriera di Cunningham.

SCINTILLA MAGICA

È una scintilla magica quella che si accende fra l’ex allievo di Schönberg e l’inquieto danzatore di Graham, già stanco dei drammi del modern e pronto ad abbracciare le non-emozioni della sperimentazione pura. Cage e Cunningham si fiutano, si riconoscono e si mettono insieme, tenendo separate le arti. Creano ognuno per conto proprio, lasciando che la partitura musicale e quella coreografica si incontrino parallele al debutto stesso. Musica e danza gemelle sul podio: si risolve così un problema di supremazia fra le due arti che durava da secoli. Non è che la prima di una serie di rivoluzioni che scompigliano l’estetica della danza. Nell’anno-svolta del 1952, sul Theatre Piece di Cage e con la collaborazione scenografica dell’amico Robert Rauschenberg (assieme a Jasper Johns continuerà a essere punto di riferimento per la nascente Merce Cunningham Dance Company) nascono gli «happening», eventi che non hanno nulla della magniloquenza caricaturale che si dà oggi al termine ma sono piuttosto delle epifanie d’arte. (S)piazzate in contesti diversi dal palcoscenico: sale museali, palestre, aule universitarie, dove capita… In piena riforma modern dance, Cunningham si muove già nella controriforma del post-modern, via dagli psicologismi, dentro l’astrazione. Lontano dalla retorica e vicino al gesto senza mitologia, senza divismi e senza farsi un problema di linguaggi.

LE GAMBE DEL BALLETTO

Saltando a pie’ pari la polemica tra classico e moderno, Merce prende in prestito la tecnica forte delle gambe del balletto e attinge alla versatilità espressiva di braccia e busto del «modern». In una progressiva «sfocalizzazione» della danza che trasmette alla messa in scena, dove non c’è più una trama da seguire o un primo ballerino da guardare: la danza, semplicemente, «accade». Nella sua compagnia, fondata nel ’53, capita di ballare di spalle, messi all’angolo, magari con un danzatore opposto all’altro, senza regole di architettura. Anzi, la casualità del caos è il Graal cercato da Cunningham e da Cage, che suggerisce l’uso del lancio delle monete de I Ching per decidere in modo non arbitrario l’assemblaggio di pezzi di danza e gli interpreti degli stessi. La fertile collaborazione fra la coppia, arricchita oltre che dalle felici «interferenze» di Rauschenberg e Johns, da artisti come Andy Warhol, Frank Stella e persino Duchamp, si interrompe solo con la morte di Cage nel ’92. E chi aveva dubitato della capacità di autonomia artistica di Cunningham si è dovuto ricredere con l’allestimento dell’oceanico Ocean del ’94. Per non parlare dell’ultima stagione del vecchio peter pan che si accostava al computer per intraprendere un nuovo, fantastico percorso di forme sceniche. Biped del ’99, per esempio, dove grazie alla Motion Capture, Merce catturava con dei sensori i movimenti di un ballerino rielaborandoli al computer e proiettandoli per frammenti in scena, mescolati ai passi, veri, come ombra fedele, memoria di danza in dissolvenza, gioco perpetuo fra il danzatore e il suo doppio. Quasi un riassunto di quello che ci resterà di lui, con infinita nostalgia.

Ha rivoluzionato la danza, ha inventato il postmodern, ha trasformato il caos in creazione: a poche settimane dalla morte di Pina Bausch, con Cunningham scompare l’ultimo gigante della danza.

Leone d’oro alla carriera

Nel 1995 la Biennale danza di Venezia ha assegnato a Cunningham il Leone d’Oro alla Carriera, per il suo lavoro e il suo apporto allo sviluppo del linguaggio della danza comntemporane

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Con John Cage un binomio d’oro

LUCA DEL FRA

È raro trovare una coppia nell’arte e nella vita così solida e al tempo stesso propositiva come quella formata dal coreografo Merce Cunningham e dal compositore John Cage.
C’era qualcosa di magico quando i due si esibivano insieme, il compositore sotto il palcoscenico assieme ad altri musicisti a creare una edificio di sonoro acustico e elettronico a scandire il tempo, e sopra il coreografo con i suoi danzatori a conquistare lo spazio. Ma, attenzione, danza e musica si richiamavano e amplificavano sempre in perfetta autonomia, rivoluzionando un rapporto che nella tradizione era di mimesi e sudditanza dell’una con l’altra. Il cinquantennio di collaborazione inizia nel 1942: il loro primo lavoro vede la luce durate la guerra, non molto dopo l’aggressione di Pearl Harbor in un clima di revanche nazionalista. Così mentre i suoi colleghi si lasciavano andare a marce e brani di sapore encomiastico, Cage preparò per Merce una musica profondamente percussiva, dove spiccano il suono di lattine, radio gracchianti e un pianoforte suonato come fosse una batteria. Evidente l’intento per lo meno ironico del titolo Credo in US e sarebbe curioso rivedere quale coreografia ci inventò Cunningham. Non c’era da aspettarsi altro da Cage, il terzo grande allievo di Arnold Schönberg. Ma mentre i primi due, Alban Berg e Anton Webern, ne avevano seguito a loro modo le orme, lo statunitense non si era risparmiato di far notare al suo maestro tedesco che la dodecafonia, il massimo della razionalizzazione compositiva, non dava poi risultati così diversi dal creare musica col caso. E proprio il caso, l’aleatorietà nella creazione, è stata l’ossessione di Cage, che il compositore ha in certo modo trasmesso anche al suo compagno coreografo.
La filosofia Zen, l’uso degli «I Ching» e delle 64 possibili combinazioni come strumento per creare musica con il caso, annullando così «la volontà del creatore» della tradizione romantica, sono senz’altro un portato del musicista al coreografo. E tuttavia Cunningham è riuscito a sviluppare delle idee prettamente musicali in maniera così autonoma nella danza, creando non solo uno stile, ma un nuovo linguaggio coreografico. Se di Cage talvolta si dice ingenerosamente che le sue idee artistiche sono meglio della sua musica, altrettanto non si può dire di Merce.

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