"MILK" SU CIAK

Il mensile di cinema “Ciak” diretto da Piera Detassis, dedica nel numero di gennaio 2009, sei intere pagine al film di Gus Van Sant “Milk” (in uscita il 23 gennaio), con una splendida intervista al regista. Le riportiamo integralmente.

L’incontro

INDIPENDANCE GAY

MILK, la drammatica biografia del primo uomo politico americano a dichiararsi omosessuale

Il regista Gus Van Sant, tornato ai film di grande impegno produttivo, spiega il suo metodo speciale per dirigere un attore come Sean Penn. Pochi outing a Hollywood? «E perché tutti hanno paura»

di Tina Johnk Christensen

Gus Van Sant in Milk racconta gli ultimi anni della vita dell’uomo politico Harvey Milk, primo gay dichiarato a essere eletto in una carica pubblica negli Stati Uniti (era consigliere comunale). Milk fu assassinato dal suo collega Dan White, nel municipio di San Francisco, nel 1978, appena 11 mesi dopo la sua elezione. Chi meglio di Sean Penn poteva interpretare questo pioniere americano, eroe nella lotta dei diritti civili degli omosessuali? Il caso Milk esplose proprio nel periodo in cui la Proposition 6, il referendum contro gli insegnanti omosessuali, avrebbe potuto bandire i professori gay dalle scuole della California, la cantante Anita Bryant guidava una vasta crociata omofobica e la polizia di San Francisco discriminava apertamente i gay. Le riprese si sono svolte proprio a Castro, il famoso quartiere gay di San Francisco dove Milk aveva un negozio di fotografia, utilizzato come quartier generale per la sua campagna politica. Tra gli interpreti, James Franco nei panni dell’amante di Harvey Milk, Emile Hirsch in quelli del fido organizzatore della campagna elettorale, e Diego Luna, l’ultimo amante. Ciak ha incontrato il regista Gus Van Sant.

Che cosa rende Harvey Milk cosi speciale per lei? Ha avuto qualche dubbio se di-
rigere o meno questo film?

No, non ho mai avuto dubbi sul fatto che lo avrei diretto. Era importante che lo facessi, proprio perché le persone hanno dimenticato la storia di Harvey Milk e un periodo importante. E’ la nascita di un quartiere intemazionale gay, Castro. E’ il primo decennio in cui si attenua l’idea che l’omosessualità sia criminale: prima del 1969 venivi sbattuto in galera solo se danzavi insieme a un altro uomo, su una pista da ballo. Ci stavi per diversi anni, forse dieci, solo perché avevi ballato con una persona! Dunque sì, era molto importante per me fare questo film.

Quanto era necessario per lei girarlo nella vera San Francisco?

Era importante perché è lì che si sono svolti davvero i fatti. E stato grandioso. lo volevo girarlo li, ma è stato soprattutto Sean Penn che ha insistito perché lo facessimo nella vera Frisco. E’ lui che ha reso possibile questa scelta, insistendo con la produzione: ha detto che non avrebbe fatto il film se non lo avessimo girato lì. Spesso si tende a evitare di fare film nella vera San Francisco perché è un po’ più costoso.

Milk segna il suo ritorno al cinema commerciale, con un grande budget, rivolto a un vasto pubblico, dopo un paio di film più piccoli…

Si, è il mio primo film ad alto budget dai tempi di Scoprendo Forrester.

Come si lavora con Sean Penn? Ci sono state discussioni?

Non avevo mai lavorato con Sean, ma conoscevo piuttosto bene i suoi lavori. Penso che all’inizio la nostra collaborazione si sia basata soprattutto sul reciproco rispetto professionale e, in seguito, su una sorta di discussione e confronto sul nostro modo di vedere il personaggio. Io ascoltavo quello che aveva da dirmi e viceversa, così sentivamo meglio l’approccio giusto.

Ci sono pochissimi gay dichiarati tra gli attori di spicco di Hollywood. Pensavo che in una professione del genere fosse qualcosa di più facile da accettare, per esempio rispetto alla politica. Perché fanno outing solo in pochi?

Penso che sia dovuto agli spettatori. I film si rivolgono a un pubblico più vasto possibile. Se il pubblico si compone all’80% di eterosessuali, allora chi produce film preferisce raccontare storie d’amore eterosessuali, perché pensa sia quello che il pubblico cerca. Credo sia soprattutto un fatto commerciale. Se gli attori non accettano le regole di questo gioco, la loro carriera potrebbe bloccarsi, almeno in America. Non penso che sia necessariamente così anche negli altri Paesi.

Rupert Everett dice che è per questa ragione che non è mai stato scelto come James Bond, proprio perché ha fatto outing.

Dice cosi? Lui è un buon esempio di questo discorso: era uno dei gay dichiarati tra gli attori più popolari e James Bond è un tale donnaiolo che, secondo qualcuno, è difficile immaginarselo interpretato da un omosessuale. Ma io credo che quel tipo di operazione andrebbe tentata. Nel momento in cui scegliamo un attore gay dichiarato, lo scegliamo come attore, il suo orientamento sessuale non c’entra. Per noi registi dovrebbe essere possibile fare casting a tutti gli attori gay, dichiarati o meno, in quanto attori. Ma in questo sistema i cambiamenti avvengono lentissimamente, sembra quasi Las Vegas. Intendo dire che Hollywood è molto simile all’industria del gioco d’azzardo, dove le scommesse vengono fatte sempre nello stesso modo, sempre su idee preconcette di quel tipo, come «non possiamo scegliere Rupert perché è gay e come Bond non funzionerebbe».

Lei ha fatto quasi un’operazione contraria, scegliendo Sean Penn – un eterosessuale – per interpretare Harvey Milk. Perché?

Non abbiamo così tanti attori gay dichiarati. Abbiamo Rupert Everett e poi Alan Cumming, e abbiamo avuto Anne Heche per un breve periodo (ride). Ma non sono molti. Alan Cumming avrebbe potuto interpretare Harvey Milk. Il punto è che come attore principale non riesce ad attrarre i produttori. E’ il gioco di cui parlavo prima. Le persone che investono il proprio denaro non vogliono scommettere 20 milioni di dollari su Alan più che altro perché non ha mai interpretato, da protagonista, un film di peso. A Hollywood, alla fine, ti ritrovi sempre a scegliere il tuo protagonista in una lista di attori che o sono gay non dichiarati, oppure non sono gay.

In che modo Sean Penn si distingue dagli altri attori quando crea un personaggio? C’è qualcosa che l’ha particolarmente sorpresa in lui, qualcosa che non aveva mai visto prima

Si, ma forse è difficile da spiegare a parole. E’ qualcosa di piuttosto misterioso. Ha a che fare con il suo calibro, il suo valore eccezionale. Qualcosa che riconosci in Brando o in Nicholson, in Cagney o in Bogart. Penso che nel caso di Sean, come dei divi che ho citato, sia qualcosa che viene da una personalità forte. Come tutti sanno, lui è un personaggio magnifico anche nella realtà, e riesce a mettere la stessa forza anche nei personaggi che interpreta. Penso che, in parte, questa forza derivi dal suo coraggio nella vita vera. Ed è anche un artista, perciò usa quel coraggio persino nella sua arte.

Un attore come Sean Penn, sul set, va diretto in modo speciale?

Dipende, ho notato che in certi casi gli attori sembrano solo avere bisogno dell’attenzione del regista. Sarebbe difficile per loro fare il proprio dovere se tu stai parlando al cellulare o sei distratto. Posso immaginare però altre situazioni in cui il regista ha altre preoccupazioni, piuttosto che pensare agli attori. Credo che, a volte, il modo migliore di dirigere se hai un bravo attore sia semplicemente quello di sedersi a guardare, senza perdere mai la concentrazione.

I segreti di Brokeback Mountain ha aiutato gli attori eterosessuali a non esser più riluttanti a scegliere un ruolo gay?

Si, credo che Brokeback Mountain abbia avuto molti effetti positivi, sulla realizzazione del nostro film ad esempio. Le persone di cinema spesso considerano la produzione di storie per il cinema solo come un’operazione economica, un affare, non come un esercizio educativo. L’unico modo con cui questi affaristi possono convincersi a realizzare una pellicola è che ci sia un ritorno economico che valga lo sforzo. Se il pubblico risponde in una direzione, allora cominciano a pensarci su. Credo che Brokeback Mountain sia stato un segnale forte, un modello, anche economico, per gli uomini d’affari che stanno dietro ai film: una storia gay può incassare 80 milioni di dollari! Questo per loro era sufficiente. Anche noi, senza quel film, probabilmente non avremmo mai trovato i soldi per Milk.

La morte è un tema forte e ricorrente nel suo lavoro. L’assassinio di Milk pensa abbia influenzato la scelta di questa storia da parte sua? Forse è anche per il suo assassinio che Milk è ricordato.

Sì, la sua morte ha innescato la fama della sua attività e delle sue battaglie. Ma penso che se avesse avuto la possibilità di andare avanti, nel suo lavoro, avremmo conquistato molte più vittorie. Chissà, forse sarebbe diventato governatore, e magari poi avrebbe potuto candidarsi per diventare Presidente. Credo che questo avrebbe potuto essere il suo futuro…

Molte persone pensavano che non avrebbero mai visto un presidente afroamericano nella loro vita. Potremo mai vedere un presidente omosessuale?

Penso di sì. Harvey sarebbe stato un buon Presidente.

PROFESSIONE RIBELLE

In Milk James Franco è l’amante di Sean Penn, un ruolo eccentrico nella sua carriera di erede ufficiale di James Dean. Ma nel suo futuro c’è un altro gay, Allen Ginsberg

Amante di Sean Penn e con baffetti da Clark Gable in Milk. Pusher sfattone e ipersensibile, sempre in pigiama, che alla doccia preferisce due spruzzate di deodorante, nel demenziale Strafumati: proprio lui che, pulito, bello e patinato, ora è sponsor di un noto profumo. E, prima ancora, è stato Harry Osborne, amico ambiguo, instabile e pericoloso di Spider-Man nei blockbuster di Raimi. James Franco sembra avere un debole per i ruoli da uomo ai margini della società, ribelle eccentrico. 0 è il cinema che lo vuole così? Lui si presentò alle audizioni del primo Spider-Man per la parte dell’eroe. «Bello e dannato» secondo i fan, «bello, dannato e con un’espressione sola» secondo i critici. E’ un dato di fatto che i suoi personaggi che funzionano di più sono tutti dropout: dal James Dean televisivo (2001), che ha dato a Franco premi e fama (grazie a questo biopic, De Niro lo volle al suo fianco per Colpevole d’omicidio e Altman lo scelse per The Company), fino al recente capellone sudicio Saul Silver, che smercia droga per pagare le cure alla cara nonna in Strafumati. Etichettato, forse troppo presto, come “il nuovo James Dean”, con cui, fra l’altro, condivide il nome e un’impressionante somiglianza fisica o, addirittura, come “il nuovo Brando” James Franco non ha mantenuto le etichette, almeno fino a oggi. I ruoli da protagonista che lo avrebbero dovuto consacrare definitivamente verso il successo sono andati così così: le rare volte in cui il divo californiano si è cimentato, da primo attore, in parti da eroe romantico o caparbio (Tristano in Tristano e Isotta, soldato boxeur in Annapolis) non hanno lasciato segni né al botteghino né nella memoria dei cinefili. Se ci ricordiamo un suo soldato è quello dalla coscienza macchiata di crimini – non solo – di guerra di Nella valle di Elah di Paul Haggis. E’ grazie ai suoi recenti ribelli o all’insospettabile verve comica (si veda anche Acting with J.F. sul sito funnyordie.com) che l’attore di Palo Alto torna a bucare lo schermo. Negli Usa il suo bacio gay, lungo quasi un minuto e appassionato, al collega Penn, in Milk, ha suscitato l’ira dell’American Family Association, che invita i cittadini americani a boicottare il film. L’attore ci scherza: “Sean, dopo quella scena, mi chiedeva tutto il tempo se la mia ragazza bacia meglio di lui!”. Per inciso: non si capisce come l’associazione delle famiglie eterosessuali possa essere così colpita da un bacio gay, in un film su un’icona dei diritti degli omosessuali. Cosa avrebbero dovuto scambiarsi i due amanti, vigorose pacche sulle spalle? Prossimamente James Franco sarà ancora un omosessuale illustre e realmente esistito: ridarà corpo, volto e voce ad Allen Ginsberg in Howl, urlo, film che ricostruisce il processo per oscenità contro il poeta beat e i suoi versi scolpiti col furore.

Luca Barnabé

MILK

Usa, 2oo8 Regia Gus Van Sant.
Con Sean Penn, James Franco, Josh Brolin
Distribuzione Bim
Come Elephant, Last Days e Paranoid Park, anche Milk è la cronaca di una morte annunciata. Ma rispetto alla narrativa sparsa, alla spazialità destabilizzante e al lirismo contemplativo degli ultimi film di Gus Van Sant, è articolato in un impianto classico, meticolosamente ricostruito, quasi cauto. Un film adulto per l’eterno adolescente Van Sant, a cui Sean Penn porta una delle interpretazioni più libere e luminose della sua carriera. Ed è un film inquivocabilmente “del momento”. Non solo per la battaglia sul matrimonio gay in California: l’aura di Milk – un movimentista, un candidato improbabile, di minoranza su cui aleggia l’ipotesi di una tragedia non può non ricordare quella di Barack Obama.

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UN ANNO D’AMORE

Nel 2009 una valanga di film a tematica gay. Ecco titoli e attori, dal “vampiro” Robert Pattinson a Nicole Kidman

“Il bacio tra Ennis e Jack? Una delle scene d’amore più belle che abbia mai visto. Tagliarlo è stato una vergogna». «La Rai ha censurato le scene di sesso tra i due protagonisti di Brokeback Mountain: che senso ha?». Sono solo due dei molti commenti indignati arrivati in redazione dopo che il 9 dicembre scorso Raidue ha mandato in onda in seconda serata il film di Ang Lee (otto nomination, tre Oscar, quattro Golden Globe e Leone d’oro a Venezia 2005) tagliando tutti i baci e le scene di sesso tra Heath Ledger e Jake Gyllenhaal. Subito dopo è
partito il balletto delle responsabilità con la Rai che si affrettava a chiarire che non si è trattato di censura, l’Arcigay che invitava a trasmettere il film in versione integrale e qualcuno che accusava il film di essere nient’altro che uno spot per l’omosessualità. E mentre il Vaticano ha suscitato più di qualche perplessità opponendosi alla proposta che la Francia ha fatto all’Onu di depenalizzare il reato di omosessualità nel mondo, Milk è solo il primo di una lunga serie di pellicole a tematica omosessuale del 2009, una vera e propria onda arcobaleno che invaderà le sale.
Tra i più attesi ci sono l’incontro tra Jim Carrey e Ewan McGregor, amici, complici e amanti in I Love You, Philip Morris e la coppia Luca Argentero e Filippo Nigro in Diverso da chi?, ma molta curiosità desta anche la versione gay del vampiro Robert Pattinson di Twilight che in Little Ashes di Paul Morrison sarà Salvador Dalì impegnato in una relazione con il grande poeta Federico García Lorca (Javier Beltran) nella Spagna del 1922. Dopo Borat anche il dissacrante Sasha Baron Cohen diventerà gay ma a modo suo visto che in Bruno sarà un eccentrico giornalista di moda austriaco. Sono ancora nelle sale sia la coppia Lambert Wilson e Pascal Elbé in Baby Love di Vincent Garenq, in cui i due si confrontano con l’adozione di un bambino, sia il film-caso di Venezia Un altro pianeta di Stefano Tummolini che sarà presentato al Sundance di Robert Redford a fine mese. Nella nuova versione cinematografica del romanzo di Evelyn Waugh, Ritomo a Brideshead, saranno gli amici Ben Whinshaw e Matthew Goode a scambiarsi baci, mentre nell’indipendente To Each Her Own la regista Heather Tobin metterà in scena l’amore tra due ragazze in un paese di provincia. Nicole Kidman sta invece finendo la trasposizione di The Danish Girl, storia vera degli artisti danesi Greta e Einar Wegener (la stessa Kidman e Charlize Theron), coppia etero di inizio Novecento che dopo l’operazione al sesso di lui, divenne lesbica. Lo scandalo all’epoca fu talmente grande che lo stesso sovrano della Danimarca si sentì in dovere di annullare il loro matrimonio. Chissà se lo trasmetteranno mai su Raidue.

Andrea Morandi

Da “Ciak” di Gennaio N.1 2009

Tag

baci gay

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