“L’uomo che ama” di Maria Sole Tognazzi, ha avuto l’onore di aprire il Festival Internazionale del Film di Roma 2008, cosa che lo ha messo sotto il tiro incrociato e inesorabile dei critici cinematografici che, chissà perché, dopo il trionfo italiano a Cannes, ora pretendono che il cinema italiano sforni un capolavoro dietro l’altro. “L’uomo che ama” di Maria Sole Tognazzi (figlia d’arte) è invece solo un buon film con diversi meriti e qualche limite, tra questi ultimi una sceneggiatura troppo esile, che non riesce a dare slancio alla storia, soprattutto a quella etero. Nel film, infatti, abbiamo anche una storia gay che, a differenza di quanto affermato da Dario Zonta, critico dell’Unità, non è una “sorta di quota gay, ormai in voga nel cinema italiano”, ma una parte essenziale del film, determinante per comprenderne appieno la tematica (l’uomo che ama) e lo sviluppo psicologico del protagonista.
Roberto (Pier Francesco Favino) è un agiato farmacista che convive con Alba (Monica Bellucci) senza esserne veramente innamorato. Ha un fratello gay, Carlo (Michele Alhaique), al quale è molto legato, che invece è innamoratissimo di Yuri (Glen Blackhall). Sarà proprio la grande prova d’amore che Carlo dimostrerà verso il suo compagno che contribuirà a muovere le acque nella vita stagnante di Roberto.
Grande merito, almeno per noi, di questo film è proprio quello di presentarci una intensa storia d’amore gay perfettamente integrata e sostanziale nella struttura del film. Finora, in Italia, ci era riuscito solo Ozpetek, e i riferimenti al suo cinema sono quasi obbligati davanti a quest’opera intimista, storia di sentimenti e desideri che riempiono la nostra quotidianità.
Definire questo film un film gay non è azzardato. Un’opera gay non deve essere un’opera che taglia fuori tutto quello che non è gay. Al contrario, per non cadere nello stesso peccato del cinema che da sempre ci esclude, deve essere un film capace di guardare alla realtà nel suo complesso, nella sua varietà, senza pregiudizi o censure precostituite.
Carlo ci è presentato come una persona assolutamente normale, perfettamente inserito nella famiglia e nell’ambiente, coi problemi di tutti, il lavoro soprattutto, e la fortuna di avere incontrato l’amore, quello che può durare tutta la vita. Quando decide che è venuto il momento di fare il coming out in famiglia, lo fa con una semplicità disarmante (anche se a noi è venuta la pelle d’oca) e la reazione dei genitori settantenni è da manuale. La lettera che lascia al fratello prima di essere operato (scusate se qui ci siamo lasciati vincere dall’emozione) ci conferma che siamo davanti ad un personaggio con una statura morale invidiabile. L’esempio di vita e d’amore che offre al fratello etero non può lasciare quest’ultimo indifferente. L’uomo che ama esiste, ce l’ha davanti. Ma ad amare, si sa, bisogna essere in due…
Un breve cenno alla struttura del film, che alcuni critici hanno giudicato superflua, e che invece a noi è sembrata aiutare molto la riflessione, dilatandola, su quanto avviene sullo schermo. Il film infatti, evitando i flashback, ci mostra all’inizio la storia che invece sarà la conclusione della vicenda. Questa cosa non toglie interesse, anzi l’accentua perché ci permette di comprendere meglio, col senno di poi, quanto sta accadendo. Purtroppo questa cosa è possibile solo al cinema.
Ci sembra doveroso un grosso grazie a Maria Sole Tognazzi che, contrariamente ad altri che si sono detti stanchi di richiamarsi al mondo gay, ha coraggiosamente scelto di usarci come pietra di paragone, come modello, proprio nel terreno, quello dell’amore di coppia, che trova ancora tanti assurdi ostacoli nella nostra legislazione.
Non possiamo evitare una meritata lode anche a tutti i protagonisti del film, Favino in testa (che ci regala pure una bella panoramica del suo posteriore proprio all’inizio del film), ma anche al convinto Michele Alhaique, alle sfortunate Bellucci e Rappoport e ai favolosi genitori Piera Degli Esposti e Arnaldo Ninchi (che tutti vorremmo adottare).
Qui sotto il trailer ufficiale del film: