Chiariamo subito che Paul Newman è stato per tutta la vita l’emblema del maschio eterosessuale, sposato due volte, sei figli in totale, tre dal primo breve matrimonio con Jackie Witte (uno dei quali, Scott, l’unico figlio maschio, muore nel1978 per overdose) e altri tre dal secondo lunghissimo matrimonio con Joanne Woodward. Eppure crediamo che Newman sia stato uno degli attori hollywoodiani del secondo dopoguerra più amato dagli omosessuali di mezzo mondo. In primo luogo per la sua classica bellezza, un vero Apollo dallo sguardo ammaliatore, ma anche perché è sempre stato, da convinto democratico, un accanito difensore delle minoranze, dei deboli e degli emarginati (fu uno dei primi a donare fondi contro l’Aids).
Spesso chi deve parte del successo alla sua straordinaria bellezza, col passare degli anni viene messo da parte e sostituito da altri emergenti idoli, più giovani e freschi. Questo non sembra essere accaduto per Newman che per oltre trent’anni, possiamo dire fino alla sua avanzata vecchiaia, ha continuato ad affascinare e ammaliare sia donne che uomini.
Il suo successo nel mondo del cinema non è stato immediato, così come nella vita. Nella sua prima giovinezza veniva spesso deriso e picchiato dai ragazzi più grandi del quartiere, a scuola fu espulso dalla squadra di calcio del Kenyon College e fu impiegato nelle recite scolastiche. Nell’esercito fu relegato a posti secondari per il fatto che era daltonico.
Alla morte del padre (1950), proprietario di un negozio di articoli sportivi, si trasferisce con la famiglia a New Heaven dove s’iscrive alla Yale University School of Drama. Nel 1953 recita a New York nell’opera teatrale “Picnic”, e poco dopo, grazie ai positivi giudizi della critica, viene scritturato con un contratto di cinque anni dalla Warner.
In uno dei suoi primi provini incontra James Dean. Paul si era presentato in giacca e cravatta mentre James aveva la camicia sbottonata. Il regista li apostrofa entrambi come “due regine” e cerca di metterli in competizione. Ma Paul non si trova a suo agio con Dean, che definisce troppo “sourpuss” (acido, di malumore) e James dice esplicitamente di non provare simpatia per Paul. Il test riguardava la parte di Aron nel film “La valle dell’Eden”, che assegnerà invece a Dean il ruolo da protagonista e quello di Aron andrà a Richard Davalos.
Il suo primo ruolo da protagonista in un film, dopo diverse partecipazioni a serie tv, lo ottiene nel “Calice d’argento” (1955), una terribile pizza epico-religiosa della quale Paul si vergognerà sempre (fece addirittura pubblicare un annuncio a pagamento dove chiedeva scusa agli spettatori).
Nel 1956 ottiene la sua rivincita portando via il ruolo di Rocky Graziano a James Dean in “Lassù qualcuno mi ama “, buon film sulla burrascosa vita del campione mondiale dei pesi medi che consacra Newman come star di prima grandezza (anche se lo stile di recitazione adottato, derivato dal metodo dell’Actors’ Studio, oggi sembra, come dice il Mereghetti, ai limiti dell’autocaricatura).
Nel 1960 anche l’attore gay Sal Mineo, che ha appena lavorato con lui nel film “Exodus”, non ne parla molto bene, definendolo “dallo sguardo di ghiaccio”, riferendosi probabilmente al suo carattere riservato e chiuso.
Il film che lo porta immediatamente nei sogni degli spettatori gay è senz’altro “La Lunga estate calda” (1958) dove appare con un magnifico corpo abbronzato, intriso di sudore e risaltato dalle T-shirt da lavoratore. Un corpo muscoloso ma armonioso e delicato, differente da quello altrettanto muscoloso ma troppo robusto di Marlon Brando, che resta comunque il suo rivale numero uno nell’immaginario erotico dell’epoca. Un corpo moderno che fa diventare obsolete le altre bellezze virili che avevano dominato sugli schermi fino ad allora, come Victore Mature, Kirk Douglas, ecc. Oggi potremmo azzardare un confronto col successo ottenuto da Brad Pitt, fisico perfetto ma non eclatante, giusto per lasciare ampio spazio all’interiorità e alle complessità dei caratteri. “La Lunga estate calda” fu anche il film ‘galeotto’ che precedette le sue seconde nozze, quelle con la bravissima, anche se non bellissima, attrice Joanne Woodward, sua compagna fino alla morte, per oltre 50 anni.
Nel 1958 è il protagonista di “Furia selvaggia”, un film scritto dall’autore gay Gore Vidal che si presta facilmente a diverse letture. Newman interpreta un Billy the Kid molto amico di una coppia di sempliciotti gay (li vediamo insieme mentre uno sta facendo il bagno nella tinozza e l’altro gli gira intorno scherzando) che si rifiuterà di seguire il consiglio di un’amica di ballare con delle fanciulle che sbavano per lui. In una scena abbiamo un richiamo esplicito a “Fiume rosso” quando Billy si rivolge ad un uomo della legge con: “Perbacco, sarei felicissimo di poter vedere la vostra pistola, signore” (in Fiume rosso Monty Cliff e John Ireland si confrontano amorevolmente le pistole, ma in questo caso John è veramente innamorato di Monty). Anche la genesi di tutta la vicenda è assai ambigua: Billy arriverà sino a sacrificare la sua vita per portare a termine la vendetta contro l’uccisione dell’allevatore che l’aveva accolto con particolare simpatia.
In quegli anni interpretare un ruolo che poteva molto facilmete leggersi come gay, non era facile o abituale. Soprattutto se la cosa si ripete con un altro importantissimo film, “La gatta sul tetto che scotta” (1958) ricavato da un dramma di Tennessee Williams, apertamente omosessuale. Nel film l’omosessualità è messa in secondo piano (per questo Tennessee detestò il film) dando più rilievo agli intrighi famigliari, ma resta che il comportamento del personaggio di Newman (il figlio minore sposato a Elizabeth Taylor con la quale ha fatto un patto per non fare sesso) è inspiegabile se non pensiamo ad un legame omosessuale con l’amico che si gettò dall’11mo piano di un hotel di Chicago dopo che lui gli attaccò la cornetta del telefono.
Nel 1963 interpreta splendidamente un ruolo eccessivo, amorale e senza riscatto finale, nel film “Hud, il selvaggio” che vincerà tre Oscar ma non per lui. Nel film una splendida fotografia in bianco e nero riesce a rendere ancora più ammalianti gli splendidi occhi, il volto e il corpo di Newman mentre ci presenta un personaggio profondamente arrabbiato e senza pricipi che ci attrae e respinge nello stesso tempo.
Hollywood, nonostante sia stato uno dei suoi attori più pagati, è riuscita a premiarlo con l’Oscar solo nel 1986 per “Il colore dei soldi” anche se l’avrebbe ampiamente meritato pure per “Lo spaccone” o per “Il verdetto”, per nominarne solo un paio. Probabilmente le sue idee politiche, di aperto democratico, difensore della libertà e delle minoranze (ha sempre appoggiato le lotte per i diritti civili e l’uguaglianza delle donne e degli omosessuali) non lo hanno reso simpatico all’establishment.
Ha sempre dimostrato un carattere riservato e poco incline all’autocelebrazione, quasi timido e introverso. Spesso si vergognava anche della sua bellezza e quando qualcuno gli chiedeva di levarsi gli occhiali per poter ammirare i suoi bellissimi occhi rispondeva scandalizzato come se stessero chiedendo ad una donna di mostrare il suo seno.
Nella sua vita ha sempre dimostrato di preferire la sostanza all’apparenza, arrivando a guadagnare più soldi con la sua fabbrica alimentare (Newman’s Own) che con il lavoro d’attore. Guadagni che ha completamente donato in opere assistenziali, soprattutto, negli ultimi anni, per la cura delle malattie infantili.