La stampa gay americana è rimasta scandalizzata dal sottotesto gay di “Quel treno per Yuma”, anche se finora la GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation) non è intervenuta con alcun comunicato stampa per condannare la sottile omofobia espressa dal film, probabilmente perchè riguarda una parte assai secondaria e limitata del film.
Prima di parlare di questo vorremmo però dire due parole sul film nel suo complesso, che ci è sembrato, contrariamente alla critica nostrana, godibile e ricco di sfumature interessanti. Anzitutto si tratta del rifacimento di un film omonimo del 1957 diretto da Delmer Daves con Van Heflin, Glenn Ford e Henry Jones, che probabilmente risulta ancora essere il migliore, soprattutto per gli amanti del genere western. L’originale è infatti più dinamico, più conciso, coi caratteri ben delineati sin dall’inizio e un finale sicuramente più credibile. L’attuale rifacimento di James Mangold con Russell Crowe e Christian Bale segue invece gli sporadici (e finora fallimentari) tentativi contemporanei di rivitalizzare il filone western con una impostazione molto più accurata e ricca di dettagli, con una più approfondita analisi psicologica dei personaggi e una lettura più critica dell’ambiente sociale che li esprime. Su questa linea vedremo presto anche “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” di Andrew Dominik, applaudito a Venezia 2007.
Il risultato di questi “ammodernamenti” porta però a dei film lenti e dilatati che tradiscono le caratteristiche principali del genere western, che aveva trame concise ma dinamiche e caratteri dei personaggi ben distinti, dall’inizio alla fine del film, tra buoni e cattivi.
In “Quel treno per Yuma” di Mangold abbiamo invece il tempo per riflettere sulle contraddizioni sociali dell’epoca (il capitalismo che distrugge l’equilibrio contadino, l’etica della nuova frontiera che conta sempre più vittime, lo sfruttamento degli asiatici e quello dei neri, ecc.) e soprattutto possiamo studiare con maggiore realismo e profondità le psicologie e i turbamenti interiori dei personaggi. Così assistiamo alla trasformazione dei due protagonisti: il duro e feroce bandito Ben Wade (Russell Crowe) che si lascia affascinare e conquistare dall’onestà e lealtà del timoroso contadino e padre di famiglia Dan Evans (Christian Bale) che a sua volta impara invece dall’altro la determinazione, la durezza e il coraggio necessari per portare a termine l’operazione.
Veniamo ora al sottotesto gay del film, che non era assolutamente presente nella prima edizione del film. Il regista Mangold, insieme ai sceneggiatori, ha infatti modificato il personaggio del bandito Charlie Prince, braccio destro di Ben Wade e capo della banda dopo la cattura di Wade.
Significativa è anche la scelta dell’attore Ben Foster che lo interpreta, una figura sottile che avevamo visto come Angelo in X-Men: The Last Stand e poi come l’ambiguo amico di Claire in Six Feet Under, una figura che fa pensare a tutto fuorchè a un virile macho.
Lo vediamo nelle primissime scene del film come il bandito della banda di Wade meglio vestito e più curato (forse anche con qualche ombra di mascara), seduto a cavallo con le mani appoggiate delicatamente una sull’altra sulla sella, e che subito, in una colluttazione, viene chiamato “signorina” (sissy) e chiarito che molti, dietro le spalle, si riferiscono a lui come alla “principessa Charly” (Charlie Princess).
Per tutto il film apparirà chiaro che è innamorato del suo virile capo Wade, non sopporterà neppure la vista della barista che Wade si porterà a letto (esce subito dal saloon dicendo a Wade che lo aspetta nei dintorni), e ucciderà chiunque si interporrà tra lui e Wade.
Anche una frase del macho Wade-Russel Crowe ci ha messo una pulce nell’orecchio quando dice alla barista che “una ragazza va bene anche se è magra”, come dire che lo stesso non era per lui accettabile se avesse avuto davanti un ragazzo.
Fin qui sarebbe tutto ok, il genere western si aggiorna e quello che una volta era solo lasciato all’immaginazione dello spettatore, ora viene esplicitamente dichiarato. Il problema nasce sul perchè gli autori del film abbiano fatto questa scelta, cioè quella di addossare al bandito più terribile e crudele di tutti, l’appartenenza gay. La stessa cosa l’avevamo osservata in 300 di Zack Snyder, dove il terribile Serse aveva tutti i caratteri di una femminiltà transgender. Sembra un ritorno a quegli anni bui dove l’omosessualità al cinema poteva essere dichiarata solo se collegata alla perversione e diabolicità del personaggio.
Un sottile psicologo potrebbe giustificare questa scelta affermando che in tempi di assoluta condanna degli omosessuali, questi potevano resistere solo ricambiando con altrettanto odio e crudelà la società che li respingeva. L’alternativa era quella che ci ha mostrato Brokeback Mountain, cioè nascondersi o assumere una falsa identità etero.
Resta il fatto che oggi uno spettatore medio davanti al personaggio di Charlie Prince si ritrova ancora ad identificare malvagità con omosessualità, e non certo a giustificarne il comportamento.
La scelta fatta dagli autori di questo rifacimento ci sembra quindi più indirizzata a rinvigorire l’omofobia degli spettatori che altro, soprattutto perchè gratuita e assolutamente non presente nell’edizione del ’57. Nel film di Delmer Daves, Charlie Prince (Richard Jaeckel) non aveva nessun carattere gay, chiacchiera amabilmente con la barista, non si dimostra mai geloso delle attenzioni che altri hanno verso Wade e a un certo punto parla anche di ammogliarsi.
Il finale del film, che naturalmente non possiamo raccontarvi (assai diverso dall’originale e veramente poco credibile), mette in scena un ulteriore appesantimento in termini negativi del sottotesto gay, facendo aprire gli occhi al bandito Wade sulla vera natura del suo braccio-destro/amante Charlie Prince.
Queste osservazioni “partigiane” ci hanno lasciato un po’ d’amaro in bocca davanti ad un film che merita comunque di essere visto e che noi abbiamo compensato immaginandoci (gratuitamente ma non troppo) una intensa e segreta passione (voi chiamatela pure amicizia virile) che nasce e si sviluppa per tutto il film tra i due protagonisti principali, l’unica in grado di spiegarne l’incredibile finale.
Qui sotto una immagine del bandito gay Charlie Prince (Ben Foster)