Il direttore del Festival Giampaolo Marzi è ora assai più sereno. E’ ancora convinto che tutta questa storia del finanziamento bocciato dal Comune di Milano sia quasi fantapolitica, ma soprattutto è convinto che presto si farà completa chiarezza sulla vicenda, che secondo i meglio informati, dovrebbe concludersi positivamente, cioè con la firma del patrocinio (riproposto dall’asessore Vittorio Sgarbi e, probabilmente anche dall’assessore Terzi) da parte del Sindaco Moratti nella riunione di Giunta del prossimo venerdì. Proprio per fare chiarezza e rendere partecipi della vicenda anche il pubblico del Festival, Marzi ha invitato questa sera, alle ore 22:30, l’assessore Sgarbi sul palco del teatro Strehler.
Ci piace constatare che diverse voci, sia politiche che dal mondo della cultura, si sono alzate in difesa del Festival e del suo alto valore culturale e divulgativo. Tra queste evidenziamo le dichiarazioni di Andrea Sironi, nipote del famoso pittore Mario Sironi, che ha dichiarato: “la notizia che il sindaco di Milano abbia deciso di negare un finanziamento alla rassegna di cinema gay e lesbico – finanziamento concesso dai suoi predecessori per oltre vent’anni! – mi ha fatto definitivamente rendere conto di non poter procedere a una donazione alla città finché il suo primo cittadino vorrà insistere in decisioni contrarie ai miei convincimenti e, a mio giudizio, del tutto incompatibili con l’immagine di una città moderna, aperta e libera”. Anche il capogruppo di Forza Italia in Consiglio, Giulio Gallera, convinto sostenitore del Festival, ha detto: “Scriverò una lettera al sindaco per chiederle di rivedere la decisione della giunta e di riprendere la discussione nella seduta di venerdì; non c´è alcun motivo per negare il patrocinio a una manifestazione, che come mi assicura Sgarbi, è di grande livello culturale”. L´assessore alla Cultura della Provincia, Daniela Benelli, in una intervista a Repubblica, dove non nasconde la sua irritazione per questa, speriamo rientrata, bocciatura, che farebbe fare a Milano “una pessima figura davanti al mondo”, ha affermato che è molto convinta della “valenza culturale e artistica della rassegna in corso allo Strehler: lì si vedono lavori di qualità che altrimenti non arriverebbero al pubblico, perché non entrano nei normali circuiti culturali. Anche per questo il patrocinio va dato”.
A proposito di valenza culturale e artistica del Festival, ieri, nella programmazione di tutta la giornata, ne abbiamo avuta una indiscutibile conferma, a cominciare dai cortometraggi e documentari del pomeriggio (mai vista una sala così affollata nel primo pomeriggio di un lunedì lavorativo), che affrontavano le problematiche legate alla terza età, sia per gli uomini che per le donne. Interessantissimi e molto coinvolgenti sia “(In)visible Years” di Gideon Boaz, che fa parlare diversi gay anziani su come stanno vivendo la loro età, sia “Look Us in the Eye” di Jennifer Abod che racconta l’esperienza di tre donne over 60 che, orgogliosissime della loro età, hanno fondato un’associazione (Old Women’s Project) che organizza la partecipazione delle persone anziani a svariatissime manifestazioni, con l’obiettivo di togliere queste persone dall’invisibilità alla quale la società sembra condannarle. Era curioso sentire i commenti del pubblico in sala, sia uomini che donne, che riconoscevano come questo fosse un problema reale anche nella nostra società.
Nella serata due film sorpredenti, sia per le qualità tecniche (entrambi accomunati dal fatto di aderire alla scuola di Lars Von Trier, chiamata “dogma 95”) che per le tematiche affrontate. Il primo, “Lonely Child” del canadese Pascal Robitaille, purtroppo lungo solo 50 minuti, ci fa entrare nel mondo dell’adolescenza, dei primi amori e del coming out famigliare, visto e vissuto dalla parte degli stessi giovani protagonisti. Il trucco, semplice e forse non nuovo, ma condotto molto efficacemente, risiede nel fatto che tutto il film è girato utilizzando una videocamera che gli stessi ragazzi, scambiandosela secondo i momenti, utilizzano per filmarsi e registrare i loro dialoghi. Impressionante la ripresa della festa di compleanno di uno dei ragazzi, appena 18enne, organizzata dalla sorella e che dovrebbe essere l’occasione per fare conoscere il fidanzato del giovane festeggiato ai genitori, appena messi al corrente della sua omosessualità dalla sorella stessa. La festa inizia maluccio per l’assenza del padre (che ha preferito andare a pesca), ma sembra che tutto sia ok per la madre che si dichiara aperta e comprensiva fino a quando non assiste al bacio che i due fidanzatini si scambiano… Un’altro momento godibilissimo è quando i due ragazzi vanno a trovare in campagna altri due giovani amici gay fidanzati, e assistiamo al primo “tradimento” quando rimasti soli i due ragazzi più giovani iniziano a riprendersi con la videocamera mentre si spogliano per mostrarsi le loro intimità…
Il pezzo forte della serata è stato però lo sconvolgente “Gypo” (foto sopra) dell’inglese Jan Dunn, che più che dalla scuola del dogma sembra provenire dalla scuola di Ken Loach, tanta è la sua abilità nel mostrarci la crisi di una famiglia della classe lavoratrice e la forte xenofobia che da una parte aggredisce, anche fisicamente, gli immigrati, e dall’altra, mostra come questi vengono sfruttati per il lavoro nero sempre dalle stesse persone. Il film si divide in tre capitoli, dedicati ognuno ai tre personaggi principali della storia, che solo il terzo capitolo, quello dedicato a Tasha, la 18enne rifugiata della Repubblica Ceca, presenta compiutamente partendo dall’inizio della vicenda e arrivando alla sua drammatica conclusione. La tecnica della regia è molto abile nel farci entrare (e frastornare) all’interno dei duri rapporti che legano tra loro i componenti di una famiglia composta da tre figli (una figlia ha già un piccolo bimbo che non vuole accudire), una madre 40enne, Helen, che a fatica riesce a tenere unita la famiglia e sembra non trovare mai tempo per se stessa, e un padre, Paul, che è sempre in procinto di abbandonare tutto. Le cose diventeranno insostenibili quando nella loro vita entrerà una giovane immigrata rom, Tasha, che si innamora subito di Helen comprendendone la frustrazione e offrendosi così un inaspettato aiuto reciproco. Per noi il film lesbico più intenso e bello finora visto in questo Festival che si conferma di altissima qualità e impegno.
Continuano con successo i salotti letterari di Diego e Pina che ieri ospitavano Luca Bianchini, sempre molto affabile, spiritoso e amatissimo dal numeroso pubblico tra il quale anche intere famiglie con pargoli, che presentava il suo ultimo lavoro “Se domani farà bel tempo”.
Immagini dal salotto letterario condotto da Pina e Diego:
|