Il Direttore Minerba e tutto lo staff del Festival sono visibilmente soddisfatti dello straordinario successo che sta ottenendo questa edizione. Il pubblico, a sua volta, a giudicare dagli applausi in sala e dai commenti che si sentono nell’affollatissima hall del cinema Ambrosio, sembra apprezzare le scelte dei titoli in programma, finora quasi tutti di buon livello. Proprio questa abbondanza di offerta ha causato oggi le lamentele dei soliti perfettini mai contenti (come il sottoscritto) che sono stati costretti a perdersi o l’ultimo Vallois (Halteéroflic) o l’ultimo Cui Zi’en (Shaonian hua cao huang) in programma contemporaneamente. Questi piccoli inconvenienti, probabilmente inevitabili in un programma di oltre 180 film concentrati in soli 8 giorni, vengono però ampiamente ripagati dalla cura e dalle attenzioni di tutto l’instancabile staff e dall’organizzazione complessiva del festival che non ha nulla da invidiare a quelli maggiori. Oggi ad esempio è stato offerto un ottimo pranzo a tutti gli ospiti del Festival, che non possiamo certo elencarvi (sia per il numero che per non fare torto ad eventuali nostre dimenticanze), presso il ristorante del Museo del Cinema, durante il quale ci è piaciuto immaginare che anche in Italia stia nascendo e crescendo una indispensabile lobby cinematografica gay.
Veniamo al dettagio dei film visti o “assaggiati” oggi. Anzitutto “Haltéroflick” una parodia del genere poliziesco che chiudeva la retrospettiva dedicata a Philippe Vallois, pioniere del cinema gay francese e finalmente, grazie a questo Festival, fatto conoscere anche al pubblico italiano. Questo film, del 1983, è l’unico girato dal regista in 35mm ed è anche quello più “commerciale” e meno autobiografico, anche se il regista ha detto di essersi ispirato alla storia di Philippe, un suo amico culturista. In proposito, prima della proiezione, Vallois ci ha raccontato che durante il casting del film non riusciva a trovare l’attore giusto per la parte del culturista, così si rivolse direttamente al suo amico Philippe chiedendogli di interpretare se stesso. La produzione disse però che non era d’accordo, giudicandolo un “idiota”. Vallois, mostrando loro alcuni provini e restando fermo nella sua idea, riuscì alla fine a convincerli. Scelta giusta perchè l’amico Philippe si dimostrò perfetto nella parte, riuscendo anche a dare al suo personaggio un felice tocco d’ironia, in perfetta armonia con tutto lo stile volutamente ironico e divertito del film. Niente sesso esplicito o rapporti gay ma situazioni e personaggi che inseriscono questo film tra le migliori opere queer di quegli anni.
Abbiamo poi visto “Shaonian hua cao huang”, il secondo e ultimo film della breve retrospettiva dedicata a Cui Zi’en, il coraggioso giovane regista cinese che si definisce militante gay, ha già prodotto più di venti film ed è anche un noto scrittore di racconti e romanzi. Diciamo subito che il film di oggi ci è piaciuto meno di Fu Ge (secondo noi un piccolo gioiello, che richiama la struttura della tragedia classica, perfetto nel suo stile minimalista e plastico), anche se è senz’altro un’opera interessante, con momenti anche qui di grandissimo cinema, soprattutto nella parte finale. Il film, come lo stesso regista ha dichiarato, vuole presentare l’impatto dei cambiamenti sociali e produttivi in atto nella Cina contemporanea, sulla famiglia, sui rapporti tra le persone e sulle principali strutture sociali. Così vediamo una madre che per seguire il lavoro al suo ristorante, praticamente abbandona a se stessi i due figli, fratello e sorella che stanno così uscendo dall’adolescenza senza alcun sostegno o aiuto esterno. La figlia cerca un fidanzato e vuole liberarsi della continua presenza del fratello. Il fratello, in crisi di identità ha paura di rimanere solo e cerca aiuto in un amico (tendenzialmente gay) per tenersi legata la sorella. L’amico però ha ben altri interessi che emergeranno chiari durante l’evoluzione della storia (che alla fine sfiora il melodramma) e che porteranno a nuovi e risolutivi rapporti.
Alla fine della proiezione Cui Zi’en ha risposto alle domande del pubblico sui suoi due film appena visti. In merito all’apparentemente strana simbologia cattolica del film Fu Ge il regista ha risposto che “in Cina, cattolici, omosessuali e malati di aids, per il fatto di essere tre categorie ugualmente rifiutate dalla società, vengono facilmente accomunate. Nel film l’amore tra i due fratelli vuole richiamare l’amore di Gesù verso gli uomini, soprattutto l’amore verso il fratello ritardato, il più debole. Anche se può sembrare strano per voi occidentali accomunare omosessualità e sentimento religioso, nella mia personale interpretazione della simbologia cristiana ho inteso rappresentare l’amore umano (quello tra i due fratelli) come un amore che si eleva verso l’alto, verso il divino, e l’amore di Gesù come un amore divino che si abbassa e avvicina agli uomini. Io quando penso al segno della croce non penso al padre al figlio e allo spirito santo ma penso solo all’amore di Gesù che sono sicuro non avesse nulla contro gli omosessuali e i più deboli della società. Ho inteso dare, con questa storia, un segno di speranza, un segno di cambiamento delle costrizioni sociali che oggi viviamo, con un’apertura verso un futuro più positivo.”
Ad un’altra domanda sul significato che dà nei suoi film alla famiglia, ha risposto che “fino ad ora nei suoi film non si è interessato alle vecchie generazioni, ma solo alle nuove. Le generazioni dei nostri padri vivono oggi in cina problematiche ancora più difficili e complesse. Il cinema classico cinese si basa sui valori della famiglia visti come valori politici fondanti, quelli che promuove il partito. Io voglio dimostrare che questi valori tradizionali oggi non esistono più, che la realtà sta cambiando. In pratica i miei film vogliono andare contro i film classici cinesi. Ora sto scrivendo un romanzo che racconta la storia della mia famiglia e ogni personaggio potrebbe diventare il soggetto di un mio prossimo film.”
Nonostante per noi sia forse un po difficile comprendere la realtà della Cina di oggi e le motivazioni alla base del pensiero di Cui Zi’en, siamo comunque infinitamente grati a questo autore per il suo grande impegno civile ed artistico.
Piacevole sorpresa “Keillers Park” di Susanna Edwards, un film che ruota intorno alla panchina di un parco dove Peter, il protagonista, uomo d’affari sposato, ha il primo incontro con Nassim, un immigrato algerino. Nell’innamoramento e nel coming out conseguente, Peter verrà cacciato dal lavoro, dalla moglie e dalla casa e dovrà ricominciare una nuova vita. Proprio quando tutto sembra procedere per il verso giusto, su Peter piomberà l’accusa dell’omicidio di Nassim. La struttura del film è assai tradizionale ma avvincente, la sceneggiatura utilizza la tecnica dei flash-back riuscendo a creare un’atmosfera di suspence quasi noir, e i protagonisti sono belli e bravi nei loro ruoli. La storia narrata in questo film, derivata da un fatto di cronaca reale, ribalta la nostra immagine di una Svezia tollerante e progressiata, soprattutto verso gli omosessuali, che vediamo spesso derisi, aggrediti e umiliati (vedi scena del carcere).
Il film clou della giornata era senz’altro l’intrigante e attesissimo “Spider Lilies” della giovane taiwanese Zero Chou, qui alla sua seconda prova. Presente in sala ha detto che il suo primo film (vincitore di un ambito premio a Taiwan), che raccontava una storia di drag queen, era più concentrato sulla tematica che sulle qualità figurative e strutturali, qualità che ha invece voluto curare molto di più per questo film. E in effetti il film ci lascia attoniti davanti ad una costruzione delle immagini lussureggiante e suggestiva (molto patinata), in tema comunque col soggetto della storia, che racconta di splendidi tatuaggi floreali mescolati ad elaborati sfondi di chat web per adulti. La regista ha detto che il tema omosessuale di questo film è stato volutamente messo in secondo piano o almeno sullo stesso piano di altre problematiche. In effetti le altre problematiche ci sono, come quelle dei legami parentali, del bisogno d’affetto e d’amore in generale, e delle nuove (e forse vuote) generazioni, ma a nostro giudizio e dello stesso Cosimo Santoro che accompagnava la regista (insieme alla bravissima Elena Pollacchi, sinologa cinese che lavora per diversi festival), il tema principale del film è senz’altro la bellissima storia d’amore lesbico tra una tatuatrice e una ragazza che l’aveva incontrata quand’era ancora bambina e che era cresciuta solo col desiderio di poterla un giorno reincontrare ed amare. Il film utilizza come interpreti principali due attrici che sono due stelle del cinema orientale, che la regista ha voluto nel cast proprio perchè il film, trainato dai loro numerosi fans, possa essere visto da un largo pubblico che avrà così l’opportunità di confrontarsi col tema dell’omosessualità. Anche il terzo film, che la regista inizierà a girera tra due mesi, avrà una storia omosessuale. Alla domanda di Cosimo su come vengono accolti in Oriente i diversi film di nuovi autori impegnati sulle tematiche LGBT (cha abbiamo potuto vedere anche in questo Festival) la regista ha risposto che comunque il loro numero è ancora molto inferiore a quello dei paesi occidentali, e forse per questo possono facilmente essere individuati come un “movimento”, ma in realtà le situazioni sono in Oriente molto differenti da Paese a Paese, ad esempio Brokeback Mountain non può ancora essere visto in Cina, mentre a Taiwan c’è senz’altro un atteggiamento più aperto sia verso il cinema che la cultura omosessuale. Grandi applausi di testa e di cuore per questa splendida e motivata autrice.
L’ultimo film in concorso della giornata è stato “Glue” dell’argentino Alexis Dos Santos, un interessante sguardo su tre adolescenti e su una famiglia a rischio di separazione. Con una telecamera usata spesso a mano e con un montaggio dinamico e veloce, il regista vuole farci capire tutte le incertezze, le insicurezze e gli alternanti desideri che accompagnano i tre giovani personaggi, due ragazzi e una ragazza, appena sedicenni, alla scoperta dei propri sentimenti. Lucas è senz’altro innamorato del suo migliore amico Nacho, col quale però non riesce ad andare oltre una masturbazione in comune dopo avere annusato i fumi di una colla (Glue). L’incontro con una giovane coetanea, che sembra innamorarsi di entrambi, contribuirà ad una evoluzione veloce e soddisfacente per tutti della situazione. Anche questo film tenta nuove proposte alla ricorrente crisi famigliare tipica del nostro tempo. Forse con troppo ottimismo.
ALCUNE IMMAGINI DELLA GIORNATA
Cui Zi’En
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Zero Chou (Spider lilies)
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