Certamente vincere o essere candidato agli Oscar non significa che il film sia per forza di ottima qualità ma significa senz’altro che il film può godere di una ampia distribuzione e quindi avere un pubblico assai ampio.
Per il cinema gay (queer cinema) questo è fondamentale, se non vuole rimanere chiuso nel recinto del cinema di settore (festival gay) e limitare così la sua capacità di testimonianza e comunicazione. Le nostre tematiche sono state spesso messe ai margini ed ostacolate dalla grande industria cinematografica, in quanto temi che appartengono ad una minoranza che per di più possono “spaventare” la maggioranza. Così per molti anni non hanno potuto emergere, tranne in quei pochi casi dove venivano presentate con un’ottica eterosessuale, che naturalmente faceva terminare ogni storia con una tragedia punitiva che spazzava via il “perverso”. (“Improvvisamente l’estate scorsa”, “Quelle due”, ecc,)
Negli anni ’80, con il rafforzarsi del movimento gay e la conseguente rilevanza mediatica della nostra causa, qualcosa inizia a cambiare anche ad Hollywood. E’ significativo infatti che i primi due film, decisamente queer, a vincere un Oscar siano state due opere impegnate che raccontano la militanza gay, “The Times of Harvey Milk” (1984) di Rob Epstein e “Common Threads: Stories from the Quilt” (1989) di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, entrambi premiati con l’Oscar per il miglior documentario. Avevamo rotto gli argini, anche per il nostro cinema si apriva la strada del “mainstream”, quella della grande distribuzione.
Nel 1992 “The Crying Game” di Stephan Frears ottiene ben 6 nominations e vince l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Nel 1995 “The Adventures of Priscilla, Queen of the Desert” di Stephan Elliott vince l’Oscar per i migliori costumi.
Nel 1994 “Trevor” di Peggy Rajski, storia di un adolescente che alla fine accetta felicemente la sua omosessualità, vince l’Oscar come migliore cortometraggio.
Nel 1997 abbiamo la candidatura di “In & Out” per l’attrice non protagonista, (Joan Cusak) e di “Qualcosa è cambiato” che ottiene ben 7 candidature e vince due Oscar, miglior attore e miglior attrice (Jack Nicholson e Helen Hunt).
Ma è nel 1998 che il cinema queer ottiene un grande riconoscimento con “Demoni e Dei”, film indipendente, gay nello stile, nella sostanza, nel suo autore, il regista gay dichiarato Bill Condon, e anche nel protagonista, l’attore gay Ian McKellen. Il film ottiene tre candidature e vince l’Oscar per la migliore sceneggiatura scritta dallo stesso regista. Questa vittoria aprì la strada a Bil Condon, che realizzò in seguito opere come “Chicago”, “Kinsey” e “Dreamgirls”, diventando uno dei registi più quotati di Hollywood.
Nel 1999 abbiamo ben quattro film con diverse candidature e premi. “American Beauty”, scritto dal gay Alan Ball (Six Feet Under), racconta la violenza brutale di un ex marine come conseguenza della repressione della propria omosessualità e gli unici due personaggi positivi del film sono una coppia di vicini di casa gay. Il film vince ben 5 Oscar (miglior film, miglior attore protagonista, Kevin Spacey; miglior fotografia, Conrad L. Hall; miglior regia, Sam Mendes; miglior sceneggiatura, Alan Ball), con 9 candidature complessive (attrice non protagonista, Annette Bening; montaggio, Tariq Anwar; musica, Thomas Newman).
“Il talento di Mr. Ripley” ottiene cinque candidature. “Essere John Malkovich” ottiene tre candidature.
“Boys Don’t Cry”, quarto film gay agli Oscar del 1999, è il primo film transgender che ottiene un grande successo e che porta al grande pubblico la tematica della transessualità. Molto probabilmente senza la spinta dell’Oscar questo non sarebbe accaduto e il film avrebbe seguito, come tanti altri, la breve strada dei festival gay. Il film ottiene due candidature e vince l’Oscar per la migliore attrice protagonista, Hilary Swank, lanciandola verso un brillante futuro. L’altra candidatura era per l’attrice non protagonista Chloë Sevigny.
Nel 2000 un’altro importante film indipendente, “Prima che sia notte”, biografia dello scrittore gay cubano Reinaldo Arenas, ottiene la nomination di Javier Bardem come attore protagonista.
Nel 2001 abbiamo la candidatura di “Mulholland Drive”, un surreale e bellissimo melodramma lesbico, per la regia di David Lynch.
Nel 2002 ben 6 film queer ottengono nominations e premi agli Oscar. Anzitutto lo splendido “Lontano dal Paradiso”, scritto diretto e prodotto dal regista gay Todd Haynes, un indiretto omaggio al maestro Douglas Sirk, che ottiene 4 nominations (attrice, fotografia, musica e sceneggiatura).
Poi abbiamo “The Hours” che ottiene ben 9 nominations e un Oscar per la migliore interpretazione femminile a Nicole Kidman. Il film è tratto dal romanzo dello scrittore gay Michael Cunningham e racconta tre storie di donne, Virginia Wolf, Laura Brown, che pensa anch’essa al suicidio in seguito ad una vita dove ha sacrificato la sua omosessualità, e la lesbica Clarissa Vaughan che organizza una festa in onore del suo amico gay Richard, ammalato di aids.
Gli altri film del 2002 sono “Frida” con 6 nominations e due Oscar (miglior trucco, John E. Jackson e Beatrice De Alba; miglior musica, Elliot Goldenthal); “Parla con lei” di Almodovar con due nomination e un Oscar ad Almodovar per la sceneggiatura; “Y tu mama tan bien” nominato per la sceneggiatura; e “Chicago” di Bill Condon che ottiene 13 nomination e vince 6 oscar.
Nel 2003 abbiamo lo struggente “Monster” che fa vincere l’Oscar per la migliore interpretazione femminile a Charlize Theron, e “Una storia americana – Capturing the Friedmans” che ottiene la nomination come documentario.
Nel 2004 abbiamo “Being Julia” con la nomination per la migliore attrice ad Annette Bening che nel film s’innamora brevemente del suo migliore amico che però è gay, “Kinsey” di Bill Condon che ottiene la nomination per l’attrice non protagonista, Laura Linney, “Troy” del regista gay Wolfg ang Peterson nominato per i costumi di Bob Ringwood, e “Shark Tale” nominato tra i film d’animazione.
Il 2005 è l’anno che segna il definitivo trionfo del cinema queer con “Brokeback Mountain”, protagonista assoluto, accompagnato da una forte squadra di outsider. Brokeback, dopo avere vinto praticamente tutti i principali premi dell’anno, ottiene 8 nomination e vince 3 Oscar (ma non quello del miglior film che tutti si aspettavano): miglior regia, Ang Lee; miglior musica a Gustavo Santaolalla; miglior sceneggiatura a Larry McMurtry e Diana Ossana. Gli altri film della incredibile squadra sono:
“Capote” con 5 nomination e la vittoria dell’Oscar per la migliore interpretazione maschile a Philip Seymour Hoffman.
“Transamerica” con due nominations, musica e protagonista femminile Felicity Huffman.
“Lady Henderson presenta” di Stephen Frears che ottiene du enominations, costumi e protagonista femminile, Judi Dench.
“La bestia nel cuore” candidato come film straniero.
Nel 2006, con le premiazioni che avverranno domenica 25 febbraio 2007, abbiamo ancora buone carte da giocare per premi forse di secondo livello, con una squadra veramente numerosa, ben 10 films.
“Little Miss Sunhine”, film sorpresa dell’anno, che ha già vinto ovunque numerosi premi, ha ottenuto 4 nomination, tra cui anche quella per il miglior film (che pensiamo andrà invece a Martin Scorsese).
“Diario di uno scandalo” con 4 nomination, attrice protagonista (Judy Dench), attrice non protagonista (Cate Blanchett), sceneggiatura non originale (Patrick Marber) e musica (Philip Glass).
“United 93”, che racconta la tragedia dell’11/9/2001 vissuta dai passeggeri del boing omonimo che riuscirono a deviare l’apparecchio evitando una catastrofe ma sacrificando le loro vite, tra le quali anche quella del coraggioso Mark Bingham, giocatore di rugby gay. Il film ha ottenuto due candidature, regia e montaggio.
“The Black Dahlia” candidato per la fotografia (Vilmos Zsigmond ).
“Il diavolo veste Prada” con due nomination, attrice protagonista (Meryl Streep) e costumi (Patricia Field).
“Poseidon”, che ha tra i protagonisti l’eroe gay interpretato da Richard Dreyfuss, candidato per gli effetti speciali.
“Dreamgirls” di Bill Condon con 8 nominations (attore non protagonista, attrice non protagonista, scenografia, costumi, missaggio sonoro, tre canzoni).
“Volver” di Pedro Almodovar con la prestigiosa candidatura per la migliore attrice (Penelope Cruz) ma non quella, attesa, per il miglior film straniero.
“Borat”, che fa divertenti richiami all’omofobia kazaka ma non solo, candidato per la sceneggiatura non originale
“Marie Antoinette”, ricco di atmosfere queer, candidato per i costumi.