Mentre l’inviato di Gay.it al Torino Film Festival, il critico Roberto Schinardi, ci fa scoprire nuovi film (leggi articolo) con riferimenti più o meno espliciti alle nostre tematiche (in particolare l’interessante “Old Joy” di Kelly Reichardt che viene definito un Brokeback Mountain contemporaneo e non outed), noi ci dedichiamo a un film particolare, uscito nelle sale la scorsa settimana, del quale quasi nessuno parla, pochissima la pubblicità, e finora solo una recensione su un quotidiano di provincia. Stiamo parlando di “Ricky Bobby, la storia dell’uomo che sapeva contare fino a uno”.
Chiariamo subito che il film non è un capolavoro, e se avevamo dei dubbi, basterebbe l’assurdo titolo italiano a farceli passare (il titolo originale, “Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby” era per noi incomprensibile). Appartiene anche a un genere, quello comico demenziale, che da noi ha sempre avuto poca fortuna, preferendogli quello comico deficiente delle nostre ultramilionarie commedie natalizie. Eppure gli argomenti per dargli una maggiore pubblicità ci sono, dai protagonisti, un Will Ferrell attore in ascesa (Vita da Strega, Due single a nozze, The Producers) e Sacha BaronCohen, il tanto discusso protagonista di “Boran”, il film che sta facendo parlare di se il mondo intero; al soggetto del film che gira intorno al mondo delle gare automobilistiche di formula uno, dove siamo, noi italiani, protagonisti di primissimo piano.
Per entrare nel merito del film diciamo subito che a noi il film è piaciuto molto, sia per i bravissimi attori, sia per le fulminanti e scorrettissime battute, sia per le situazioni che presenta dove riesce a mescolare roboanti e spesso catastrifiche scene di corse automobilistiche con patetici denudamenti in pista e conseguenti riflessioni sulla illusorietà del successo. Ma il bersaglio principale del film ci è sembrata la famiglia media americana, ridicolizzata al massimo nelle ripetute e dissacratorie scene di preghiera che precedono ogni pasto, così come nella raffigurazione dei componenti dell’allucinata famiglia di Ricky, moglie in testa, che vede solo sesso successo e soldi.
Il film ci regala anche uno strepitoso personaggio gay, interpretato da un elegantissimo e impertubabile Sacha BaronCohen, con tanto di marito al seguito, che però s’innamora discretamente del nostro eroe, riuscendo a strappargli solo un lunghissimo bacio (penso che sia il bacio gay più lungo visto sinora al cinema). Sarebbe stato facilissimo, visto il genere del film, inserire le solite battute sui froci, delle quali invece nemmeno l’ombra e nemmeno l’ombra dei soliti stereotipi o caricature. Un merito e una scelta registica davvero apprezzabili per un film che spara forte sulla società contemporanea, sarcastico sui suoi miti (da quello famigliare a quello sportivo a quello mediatico) e sui suoi falsi valori (religione formale, amore venale, amicizia interessata, ecc). Insomma un film demenziale che non fa sbellicare ma fa sorridere e riflettere, che presenta un’omosessualità integrata e accettata, che ci invita a riscoprire sentimenti semplici come la lealtà e l’amicizia.
Qui sotto una immagine di Sacha BaronCohen dal sito originale del film