INSULTI E MINACCE AGLI AUTORI DI "PALAZZO YACOUBIAN"

Un articolo di Repubblica ci racconta il primo film arabo che presenta una storia omosessuale

Un bell’articolo, che parte addirittura in prima pagina su La Repubblica di oggi, si conclude con la perorazione che una casa di distribuzione acquisti e faccia vedere anche agli italiani il film egiziano “Palazzo Yacoubian” (che tra pochi giorni i romani potranno vedere all’interno della Festa del Cinema). Anche noi ci uniamo volentieri a questa richiesta, perchè il film è importante da molti punti vista. Il film è tratto da un romanzo, omonimo, che è oggi il libro più venduto nei Paesi arabi dopo il Corano. Sia il libro che il film, che lo riproduce abbastanza fedelmente, presentano per la prima volta in quei Paesi una storia apertamente omosessuale. Non è la storia principale del film, che ha una trama molto ampia (il film dura quasi tre ore) tesa a denunciare la corruzione e il degrado politico e sociale dell’Egitto contemporaneo, eppure è la storia che più ha colpito gli spettatori arabi, procurando anche insulti e minacci sia agli autori che agli attori. Nonostante che la vicenda omosessuale abbia un epilogo moralista che potrebbe soddisfare qualsiasi omofobo (con tanto di morte e castigo divino) ma il fatto che venga chiaramente presentato un rapporto omosessuale è per quella società ancora inaccettabile.

La storia gay del film raccontata dal giornalista di Repubblica:

Hatim Rasheed, un giornalista che dirige un settimanale in lingua francese. Omosessuale. Una sera, uscendo dalla redazione, vede un giovane soldato, Abd Rabo, gli si avvicina, gli parla, gli dà, in cambio di un´indicazione, una mancia eccessiva. Hateem è un uomo raffinato e colto, gemello di carta e celluloide di un noto scrittore e giornalista a Al Ahram Hebdo. Il soldato è un giovane senza educazione, arrivato dalla campagna dove ha lasciato la moglie e un figlio per guadagnarsi uno stipendio nella maniera più semplice: indossando una divisa.
La sua superiorità fisica soccombe a quella mentale dell´altro. Poche sere dopo si ritrova in un appartamento affollato di pezzi d´antiquariato, su un divanetto tappezzato con stoffa preziosa, tra le mani un calice di vino come non l´ha mai assaggiato. Abd Rabo beve, Hatim gliene versa ancora, lui continua a bere, l´altro a versare. Finché il soldato si arrende.
Tra i due nasce una relazione fissa, che prosegue anche quando il soldato fa trasferire al Cairo (nell´appartamento procuratogli dal giornalista sul tetto del Palazzo Yacoubian) moglie e figlio. Il giovane sfoga il senso di colpa per essere diventato l´oggetto sessuale di un uomo possedendo brutalmente la propria donna. È una reazione a catena più credibile che scandalosa. Sono voci del desiderio, sospiri di compiacenza, gemiti di dolore che le voci amplificate dei predicatori di ogni religione riescono a coprire, mai ad annullare. Poi arriva la mano di un dio vendicatore. Mentre il soldato giace nel letto del giornalista la moglie bussa furiosamente alla porta: il loro bambino si è ammalato, di lì a poco morirà. Sarebbe accaduto ugualmente, ma il senso di colpa trasforma un caso fortuito in un contrappasso. Ai fustigatori però questo messaggio non arriva. Si fermano alla superficie, gridando allo scandalo alla prima scena, senza accorgersi che il film è, in fondo, più moralista di loro. È che non sono abituati: mai nel cinema egiziano si era osato mostrare apertamente l´omosessualità.

Leggi tutto l’articolo di Gabriele Romagnoli su Repubblica del 4 ottobre 2006

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