Nel numero di marzo-aprile della bella rivista bimensile “SegnoCinema” possiamo leggere un’ampia intervista al regista gay Sébastien Lifshitz preceduta da un saggio introduttivo all’autore di Adriano De Grandis. Lifshitz (1968) è una delle nuove promesse del cinema francese e ci ha già regalato film indimenticabili come Wild Side o Presque rien, ma soprattutto è una delle poche icone gay del cinema contemporaneo (insieme a Lee, Almodovar, Araki e al nostro Ozpetek). Nei suoi film l’omosessualità è sempre presente, magari non come problema in sè (come succedeva nei registi delle generazioni precedenti), ma come una realtà, come un dato di fatto ormai acquisito, da considerare alla pari di tanti altri. In questa intervista il regista sottolinea come il suo modo di presentare l’omosessualità si differenzi sia dai registi francesi del passato (come quelli della nouvelle vague, che la vedevano quasi sempre negativamente) che dagli altri grandi registi come Fassbinder, Pasolini, Almodovar, ecc. che ne hanno fatto una questione più politica. Oggi, dice il regista, non c’è più il bisogno di rivendicare, “la situazione dei gay si è banalizzata col tempo, c’è stata una visibilità crescente dagli anni ’80 e una volontà di mostrarsi” (probabilmente la Francia è più avanti di noi). L’autore afferma quindi di non volere fare col suo cinema della militanza gay: “Quando mi si parla di cinema omosessuale, non sono d’accordo. Non mi sento di rivendicare un’appartenenza al cinema gay, che non disprezzo, ma non fa parte della mia intenzioni di lavoro”. Probabilmente l’autore non vuole vedersi rinchiudere in una piccola categoria, che potrebbe limitare le sue capacità espressive (anche a noi piacciono poco le “etichette”), ma speriamo che questo non significhi l’abbandono di tematiche e personaggi glbt, come potrebbe far pensare quando afferma, sempre in questa intervista, che il suo prossimo film, del quale ha appena terminato la scrittura, non affronterà la sessualità come ha fatto finora.
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