“Ho mantenuto il mio giuramento. Sono qui con voi e continuo a difendervi dai vostri nemici, che ora sono i topi, e le scolaresche che vorrebbero portarsi via un ricordino, le guide che raccontano solo sciocchezze perché non vi hanno mai conosciuto mentre io, forse solo io, di voi conobbi tutto.” E’ notte al museo Tolstoj. Il servo Gheràsim si prepara all’ultimo duello. “So che lui mi sta guardando, e aspetta solo che chiuda e vada via per fare il comodo suo con queste reliquie. Ieri ha passato il segno, s’è mangiato sedici pagine del manoscritto di ‘Guerra e pace’. Da quando la casa è diventata un museo e io il suo guardiano, ne ho sgominati a legioni. Ma non lui. E’ il re dei topi e l’ho chiamato Gengis Khan. Ha un istinto speciale nel danneggiare i documenti più sacri, come avesse dichiarato guerra a Tolstoj in persona. Ma stanotte lo prenderò. Prima dell’alba, il roditore non roderà più.” Nel lungo appostamento, fra agguati e finte, Gheràsim si misura anche con il ricordo di Tolstoj, l’uomo che fu la sua fede, il suo torturatore, il suo bambino. Inseguendo il topo Gheràsim insegue Tolstoj oltre la vita. Rivive la tragedia e la farsa del “carrozzone Tolstoj”, la violenta quadriglia amorosa attorno al grande seduttore, la sua sottomissione all’allievo padrone, Certkov, le scenate selvagge con la moglie Sof’ja, i colpi di pistola, i finti suicidi, le congiure, le demoniache ingiustizie del grande patriarca “che da quando decise d’essere buono, rovinò la vita a tutti”.
Effettua il login o registrati
Per poter completare l'azione devi essere un utente registrato.
Condividi