Bello e sensibile, intelligente e colto, ricco di talento e capace di assoluto rigore professionale: non si smetterebbe mai di elencare le doti di Montgomery Clift, uomo e attore. Eppure la sua vita – nonostante il successo e l’agiatezza che ne derivò – non fu che una lunga sequenza di sconfitte, appena interrotta da rari momenti di serenità. L’omosessualità, mai negata e mai completamente accettata, fu senz’altro una delle ragioni di questo irrimediabile disagio esistenziale: era tutt’altro che facile essere e mostrarsi “diverso” nell’America del secondo dopoguerra. Ma anche l’irrisolto rapporto con una madre autoritaria e protettiva, l’acuta sensibilità in conflitto con un mondo già dominato dal culto dell’apparenza e del denaro, la difficoltà di stabilire e mantenere profondi legami personali, non furono di certo motivi secondari. Oggi Monty è quasi dimenticato (anche se qualcuno dei diciassette film di cui fu protagonista si affaccia di tanto in tanto sui nostri teleschermi). Eppure se fosse morto nel terribile incidente d’auto che ne sfigurò anche il futuro, sarebbe entrato nel mito, come è successo a James Dean e a Marilyn Monroe.
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