Incontri omoerotici lungo il fiume nei caldi pomeriggi estivi. Donne di strada che vivevano la loro sessualità in maniera spregiudicata. Relazioni non consacrate dal vincolo del matrimonio. Ma anche stupri e violenze a danno di minori. Tutti questi comportamenti furono passati al vaglio, nella Lucca del XVI secolo, dai giudici dell’uffizio sopra l’Onestà, una delle principali magistrature istituite in Italia per perseguire il “nefando vizio” della sodomia. L’accurata indagine qui compiuta non individua solo il nesso profondo tra controllo politico e disciplinamento della sessualità, ma consente anche di riportare alla luce il vissuto quotidiano di questa misteriosa sfera dell’esperienza umana. Il grande affresco che ne risulta rivela una realtà conflittuale e carica di contraddizioni. La necessità di rispondere agli imperativi morali della religione cristiana, cemento essenziale della vita civile e politica, si scontrava con il bisogno di governare una realtà sociale difficile da irreggimentare, in cui comportamenti ufficialmente riprovati non solo erano tollerati, ma anche, in alcuni casi, considerati funzionali al mantenimento dell’equilibrio complessivo della comunità.
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