Gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer, travestiti, pornologi, filosofi, ricercatori, militanti, migranti, personaggi dello spettacolo, sono alcuni dei protagonisti di “Yo no me complico“, girato tra il gay pride di Genova e il festival Gender Bender di Bologna, passando dalla Bergamo più conservatrice alle strade della prostituzione del capoluogo genovese. Il film è un bell’esempio di cinema che nasce dalle esigenze di studio e approfondimento di un gruppo di ricercatori universitari del Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova. Il film inizia con Tiago che va sullo skateboard, prende l’autobus dove si sente incollato addosso lo sguardo degli altri, e che se ne frega e dice “Yo no me complico“, cioè “Io non mi complico la vita, dico le cose come stanno“. Tiago ha 16 anni, viene dal Venezuela, è gay. Su di lui il peso di una doppia minoranza, di una doppia discriminazione. Ma lui rivendica con coraggio il suo diritto all’indifferenza, non alla tolleranza ma “a essere quello che si vuole, senza etichette. Insomma, che gli altri si dimentichino di me“. “Chissà“, dice “magari cambierò ancora orientamento sessuale. E allora, dov’è il problema? Perché complicarsi la vita?“. Il film è un mosaico di storie, dice il regista Diaco, che non vogliono insegnare o dimostrare qualcosa, ma solo “mettere sul tavolo delle questioni, e spazzare via le nubi che le avvolgono“.
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