Varie
A voyage through the night, from encounter to encounter, from the bars of Tel Aviv to the lanes of Jerusalem. People dance, laugh, have fun, in nightclubs. Dawn to the techno sound of a rave party in the open air. And to finish, a crazy kiss on the beach. A first kiss. Jews, Arabs, gay, straighs, transgender, all citizens of a single country: Israel. No wall separates them. One Israeli in five is Arab. And yet… A simple question takes everyone by surprise. To one set: “Would you have sex with an Arab?“ To the others: “Would you have sex with an Israeli Jew?“ They don’t expect it. Bothered, they laugh, hesitate, improvise, surprise themselves with their reactions. Many had never considered the question. Be together? An invisible barrier appears. Desire, too. Perhaps.
I have always liked frontiers that cross something intimate, the love between enemies who never surrender, the couples this creates. When they know each other, they do so like no-one else. They illuminate the world in a different manner. They are in a premonitory, modern place, that is, never in their own place. I like the world of night, I like dancing with the camera; I believe in dance, the dance with someone else. When it’s dark, you can’t fix your gaze, you see from the corner of your eye, like an animal. “Would you have sex with an Arab?“ A crazy question, and yet so simple. The camera runs. You have to answer without being noticed. They say, they say no, surprising themselves. They laugh. The question wakes them up. You see them thinking with their whole body. They are dumbfounded (which is no small thing for Israelis). That crushing prohibition is something they feel instinctively. They have to unwind live (and often discover) their perception of the other, the enemy. “Would you have sex with an Israeli Jew?“ The question also stirs Israeli Arabs. They say yes more often than no and drag us into an unsuspected world of the night. That’s what this film is. A geographic experience of an amorous nature, almost belly to belly. A sensual voyage into the mixing night of these Israeli towns that never sleep.
Commento del regista
Mi hanno sempre affascinata le frontiere che solcano l’intimo, gli amori tra nemici che non si arrendono, le coppie che nascono per questo. Quando si conoscono, si conoscono come nessun altro. Illuminano il mondo di una luce diversa. Sono precursori, moderni e quindi sempre fuori luogo. Adoro il mondo della notte, danzare con la telecamera; credo molto nella danza, nella danza di coppia. Quando fa buio, non riesci a mettere a fuoco, vedi solo i contorni, come gli animali. “Faresti sesso con un arabo?“. Domanda spaventosa – eppure banalissima. La telecamera registra. Devono rispondere senza preavviso. Alcuni dicono sì, altri no, sono perplessi. Ridono. La domanda li scuote. Si vede che ci stanno pensando con tutto il corpo. Sono disarmati (e per gli israeliani non è cosa da poco). Quel divieto così perentorio affiora d’istinto. Devono ammettere in diretta (o scoprire per la prima volta) la percezione che hanno dell’altro, del nemico. “Faresti sesso con un ebreo israeliano?“. La domanda sveglia anche gli arabi israeliani. La maggior parte risponde di sì, anziché no, trascinandoci in un insospettabile mondo notturno. Il film parla di questo. È un’esperienza geografica di stampo amoroso, direi quasi da pancia a pancia. Un viaggio sensuale nella notte promiscua delle città israeliane che non dormono mai.
CRITICA:
…Documentario coraggioso e molto applaudito che indaga, con sorriso diverito, dubbi, speranze e timori delle nuove generazioni che vivono la realtà di un territorio comunque di guerra, di separazione e di razzismo. Che lascia interrogativi importanti tentando di cancellare i tratti predefiniti del “nemico”. Dedicato a Juliano Mer-Khamis, attore, regista, direttore del teatro per bambini di Jenin, detto “della libertà”, ucciso in un attentato il 4 aprile 2011. (Maria Fiano, Sherwood.it)
…Would you have sex with an Arab? è un’intelligente provocazione, capace di mettere in discussione le radicate convizioni culturali e religiose che i tanti ragazzi intervistati sostengono più perché sono state loro inculcate (dai media, dai genitori) che per autentica vocazione, e che contrastano notevolmente con il loro stesso stile di vita, molto vicino a quello di un qualsiasi studente universitario o lavoratore occidentale. Ragazzi e ragazze che studiano, ascoltano musica di ogni genere, vestono come occidentali, si tingono i capelli di colori sgargianti, vanno alle feste e ballano in discoteche a prescindere dal fatto che siano ebrei o musulmani. Ragazzi e ragazze che si sentono integrati nel mondo globalizzato e condannano il razzismo e l’omofobia, pur non accettando di dover vivere fianco a fianco con quello che gli hanno insegnato essere il nemico. Ma anche ragazzi e ragazze che conoscono la sofferenza di un amore impossibile, inaccettabile per le famiglie, per la loro società e per il loro governo, e che soccombono soffocando i loro sentimenti perché proibiti, pur essendo costretti ad accettare la guerra… (Giovanna D’Ignazio, Close-up.it)
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