Anzitutto un encomio alla regista Gillian Armstrong per questo bellissimo e utilissimo lavoro sulla vita di Orry-Kelly, un personaggio fino a poco tempo fa praticamente sconosciuto ai più, sebbene sia stato nominato 4 volte agli Oscar (come costumista) e ne abbia vinti ben 3. A quei tempi era una vera star. Nei migliori anni di Hollywood ha disegnato i costumi per 282 film (tra i quali “A qualcuno piace caldo”, “Casablanca”, “Un americano a Parigi”) e vestito dive/divi come Marilyn Monroe, Bette Davis (anche sua grande amica), Humphrey Bogart, Rosalind Russell, Errol Flynn. Nel 1920 Orry George Kelly lascia il suo paese d’origine, l’Australia, per recarsi negli USA e cercare fortuna a Broadway. Dopo una breve e non felice esperienza (disse che aveva le braccia troppo deboli per quel lavoro), trova impiego (grazie ad alcuni suoi murales dipinti per un locale notturno) come disegnatore di costumi per le riviste Shubert e Scandals. Stava avendo un successo insperato, e andava molto meglio del suo fidanzato Archie Leech, un attore che riusciva ad ottenere qualche parte solo per il suo ottimo aspetto. Nel 1930 Kelly si trasferisce a Hollywood iniziando una carriera che lo porta in breve tempo ad essere il capo dei costumisti della Warner, dove rimase fino al 1944, lavorando su 50 film ogni anno. Il suo fidanzato iniziò anch’esso ad avere successo e Hollywood decise di cambiargli il nome in quello di Cary Grant. Come spesso accade il successo può cambiare molte cose e dopo diversi litigi Orry e Cary prendono strade diverse. Anche perchè Orry-Kelly non nascondeva la sua omosessualità, cosa che lo mise in pericolo diverse volte e per la quale spesso veniva offeso e deriso, ma era sempre difeso e protetto dall’amicizia che aveva con Jack e Ann Warner e dai positivi articoli della giornalista di gossip Hedda Hopper. Al contrario Cary Grant decise di rimanere velato, nonostante andasse a vivere per una decina d’anni con l’attore gay Randolph Scott, e anche quando gli Studios lo obbligarono a sposarsi, egli portò la moglie nello stesso appartamento dove viveva con Randolph. In totale Grant dovette sposarsi 4 volte, anche perché ogni matrimonio durava pochissimo. Orry era amatissimo dalle star e la regista Armstrong ha intercalato il suo profilo con la testimonianza diretta delle maggiori attrici che in quegli anni aveva vestito.
Il film ricostruisce momenti della vita di Orry (interpretato benissimo da Darren Gilshenan, che ci regala diversi accattivanti monologhi, oltre che essere la voce fuori campo) con diverse interviste a persone che hanno lavorato con lui, incluse Jane Fonda e Ann Roth. Quest’ultima ha lavorato come assistente di Orry e in seguito ha vinto anch’essa un Oscar come costumista. Molto accattivante anche l’interpretazione di Deborah Kennedy nella parte della madre di Orry. La cosa curiosa è che per tutto il film, nonostante vengano mostrate diverse immagini e riprese d’archivio, non viene mai mostrato il vero Orry (persino la scena della consegna dell’Oscar a Orry, viene tagliata poco prima che della sua salita sul palco). Probabilmente per non distrarci dalla magia creata da Gilshenan che lo interpreta. Solo alla fine del film possiamo goderci una carrellata di immagini del vero Orry.
Orry-Kelly, morto nel 1964 per un cancro al fegato (era diventato alcolizzato), aveva scritto le sue memorie, intitolate “Women He’s Undressed“, che però non vennero mai pubblicate per l’intervento di Cary Grant e della Warner (dietro chissà quali intrighi), memorie che sono state ritrovate da un parente (in seguito al clamore sollevato dalla lavorazione di questo film) e pubblicate nel 2015.
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