“…. Tratto dalle memorie dell’agente di Borsa americano, il film di Martin Scorsese e dello sceneggiatore Terence Winter ne racconta l’ascesa veloce e la veloce caduta, tra frodi, sesso e droghe d’ogni tipo. L’avventura inizia di fatto il 19 ottobre 1987, il lunedì nero di Wall Street. Crollato il mercato finanziario ufficiale, il neo broker (Leonardo DiCaprio) ci riprova con quello semiclandestino, vendendo azioni senza valore ai poveri. Poi capisce che può venderle con maggior profitto ai ricchi, sempre in coerenza con la metafora della penna. Quel che ne viene è il dominio in Borsa della Stratton Oakmont, guidata da Jordan e dal suo branco di lupi (senza offesa per i lupi): tutti giovani, tutti svelti, tutti certi che il modo migliore di mettersi soldi in tasca sia di levarli da quelle degli altri. Così funziona il mercato, sostiene Jordan, e non solo per la Stratton Oakmont. La sua particolarità, semmai, sta nella necessità di recuperare alla svelta lo svantaggio rispetto ai concorrenti: quello di non essere guidata da figli e nipoti e pronipoti di antichi lupi fondatori (ancora senza offesa per i lupi). Simili ai goodfellas mafiosi di “Quei bravi ragazzi” (1990), Jordan e i suoi compagni amano l’eccesso, ed eccessivo, ma nel senso migliore, è il cinema di Scorsese. In un certo senso, gira il suo film in corsa. I dialoghi, le situazioni, il montaggio, tutto è come fosse visto e raccontato direttamente dai protagonisti. Non c’è, o non sembra esserci, una moralità esterna. È il trionfo indiscusso e indiscutibile dell’avidità, e insieme quello di uno stile di vita. La Stratton Oakmont è l’America, dice Jordan. Ma si illude, almeno in parte. E infatti a lui accade quello che agli altri lupi più blasonati, e più wasp, non accade. L’Fbi lo indaga, lo incastra, lo costringe a collaborare, lo fa condannare e ne chiude la carriera. Tutto il resto non cambia. E in fondo nemmeno lui. Abbandonata la Borsa, torna a far soldi tenendo corsi “motivazionali”. Detto altrimenti: insegnando a vendere penne sul mercato dei gonzi. Perso il pelo, il vizio resta.” (R. Escobar, L’Espresso) Tra i tanti eccessi che il film sciorina non poteva mancare l’orgia gay, in verità assai posticcia e superflua nell’economia della storia in quanto gestita da un domestico gay che vediamo solo in un paio di scene. Il messaggio sembra essere: i gay sono sessuomani e per di più ladri. Vabbè. Ci convincono un po’ di più le insinuazioni che vengono fatte al co-protagonista (si fa per dire) Donnie Azoff (un bravissimo Jonah Hill) che viene ‘accusato’ di essere gay in quanto visto bazzicare in ambienti omosessuali, cosa che lui disperatamente nega, lasciandoci però convinti del contrario.
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