E’ la tipica storia di successo di Sundance: giovane aspirante regista cerca di raccogliere i fondi per il suo film che ha scritto su un batterista jazz, e per farlo gira una scena dal copione, in due giorni, con un bravo attore (J. K Simmons) e qualche amico, e lo manda a Sundance. Il corto, intitolato Whiplash, entra nel festival, vince come miglior corto ed è così ben fatto che attrae l’attenzione del Sundance Institute e del produttore Jason Reitman. Un anno dopo, il film dallo stesso titolo, Whiplash, scritto e diretto dal 28enne Damien Chazelle, viene accettato come film di apertura del festival di Sundance e vince sia il Gran premio della giuria che del pubblico, un onore raramente riservato a un unico film. Nel cast nuovamente J. K. Simmons nel ruolo del più ambito direttore d’orchestra di una prestigiosa scuola di musica che per ottenere i più alti risultati possibili dai suoi studenti li spinge fino a livelli di abuso crudele. Fra questi sembra prendere di mira lo studente interpretato da Miles Teller, che per assecondarlo fa pratica fino a distruggersi le mani e la mente, e alla fine anche le sue ambizioni di musicista prima di ritrovare in se stesso la forza e la passione.
“Io stesso ero un batterista jazz e tanta di questa storia è autobiografica”, ci ha detto Chazelle a Park City. “Cercavo di fare cinema anche mentre studiavo musica, e mi sono reso conto che i due campi hanno molto in comune: il 99 per cento di chi ci prova fallisce e viene rifiutato, solo l’uno per cento ce la fa. Volevo fare un film su quanto sia difficile emergere, riuscire a farcela e avere successo. Tanti film su musicisti come Mozart o Charlie Parker sono su personaggi che alla fine si erano pienamente formati, che ce l’avevano fatta. Io volevo fare un film su qualcuno che magari all’inizio non è un grande musicista, ma che attraverso il suo sangue e sudore almeno si eleva a un certo livello.” Il film, aggiunge Chazelle, è stato ispirato da un direttore d’orchestra che lui stesso aveva a scuola: “Alcune delle battute del dialogo sono prese verbatim da lui, ma non era mai violento, stava solo cercando di rendermi un miglior batterista, cosa che sono riuscito a diventare, grazie a lui. Ma non volevo fare un film solo su di lui, volevo porre il dilemma: se il maestro diventa violento, fisicamente e psicologicamente, ma ottiene risultati, è accettabile? A che punto il gioco non vale la candela? Io trovo quello che fa il personaggio di J. K. Simmons assolutamente orribile, e volevo rendere il suo personaggio più orribile possibile, e la musica migliore possibile, per creare quel disagio nel pubblico, per non lasciare al pubblico l’idea che il fine giustifichi i mezzi”. (Silvia Bisio, La Repubblica)
Effettua il login o registrati
Per poter completare l'azione devi essere un utente registrato.
Condividi