Una sorprendente opera prima (ma ormai ci stiamo abituando) che rende accattivante e coinvolgente una storia forse già vista (madre protettiva, padre lontano, figlio sicuramente gay) ma così affascinante, poetica e immaginativa, da farci gridare al piccolo capolavoro, anche se nell’ambito purtroppo ristretto dei film d’essai. Il film è tratto dal romanzo omonimo (pure esso d’esordio) di Justin Torres, centrato sull’infanzia difficile e maltrattata di un sensibile ragazzino, una storia più interiore che esteriore difficile da tradurre cinematograficamente, ma la regia e la sceneggiatura di Zagar ci riescono splendidamente. Il film è pieno di immagini sublimi che ci rapiscono, visioni oniriche alternate a disegni impressionistici (che ci riportano i sentimenti del piccolo protagonista Jonah), pochissimo parlato (solo quando veramente necessario), e quasi sempre con dialoghi poetici, soprattutto nell’accativante voce fuori campo di Jonah. La regia fa di tutto per farci entrare nella mente e nell’anima di questi bambini, di questi piccoli animali, come dice il titolo.
Ambientato negli anni ’90 in un zona rurale dello stato di New York, il film segue la storia di una famiglia disfunzionale, con due genitori (il padre è interpretato da Raul Castllo, il bravo gay di “Looking”) che si sono sposati ancora adolescenti (causa gravidanza) che litigano in continuazione e tre figli, Jonah (Evan Rosado), Joel (Josiah Gabriel) e Manny (Isaiah Kristian), costantemente trascurati. I tre fratelli devono arrangiarsi, crescere in anticipo e difendersi da soli dopo che il padre li ha abbandonati e la madre non è più in grado di alzarsi dal letto. Jonah scoprirà la sua omosessualità, che forse aveva già intuita spiando i genitori che facevano sesso, incontrando un amico durante le scorribande nella città, in giro coi fratelli senza sorveglianza.
Vediamo i bambini ridere della madre maltrattata, cantare gioiosamente quando apprendono che il padre è rimasto senza lavoro, mimare una spaventosa conversazione telefonica tra i genitori… è la forza della disperazione, l’istinto alla sopravvivenza che li fa superare ogni cosa, la violenza, gli abusi, la miseria, l’omofobia, ecc. Tutte cose che comunque restano dentro, ci condizionano e plasmano il nostro futuro. Il film si concentra su pochi mesi (mentre il romanzo racconta di anni) ma ci regala un ritratto intenso e profondo, quasi uno studio antropologico e psicologico su famiglie delle classi inferiori, su come un’infanzia di miseria ed abusi possa segnare per sempre la nostra psiche e il nostro profondo sentire. Ma il film alla fine ci fa capire che possiamo andare oltre, anche senza dimenticare, che possiamo superare anche le peggiori e traumatiche ferite … Film vincitore al Sundance 2018, Montclair Film Festival, L.A. Outfest, National Board of Review, Independent Film Festival of Boston, Deauville Film Festival , ecc.
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