Varie
Questo bel documentario di Adam Low, appartenente alla prestigiosa serie di biografie ARENA BBC, ci mostra come la straordinaria vicenda personale di Luchino Visconti (Milano 2 novembre 1906 – Roma 17 marzo 1976), si sia puntualmente riflessa in tutta la sua opera cinematografica.
La voce dell’attore James Fox ci guida attraverso immagini di repertorio, spezzoni di film ed interviste a parenti ed amici del regista, partendo dai ricordi di alcuni suoi nipoti e dalle immagini dei luoghi della sua infanzia, come il castello paterno di Grazzano Visconti, il palazzo di via Cerva a Milano, villa Erba a Cernobbio e la villa che Visconti ereditò dal padre sulla Salaria a Roma. Visconti ricorderà sempre con grande nostalgia la sua infanzia spensierata con i suoi sei fratellini nelle residenze di famiglia. Quegli anni felici furono però interrotti dalla separazione dei genitori a causa dei continui tradimenti del padre Conte Giuseppe Visconti di Modrone (1879-1941). Con la separazione, la famiglia si dividerà in due e Luchino andrà a vivere con la madre Carla Erba (1880-1939), alla quale egli era molto legato. Nel suo ultimo film “L’innocente” (1976), girato quando Visconti era già quasi completamente paralizzato, sono riconoscibili elementi autobiografici legati ai problemi coniugali dei genitori.
Il documentario prosegue raccontando a grandi linee tutta la vita professionale del regista, partendo da quando, verso la metà degli anni ’30, entra in contatto a Parigi, con il meglio della cultura internazionale (e omosessuale) e grazie all’amicizia con Cocò Chanel conosce il regista Jean Renoir e diventa suo assistente per il film “Une Partie de Campagne”(1936). Nell’entourage di Renoir, Visconti conosce molti esponenti del Fronte Popolare Francese e del Partito Comunista. Nel 1943 gira, in parte a sue spese, il suo primo film “Ossessione” considerato il primo capolavoro del cinema neorealista.
Pur non rinunciando mai ad uno stile di vita molto raffinato, Visconti era anche un comunista e così come in molti suoi film si è interessato alla descrizione fin nei più minimi particolari del lusso in cui vivevano le classi agiate (alle quali comunque non risparmiò un giudizio storico molto negativo), dedicò altrettanto sforzo nel descrivere la gente più umile in film come “La terra Trema”, dove ebbe come aiuto registi Franco Zeffirelli e Franco Rosi e poi in “Rocco e i suoi fratelli”, film che Visconti considerava anche un doveroso tributo a Milano, sua città di origine.
Riguardo all’omosessualità di Visconti il documentario si limita a citare le sue relazioni più note, trattando diffusamente solo quella con l’attore austriaco Helmut Berger, mentre Franco Zeffirelli, che pure parla a lungo, evita l’argomento. Visconti stesso, parlandoci di ” Morte a Venezia”, ci fa capire di avere molto in comune con il protagonista del film, il compositore Gustav Aschenbach, nella sua ricerca verso la bellezza e la purezza assoluta, che il compositore trova inaspettatamente nell’efebico Tadzio, e nell’identificazione tra la bellezza e la morte. Alla fine del documentario Visconti, ormai ammalato, afferma di non avere paura della morte perché: ‘ per me la morte è una cosa naturale, morire e nascere sono la stesa stessa cosa, forse è meglio morire…’.
Ignazio Maccarone, che da ragazzino fu tra i protagonisti di “La terra Trema” (1948), qui ci racconta che dopo quella esperienza Visconti lo invitò per un certo periodo nella sua splendida villa di Roma e lo coprì di regali. Niente è detto riguardo al tipo di amicizia che ci fu tra i due, ma è noto che era abitudine del regista invitare i suoi giovani amanti nella sua casa romana.
La relazione con Hermut Berger (che Visconti conobbe quando Berger era ancora un giovanissimo studente e non aveva alcuna esperienza di attore) è descritta dal costumista Piero Tosi come un mezzo inferno, eppure a quanto si sa, fu la più lunga che il regista abbia mai avuto. Tosi, che evidentemente conosceva molto bene il suo amico Luchino (e che, qualcosa ci dice, ne condivideva i gusti) ci descrive come le relazioni di Visconti, fossero sempre tumultuose, odio e amore, dente per dente, scene di gelosia e ripicche. Ancora più diretto è lo sceneggiatore Enrico Medioli., che ricordando come Berger fosse spesso sgradevole e offensivo verso Visconti, nota d’altra parte che a Visconti non interessavano le relazioni tranquille, ma egli era piuttosto attirato da situazioni con componenti masochistiche. Berger e Visconti erano legati dalla classica relazione che si instaura quando uno dei due ha il denaro ed il potere e l’altro ha la bellezza e la giovinezza: una continua lotta.
Giudizi negativi su Berger vengono anche da Charlotte Rampling, che racconta come Berger durante le riprese di “La caduta degli dei”(1969) non sapesse fare niente, era rozzo nei modi e privo di cultura e tutto gli doveva essere insegnato da Visconti. Dirk Bogart poi ricorda come nella stessa occasione egli mal sopportava che tutto dovesse ruotare attorno al giovanotto austriaco.
Helmut Berger (che qui vediamo ormai assomigliare a Paolo Villaggio) ci conferma i giudizi precedenti, raccontandoci dei suoi capricci e di come egli si fosse lasciato trascinare dagli eccessi della ‘Dolce vita’, mentre Visconti, seppure con il suo modo autoritario, cercava di proteggerlo. I due si amavano ma litigavano spesso e in quelle occasioni Berger faceva le valige e se ne andava in albergo, ma poi gli bastava l’acquisto di una Maserati per riacquistare il suo buon umore (e sappiamo poi a chi arrivava il conto). Berger ci racconta anche della sua antipatia per il cane afgano nero di Visconti, l’unico che poteva entrare in casa, che chiamandosi Rocco gli ricordava Alain Delon, il predecessore di Berger nel cuore del regista.
Purtroppo nel documentario non ci sono immagini di Visconti da giovane e stringe il cuore vedere il divario tra le vecchie foto di lui bambino felice vicino alla sua amata mamma ed ai fratelli e quindi vederlo parlare nei filmati in cui aveva omai una certa età, sempre con l’espressione del volto di un uomo deluso, amareggiato e tormentato da conflitti interiori, sempre teso e impegnato a torturare nervosamente l’immancabile sigaretta o una tazzina di caffè. C’è un unico momento in cui vediamo Visconti veramente felice, ed è mentre dirige le prove di un’opera lirica, sua grande passione ereditata, come l’amore per il teatro, dai genitori. (R.M.)
Condividi