Varie
“Applausi, commozione e un pizzico di stupore. Erano anni che Berlino non azzeccava l’apertura, diciamolo. Invece ‘La môme’ (‘La vie en rose’) di Olivier Dahan, 140 minuti sulla vita e l’arte di Edith Piaf, è il filmone che ogni festival sogna per l’inaugurazione. Un esempio, oggi sempre più raro, di buon cinema popolare, pieno di ambienti, di personaggi, di sentimenti. Il ritratto di una figura leggendaria sbozzato con tratto generoso e rotondo, senza esibire artifici formali invadenti, ma evitando anche la retorica o le riverniciature di nuovo di tanti pessimi biopic. (…) Intanto Marion Cotillard, truccatissima ma mai ridicola, invecchia, ringiovanisce, canta in playback, si confronta con la vera Piaf rilanciandone, auguriamoci, la leggenda con questo film ‘per tutti’, come si diceva un tempo, che potrebbe accontentare, chissà, anche i palati più esigenti.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 9 febbraio2007)
“Apertura francese per il Festival tedesco con ‘La môme’ di Olivier Dahan, dove Marion Cotillard (‘Big Fish’) interpreta Edith Piaf proprio come Helen Mirren interpretava la regina Elisabetta in ‘The Queen’ e veniva premiata alla Mostra di Venezia: imitandola. Lo fa benissimo, ma è veramente questo che si vuole da un attrice? (…) A quarantatré anni dalla morte della Piaf, più che la sua voce, è il potere della lobby lesbica a farla riproporre da questo film compilativo ma dignitoso, girato con vasti mezzi e che ha ottenuto la prima vetrina del grosso festival più gayo che ci sia. (…) Peccato che Dahan abbia esitato nel concludere il film, dandogli quattro finali e poi ricominciando, fino a concludere nel modo più banale: alternando, come nel resto del film, immagini dell’atroce declino dalla Piaf (a quarantotto anni ne dimostrava il doppio) a immagini degli atroci inizi. Il tutto in due ore e venti, quando si poteva chiudere decentemente in un’ora e mezza. Peggio, due ore e venti dove ci si raccapezza solo se si conosce già il personaggio.” (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 9 febbraio 2007)
“Nel suo affascinante collage biografico il regista Olivier Dahan, privilegiando i tormenti e le estasi della
‘Mome’ (la chiamavano così, la marmocchia), trascura un po’ il fatto che le parole di ‘La vie en rose’ (come quelle di altre canzoni) Edith se le scrisse da sola: era dunque una poetessa, sia pure di formazione ruspante. E forse bisognava dare qualche risalto a quella che Marc Robine nel suo libretto ‘Il était une fois la chanson française’ chiama la nebulosa Piaf, cioè il fertile contesto in cui la diva si impose come centro motore di straordinarie energie creative, non solo artisti come Gilbert Bécaud, Yves Montand, Charles Aznavour, Francis Lemarque, ma anche parolieri, compositori, produttori musicali. (…) La parabola umana è rievocata in un artistico disordine che salva il film dalla banalità della biografia con il personaggio che passa nel tempo. (…) Al di là di ogni elogio l’eroica prova di Marion, il cui strepitoso risultato non si deve soltanto alle sei ore giornaliere di manipolazioni facciali perché il segreto della recitazione sta nell’occhio, che non si trucca, e nell’arte di muovere le mani. Sicché l’interprete esce vincente dalla sfida di accompagnare il playback con la mimica e lo sguardo; e a questo proposito va segnalato il paradossale felicissimo colpo di regia per cui il primo trionfo della Piaf è raccontato togliendo la voce della cantante e contrappuntandone le espressioni con quelle del pubblico ormai conquistato una volta per tutte. Tra altri difetti, che non mancano, ‘La vie en rose’ ha quello del congedo lento. I1 finale si trascina a lungo introducendo fra altri insistiti tocchi sentimentali il particolare della figlioletta morta precocemente che a quel punto è superfluo. Era meglio arrivare prima a ‘Non, je ne regrette rien’, una canzone che esprime il senso di una vita.” (Tullio Kezich, ‘Corriere della Sera’, 4 maggio 2007)
“Non tutto nel film funziona a questo stesso grado di eccellenza. Rifiutando l’ordine cronologico Dahan percorre avanti e indietro gli eventi della biografia puntando alla suggestione più che alla completezza, con risultati discontinui. Molti fatti anche notissimi riguardanti Edith non figurano proprio, mentre altri sono ampiamente rappresentati in un’alternanza di momenti riusciti e altri meno. Pure qui particolare attenzione è dedicata al capitolo Cerdan, che com’è risaputo morì in un incidente aereo proprio nel pieno della sua romantica relazione con la Piaf. Lo interpreta il prestante Jean-Pierre Martins in un cast che risulta tutto adeguato: dal carismatico Gerard Dépardieu che impersona da par suo il primo scopritore della Piaf misteriosamente assassinato, a Emanuelle Seigner prostituta di buon cuore; da Jean-Paul Rouve padre snaturato e Clotilde Coureu (consorte nella vita di Emanuele Filiberto di Savoia) nel difficile cammeo di madre squilibrata. Autore del poco memorabile ‘I fiumi di porpora 2’, Dahan si dimostra qui un regista da tenere d’occhio per il modo in cui, utilizzando al meglio scene e costumi, sposa spettacolo all’americana e cinema francese classico (come non ricordare Jean Renoir?). Inutile aggiungere che la colonna musicale è un godimento continuo.” (Alessandra Levantesi, ‘La Stampa’, 4 maggio 2007)
“Piacerà a quelli che… dove c’è il drammone che t’angoscia, ma anche gli intermezzi musicali che ti ristorano l’anima. Dove non sono evitati i momenti duri, ma sono accuratamente dribblati i lati solo sgradevoli. La droga (che fu la vera assassina di Edith ) è solo enunciata. I suoi molti giovani amanti neppure nominati (fece da nave scuola, tra l’altro, a un paio di emigranti colle pezze al culo destinati a diventare Yves Montand e Charles Aznavour). E a somiglianza dei modelli americani, ‘La vie en rose’ non sbaglia gli attori. Marion Cotillard (la bella di Provenza di ‘Un’ottima annata’) non assomiglia a Piaf neppure un po’ (è alta almeno due palmi in più) ma è una forza della natura. La nuova, grande, primadonna di Francia.” (Giorgio Carbone,
‘Libero’, 4 maggio 2007)
La prima volta che vidi questo film rimasi incantato dall’interpretazione della Cotillard, al punto da non vedere oltre. L’attrice diventa la Piaf in toto. Nella versione originale si coglie la formiadabile imitazione della parlata da perenne ubriaca. Rivedendolo però mi sono reso conto che troppi avvenimenti e storie d’amore importanti sono a mala pena accennati, oppure del tutto tralasciati. Credo sia il tipico film fatto e pensato per essere esportato negli States. Rimane comunque ottimamente rappresentato un indimenticabile personaggio. Il momento in cui la “passerotta” canta JE NE REGRETTE RIEN provoca lacrime copiose. La canzone è la vera summa di un’intera vita vissuta fino in fondo. Amo quella canzone alla follia, e proporrei un monumento per il giovane autore che gliel’ha timidamente proposta. Se avrò la fortuna d’invecchiare, vorrei poter ascoltarla pensando: “Niente di niente. Non rimpiango niente”.
Storia della vita della celebre cantante Edith Piaf. Sebbene l’attrice protagonista sembri davvero calata nella parte, il film non mi appassione; provabilmente non per la trama, ma per l’argomento. Se dovessi scegliere se rivedere il film non lo rifarei …
(per rispondere al precedente commento) Edith Piaf ebbe un rapporto importante con Marlene Dietrich. Il film mi è piaciuto molto, nonostante fosse lungo quando ero al cinema volevo che non finisse. Mi è piaciuta l’interpretazione di Marion Cotillard, si vede che ha studiato tanto per questo film con ottimi risultati devo dire!
Presentare come “cantante lesbica” Edith Piaf significa scrivere in malafede e screditare questo sito per scriteriato radicalismo.