Unmade Beds

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Unmade Beds

Avere vent’anni a Londra. Nella palpitante metropoli inglese letti sfatti, concerti, feste e fiumi di alcool e sesso fra le stanze scombinate di una warehouse dove s’incrociano le vite di Axl, ragazzo argentino in cerca d’un padre che lo ha abbandonato e la vulnerabile Vera che invece vuole ricucire il suo cuore a pezzi. Entrambi non trovano quello che stanno cercando e magari si risvegliano in camere sconosciute, senza più un ricordo, storditi. Vivere insieme senza incontrarsi mai, sfiorarsi senza toccarsi veramente, un sogno continuo ad occhi aperti che dissimula la fatica di crescere, la difficoltà di trovare un’identità che corrisponda loro, la parvenza d’un presente che sia reale. Dai quartieri underground dell’East End, una grande colonna sonora indie rock con We are Performance, Kimya Dawson, Tindersticks. Diretto da un giovane regista di culto della comunità queer e presentato con successo nel 2009 al Sundance e alla Berlinale. (Togay)

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Rumpled, vague and possibly a bit whiffy, Alexis Dos Santos matches form to title in his second feature, telling the parallel tales of two lovelorn young expats flopping down in a London squat.
Axl (Fernando Tielve) is a dreamy Spaniard in search of his long-lost father and prone to bouts of binge-drinking that leave his memory wiped come next morning. Vera (Deborah François) is a dark-eyed Belgian beauty who gets involved with a beardy musician (Michiel Huisman) yet somehow contrives not to find out his name. The film’s movement is desultory and maddening at times, and the director’s reliance on his cast’s powers of improvisation is ill-advised; nothing so determinedly shambolic could ever be truly loveable. But some choices hit the mark, including François and the use of Kimya Dawson’s lovely “I’m Fine” on the soundtrack. (A. Quinn, The Indipendent)

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