Un film militante e mainstream nello stesso tempo, con qualche caduta nel didascalico (forse necessaria) e con momenti di tenera poesia. Vincitore del Teddy Award 2017 (era anche nel concorso principale della Biennale) con la seguente motivazione: “un film perfettamente realizzato, con un magnifico approccio cinematografico che ci presenta un racconto intimo ancora sottorappresentato. Un universo autentico e fermamente agganciato alla realtà. Con una performance ipnotizzante e naturale di Daniela Vega, attrice transgender, nel ruolo della protagonista Marina. Il regista Sébastian Lelio ha infuso comprensione e compassione in una storia di discriminazione ed emarginazione delle persone transgender”. Marina e Orlando sono innamorati e programmano di trascorrere la loro vita insieme. Lei lavora come cameriera e adora cantare. Il suo amante, vent’anni più vecchio, ha abbandonato la sua famiglia per unirsi a lei. Una notte, mentre stanno tornando a casa dopo aver calorosamente festeggiato il compleanno di Marina in un ristorante, Orlando diventa estremamente pallido e rimane bloccato. All’ospedale, i medici non possono fare altro che confermare la sua morte. Gli eventi successivi si accavallano velocemente: Marina si trova davanti ad un ispettore di polizia donna che le fa spiacevoli domande e la famiglia di Orlando la guarda con rabbia e sfiducia. La moglie di Orlando esclude Marina dal funerale e le ordina di abbandonare subito l’appartamento, che sulla carta è intestato a Orlando. Marina è una donna transgender. La famiglia del defunto si sente minacciata dalla sua identità sessuale. Con la stessa energia che una volta ha usato per difendere la sua decisione di vivere come donna, Marina, a testa alta, ora insiste per il diritto ad elaborare il suo lutto… Anche se tutto l’ambiente che la circonda cospira contro di lei, il film è decisamente dalla sua parte, mostrandoci una protagonista che, sebbene altamente segnata, è comunque forte e consapevole di come va il mondo, una donna veramente fantastica. Tra i produttori del film troviamo i fratelli Juan de Dios e Pablo Larraín, che hanno già al loro attivo ottimi film come Tony Manero, Il club, Neruda, Jackie, tutte opere dai contenuti assai impegnativi. Il regista Sebastián Lelio, già ammirato per “Gloria” del 2013, si concentra qui su uno degli ultimi tabù della società contemporanea maschilista e ipocrita, la transessualità, disegnando un personaggio transessuale ricco di sfumature e sicuramente ammaliante.
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