Vincitore del premio più importante del Sundance, il Gran Premio della Giuria nella competizione drammatica statunitense, “The Miseducation of Cameron Post” di Desiree Akhavan (Appropriate Behavior) è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Emily M. Danforthun che nel 2012, alla sua uscita, diventò un caso letterario negli USA, al centro di vari dibattiti e polemiche sui media. Il tema del film, la riconversione gay, non è del tutto nuovo al cinema, basti pensare a “I Am Michael” con James Franco che ‘guarisce’ dall’omosessualità, o a “But I Am a Cheerleader” con le disavventure di Natasha in un campo di addestramento, ma qui la protagonista non pensa nemmeno un momento a mettere in discussione la propria omosessualità. Qui al centro abbiamo una feroce e puntuale critica all’apparato religioso, al sistema che vorrebbe farti un totale lavaggio del cervello, all’ipocrisia imperante, e al contempo una forte affermazione dell’identità gay, una certezza ed una padronanza di se stessi che si rifletti anche nel mondo onirico della protagonista (con momenti esilaranti).
All’età di dodici anni, Cameron Post (Chloë Grace Moretz, giovane attrice abituata a ruoli anche più trasgressivi, vedi Kick-ass e Lasciami entrare) perde i genitori in un incidente stradale, lo stesso giorno in cui da’ il primo bacio alla sua migliore amica. Anni dopo, durante il liceo viene sorpresa con un’altra ragazza sul sedile posteriore di un’auto nella notte del ballo e mandata dalla zia ultra-conservatrice, che l’ha cresciuta, in un centro di terapia di conversione per essere “curata” dall’omosessualità. Cameron è sottoposta a una disciplina bizzarra con metodi discutibili, ma ha anche modo di incontrare altri coetanei come lei, formando un’improbabile e piccola comunità gay.
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