Varie
Recensione di Natalia Aspesi su La Repubblica del 7 gennaio 2019
Quando, nelle prime immagini la favorita del momento con gesti ossequiosi la libera dal candido manto di ermellino con lungo strascico e dalla pesante corona, nella realtà della Storia la regina Anne di Gran Bretagna, ultima Stuart, ne ha già fatte di ogni colore: assieme alla sorella maggiore Mary II, che l’ha preceduta sul trono, ha contribuito a cacciare dal trono il padre, re James II, ha rotto i rapporti con Mary e dopo la sua morte anche con il cognato re William III: è riuscita a far cancellare dalla successione il fratellastro James Francis Edward principe di Galles, figlio del deposto re James e della seconda moglie; ha amato moltissimo, riamata, il marito George di Danimarca, ha avuto diciassette disastrose gravidanze, una per anno, e il solo figlio sopravvissuto, William Henry duca di Gloucester, è morto tossicchiando a 11 anni, nel 1700.
Anne, regina a 37 anni, dal 1702, era una vera iena, infelice e maligna, creatrice di pettegolezzi rovinosi, assetata di potere e malaticcia sin dalla nascita. Ma è ovvio che per Yorgos Lanthimos, regista greco trapiantato in Inghilterra, autore di film sgradevoli ammirati da molti, il contesto storico tra i più confusi e spietati d’Inghilterra, interessa per raccontare altro, evitando anche qualsiasi accenno alla durissima guerra di religione, tra cattolici, perdenti come il deposto re, e gli anglicani, come le sue due figlie, vittoriose.
La regina Anne è rintanata in una sua immensa orribilmente sfarzosa camera da letto piena di pasticcini che lei si caccia continuamente in bocca con le mani; è grassa, gottosa, pigra, infelice, incattivita, isolata, sola, circondata dai suoi diciassette coniglietti che rappresentano i figli inesistenti.
Chi al suo posto prende decisioni politiche, come la partecipazione alla guerra di successione spagnola, è Sarah (duchessa di Marlborough e antenata della principessa Diana), amica d’infanzia della regina e sua schiava e padrona. Il ruolo di favorita viene minacciato dall’arrivo della cugina impoverita Abigail Hill, apparentemente sottomessa, che da sguattera conquista la fiducia della regina ingaggiando una quotidiana schermaglia con la rivale per servire, divertire, curare la regina, trasportandola in sedia a rotelle o portantina, anche entrando nel suo letto grande e vuoto.
Alla corte di Anne sono gli uomini a imbellirsi con enormi parrucche a boccoli, nere e sino alla vita, il viso truccato perché il potere consente anche la frivolezza, non alle donne, la cui semplicità è segno di sudditanza e inconsistenza, ma anche di furbo ritegno per poter scegliere chi tentare. Questi uomini, come sempre, ritengono di avere ogni diritto sessuale a cui però le donne sanno di doversi sottrarre. Abigail è in camera sua quando entra il giovane Masham, e lei lo affronta ironica: «Siete qui per sedurmi o violentarmi?». Lui: «Ma io sono un gentiluomo!». Lei: «Allora violentatemi!». E Sarah, che Abigail ha cercato di eliminare ed è stata salvata dalle signore di un bordello, al gentiluomo che le chiede se l’abbiano stuprata risponde serenamente, «No ma fosse necessario, ecco un lavoro ben remunerato». Le donne si sono salvate, ci ricorda Lanthimos, con bellezza, giovinezza, intelligenza, sapere (Abigail quando è sola ha sempre in mano un libro): e nei secoli per loro bui, con qualsiasi mezzo, furbizia, ipocrisia, inganno. E con il sesso, che nel film è usato come prevaricazione e manipolazione, in questo caso da donne su una donna: oppure pensando ad altro come noiosissimo dovere domestico e non coniugale, da una donna, Abigail sull’uomo sposato ma per reciproco interesse.
Tra Sarah e Abigail nasce quella guerra tra donne che dovrebbe assicurare il privilegio in palio per una sola, un marito, un lavoro, un futuro. Il femminismo ha inventato la sorellanza ma il film e forse qualcuno si arrabbierà, pare dubitarne, come esclude totalmente l’esistenza dell’amore essendo tutto asservito alla sopravvivenza e al denaro.
Alla scorsa Mostra di Venezia La favorita ha vinto il gran premio della giuria e quello per la migliore attrice, l’eccezionale Olivia Colman (la bella quarantenne sarà Elisabetta II nel seguito di The Crown): la sua è una regina Anne invecchiata, goffa, che si muove a stento, con un viso disperato e attonito, crudele e annoiato, un suo modo di esprimere fallimento e smarrimento, attimi di piacere e di piccole gioie, con ogni gesto, ogni tentennamento, dentro abiti sontuosi o in spiegazzata camicia da notte. Ammirevoli anche le due favorite, Sarah, Rachel Weitz, e Abigail, Emma Stone: sono le tre donne a occupare lo schermo, mentre gli uomini della corte restano sullo sfondo tra guerre, trame e giochi crudeli. Come quando lanciano arance su un vecchio ciccione nudo, o fanno stupide gare di corsa delle anatre. Quasi tutto avviene tra le mura della corte e del parlamento, come fosse un mondo a parte a decidere il destino di una nazione, di un popolo, di altri paesi, senza averne nessun contatto.
Il che fa pensare all’oggi, reso più incomprensibile e non condivisibile dall’eccesso di comunicazione. La luce naturale del giorno è grigia, quella della notte dorata dalle candele nel fitto buio dei lunghi corridoi segreti, l’uso del quadrangolo distorce spazi immensi sovraccarichi di cose brutte, boiserie, arazzi, quadri statue, vasi per vomitarci dentro.
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