Varie
CRITICA:
NON ha la stessa inclinazione al sorriso di Song e’ Napule dei fratelli Manetti, ma i due film sono uniti dalla musicalità e da uno sguardo sulle magagne di Napoli che cerca di affrancarsi dai luoghi comuni. Take five, secondo film di Guido Lombardi, condivide con il modello dei Soliti ignoti , oltre alla maliziosa allusione nella composizione della banda di disgraziati, anche e soprattutto la cadenza jazz. Ma l’ispirazione al capolavoro di Monicelli, parodia dei film che hanno come anima il “colpo grosso” da Giungla d’asfalto di John Huston a Rapina a mano armata di Kubrick a Rififi di Jules Dassin, cerca e trova una contaminazione per niente piatta e banale, anzi elaborata con originalità, con altre fonti e suggestioni. Fa convivere un certo tono parodistico con il riferimento diretto ai modelli noir e gangster classici, senza evitare il confronto con le rielaborazioni contemporanee: Tarantino e Le Iene in particolar modo…
Una struttura superclassica, nella dominante unità di luogo e tempo: la fragile armonia che si consuma e si compromette nelle reciproche diffidenze. La situazione continuamente rovesciata e svelata nelle sue molteplici sfumature e subito dopo contraddetta, secondo il principio reso archetipico dal Rashomon di Kurosawa che riesamina le cose secondo i rispettivi punti di vista. Si potrà anche obiettare su un difetto di manierismo (quel finale così “alla Sergio Leone”). Tutto che si incastra secondo un disegno geometrico e prestabilito, senza sorprese (in realtà ce n’è più di una). Ma lo stesso I soliti ignoti conteneva forti componenti di metacinema e di gusto citazionistico. Per non parlare di Tarantino che della rilettura e della rielaborazione e dell’attraversamento dei modelli è oggi il guru. Motivo di interesse è anche la composizione del cast. Il “fotografo” Salvatore Striano ha trovato la via del cinema con Gomorra di Garrone e poi l’affermazione con Cesare deve morire dei Taviani, dopo una precedente vita microcriminale che lo aveva condotto in prigione, e con lui condividono gli stessi tratti altri tre dei cinque componenti la banda, incluso Gaetano Di Vaio che di questo film è stato il coideatore accanto al regista. (P. D’Agostini, La Repubblica – voto 4/6)
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NOTE DI PRODUZIONE
Take Five nasce come un film low budget caratterizzato da un impianto produttivo che può definirsi di tipo teatrale-documentaristico.
A giustificare – meglio, a rendere possibile – questa via produttiva, hanno concorso non pochi elementi. Un intreccio fatto di ragioni di tipo narrativo, o comunque espressivo, e altre di ordine tecnico e organizzativo.
Si tratta di un film interamente ambientato in pochi e significativi ambienti, tutti riferibili alla medesima area geografica, quella del napoletano, e in un mondo, quello della piccola malavita organizzata, oggi con una fortissima identità “visuale” oltre che socio-antropologica.
Un mondo, quest’ultimo, raccontato da non pochi reportage giornalistici, documentari e/o speciali tv, ma non ancora, non almeno negli anni più recenti, “dal di dentro”, eccezion fatta per alcuni episodi del film Gomorra.
Il lavoro di preparazione è un’accurata ricerca sul campo, che coinvolge giornalisti e sociologi molto attenti al mondo della malavita e soprattutto al tema del linguaggio in essa presente, e si avvale della consulenza diretta di ex piccoli criminali che da anni hanno intrapreso un percorso “a ritroso”, collaborando con le istituzioni locali in aree sociali e di recupero di ex delinquenti.
Un secondo elemento di giustificazione dell’impianto produttivo è la scelta del regista, Guido Lombardi, di lavorare sul territorio con un gruppo di attori oggi tutti professionisti, la cui storia personale è fortemente intrecciata, per averla vissuta da vicino, con il racconto proposto. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di neo professionisti, la cui storia creativa è cominciata appunto con il film Gomorra e poi proseguita con esperienze televisive (del genere de La squadra) con una fortissima vocazione alla rappresentazione e un grande desiderio di mettersi in gioco. È stato possibile compiere un lungo e scrupoloso lavoro di selezione di volti e corpi e al tempo stesso lavorare con continuità sulle varie versioni della sceneggiatura con “prove aperte” che hanno avuto la caratteristica di veri e propri laboratori.
Take Five aspira a caratterizzarsi come film innovativo e a suo modo spettacolare. Orientato a una narrazione di tipo cinematografico forte.
Il budget del film è contenuto, dettato dalla consapevolezza della scarsità delle risorse pubbliche e private oggi disponibili per il cinema di qualità e dalla “difficoltà” di un film che, pur aspirando a una sua narrazione popolare attraverso il ricorso a figure retoriche del cinema di genere, è tuttavia interpretato da attori ancora non conosciuti presso il grande pubblico.
Una difficoltà che produttori e regista hanno deciso di difendere, fin dal primo istante, senza addolcimenti di sorta. Puntando sulle potenzialità internazionali della storia e sapendo che anche il pubblico italiano ha dato negli ultimi anni inattese prove di maturità quanto alla disponibilità a confrontarsi con soluzioni narrative e interpretative non convenzionali.
Insomma, nelle intenzioni dei suoi artefici, un piccolo-grande film. Con le carte in regola per frequentare la passerella di festival cinematografici importanti e, allo stesso tempo, per parlare a un pubblico vasto e differenziato.
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