Stazioni di tango

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Stazioni di tango

Intervista di Tatti Sanguineti a Bernardo Bertolucci. Bernardo Bertolucci racconta a Tatti Sanguineti storie di burro e di vaselina, di piattole e di partito comunista. Dulcis sin fundo, in un raptus di divino snobismo, finge di credere che il Tango a Zagarolo di Franco Franchi valga più del suo. (Migay 2010)
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Riportiamo articolo di Tatti Sanguineti da FucineMute.it:

“Non so nemmeno io dove mi porterà questo film” mormorava Bernardo Bertolucci presentando alcuni spezzoni di “Ultimo tango a Parigi”, il cui montaggio non era ancora completo, alle Giornate del Cinema Italiano in corso a Venezia-città nel settembre del 1972 quale controfestival alla Mostra ufficiale ospitata al Lido.
E lo smarrimento del trentaduenne Bertolucci (smarrimento per nulla divino o dantesco, ma tutto tutto italiano) era stato ripreso e citato ventitré anni dopo dal “vecchio” critico de L’Unità dei tempi del Tango, Ugo Casiraghi, per accompagnare l’esordio in edicola di una fortunata (e contestata) iniziativa di Capolavori italiani, giornale più film a sole tot lire.
Il giornale e il partito avevano cercato di “salvare” il film. Il film cercava di “salvare” il giornale che era stato del partito…
1995: quattro anni fa, ventitré dopo come detto.
Parafrasando il regista, non sappiamo nemmeno noi dove ci ha portati questo film. A Ultimo tango è successo di tutto. Ultimo tango ha fatto succedere di tutto.
Una via crucis, una “polla perenne” (M. Soldati) un laboratorio di trasformazione del paese reale e di quello audiovisivo.
Tango, come molte delle cose migliori del primo Bertolucci, era nato in famiglia. Un’idea del fratello minore Giuseppe lavorata con Kim Arcalli: un piccolo film con non attori ambientato a Milano. Poi nel dna familiare del film era entrata la carta bollata. Alberto Grimaldi era un avvocato napoletano che si era formato soprattutto come consulente di alcune major companies USA operanti in Italia. Il che contribuisce a spiegare la sua filosofia di finanziamento dei film ed i suoi canali agevolati con alcune ditte statunitensi. Bertolucci voleva Trintignant che aveva appena interpretato Il Conformista. Grimaldi aveva delle pendenze e dei contenziosi con Marlon “15%” Brando, per l’abbandono del set di Queimada a Cartagena in Colombia, 5 giorni prima dell’ultimazione delle riprese (set riaperto solo 6 mesi dopo in Marocco con un costo di overbudget che i contratti di produzione scaricarono interamente sul solo Grimaldi). Fu perciò agevole per il produttore napoletano convincere Brando ad accettare il film di Bertolucci…

A differenza dei film della trilogia della vita di Pasolini-Grimaldi, i cui “cazzi enormi” e le cui anteprime nazionali l’avvocato Gianni Massaro aveva pilotato in fori periferici e benevolenti quali Bolzano, la strategia di uscita dello scabrosissimo Tango fu più articolato e complessa, più audace e più prudente, più protetta e più esposta.
Un triplice volet. Prima un assaggio alternativo di spezzoni bianconeri in versione originale a Campo Santa Margherita. Poi una superanteprima festivaliera internazionale, closing night al New York Film Festival con quattro critici italiani (fra cui un comunista con problemi di visto) e un cronista dell’ANSA con viaggio e soggiorno pagati dal distributore mondiale del film, United Artists. Infine una prima sortita nazionale nella eroica Porretta Terme del Festival del Cinema Libero, piccola gloriosa enclave emiliana zavattiniana e progressista, nata 13 anni addietro, quando Venezia era nelle mani di un certo Lonero e l’italia di un certo Tambroni.

In data 30 ottobre 1972, la sezione I (presidente dr. di Majo) e la sezione VII (presidente dr. Mossarini) avevano espresso parere sfavorevole alla concessione del nulla osta di proiezione in pubblico, perché il regista Bertolucci Bernardo si era asserito spiacente di non poter assecondare una richiesta di “alleggerimento” di soli otto (8) secondi. “Un taglio di metri 3.80 (riduzione del primo amplesso consumato dai due protagonisti all’improvviso in piedi) e un taglio di metri 6 (riduzione della durata della scena in cui il protagonista violenta “a posteriori” la ragazza) e infine la modifica della battuta “mettimi le dita nel culo”, sostituendola con la battuta “non farmela ripetere”. Trentacinque giorni dopo, in data 512.72, il regista accoglieva l’invito a prescindere da quegli imprescindibili 8 secondi e la pellicola otteneva il visto.
Bernardo Bertolucci oggi ringrazia Alberto Grimaldi di averlo saputo convincere ad accettare.
Nel febbraio del 1973, il tribunale di Bologna, competente per Porretta, lo assolve. “È un’opera d’arte”. Come diceva Pasolini con parole di scherno delle scappatoie crociane del codice Rocco: “O fai l’arte, o vai in prigione”.
La sentenza, appoggiata ad una bibliografia consultata fra gli scaffali della Biblioteca e Cineteca Comunale di Bologna di via Galliera 8, cita Sade, Bataille, Céline, Hemingway.
Bertolucci aveva invocato un giudizio su tutto il film contestando l’estrapolabilità di una singola sequenza (ca va sans dire, il burro). “Nessun romanziere vorrebbe essere condannata per una pagina sala”.

Strutturalismo, semiologia, analyse du film varcano il soglio delle aule della Legge.
Inizia così un’altalena di gradi di giudizio che durerà un quindicennio, fino alla sentenza di non oscenità del 9 febbraio 1987. Sentenza che, si badi bene, non cancellerà quella della Cassazione del 29 gennaio 1976, il cosiddetto “rogo”, passata in giudicato e perciò indelebile, ma semplicemente la scavalcherà e raddoppierà.
L’ultimo avvocato di Ultimo Tango, Luigi di Majo, figlio di quel presidente della prima commissione di censura, e futuro avvcato della televisione e di Chi l’ha visto? sosterrà una tesi che lui stesso definisce “un uovo di Colombo giuridico”. Tango semplicemente non è più osceno e improiettabile perché è passato tanto tempo ed è completamente mutato il famoso comune sentimento del pudore. Il film era colpevole, ora è innocente. Fu osceno ma ora non lo è più, semplicemente perché sono passati tanti anni. Undici. Più di una generazione e mezza di spettacolo e spettatori se vogliamo assumere come marcatempo dell’industria del cinema il periodo di sette anni che la Disney lascia trascorrere per le periodiche riedizioni dei suoi evergreen per l’infanzia.
La battaglia di Tango non fu solo battaglia legale, fu soprattutto guerra di retrovie cartacee. Mentre l’ufficio stampa del film in produzione era stato nello studio Longardi, il film in sala e in tribunale fu affidato a Nico Naldini, cugino primo di Pasolini e veterano anche delle aule di giustizia.
L’ufficio stampa della P.E.A. produsse sin dal primo grado di giudizio pesantissimi album (incollati personalmente da Naldini stesso) di rassegna stampa nazionale ed estera, tendenti a dimostrare “le elevatissime qualità artistiche del film”. Nel malloppo che Naldini scarica in via della Ferratella il 29 novembre 1972, quindici giorni cioè prima della prima italiana, si producono estratti da una caterva di giornali: The New York Times, The New Yorker, Women’s Wear Daily, Variety, The Hollywood Reporter, The Standard Star, New Rochelle, The National Observer, Il Corriere della Sera, Il Messaggero, Paese Sera, L’unità, Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino.

A proposito di ritagli, fra le curiosità meno visitate del film, ricordiamo che il secondo rivale di Marlon Brando nel film, Massimo Girotti (Marcel, l’amante di Rosa la tenutaria) traffica anche lui con un paio di forbici. Ma non si accorcia due unghie sodomite, arrotondo lo stipendio ricavando ritagli di stampa (“È un hobby?” “No, detesto la parola hobby. Lo faccio per un’agenzia”).
Le corazzate della guerra del Tango furono il Corriere della Sera, “il giornale della borghesia”, e l’Unità, “il quotidiana del Partito Comunista Italiano”. Ma mentre l’impegno dei giornali della sinistra era antico ed “automatico”, lo sforzo del Corriere (e della Stampa, del Messaggero, ecc.) fu assolutamente inedito.
Per quanto il critico titolare del Corriere, Giovanni Grazzini, già spedito per tempo all’avamposto di New York, si fosse doppiamente battuto in difesa del film, nel suo ruolo oltre che di critico cinematografico anche di Presidente del sindacato di categoria (SNCCI), e nonostante le pagine degli spettacoli di quegli anni apparissero spesso una mezza appendice della cronaca giudiziaria, un ruolo d’opinione rilevantissimo lo ebbe una famosa apertura di prima pagina di Indro Montanelli che Naldini, postino pressa Il Corriere degli Scritti Corsari e della Tribuna libera di Pasolini contrattò con Ottone e richiese direttamente a Montanelli. “Vedrò cosa posso fare”, dichiarò Montanelli, il quale solo vent’anni prima o poco più aveva plaudito alla carcerazione di Renzo Renzi e Guido Aristarco per una provocatoria proposta di film sull’esercito italiano in Grecia, L’armata s’agapò.

Montanelli con Tango si ritrova forse per la prima volta alleato di antichi nemici. Bertolucci si congratula con Naldini (che, poveretto, s’era preso un sonnifero) con una telefonata domenicale alle sette del mattino. A proposito di Montanelli, in Tango appare per la verità l’ombra di un personaggio “montanelliano”: il padre di Jeanne, antico soldato coloniale, dai cui cimeli spunta la foto di una faccetta nera, una fidanzata berbera.
Ma non solo le grandi firme e i pezzi da novanta, tutti gli intellettuali italiani dovettero schierarsi sul fronte del Tango, battaglia civile ed ideale, in questa fase pulita, pulitissima.
“Nessuno ebbe una lira” dichiara Nico Naldini.
Solamente, nella fase del dibattimento di Cassazione, vennero commissianate due expertises: al professor Umberto Eco, lire seicentomila, ed al professor Benedetto Marzullo, grecista insigne e preside del neonato DAMS, lire unmilione.
Le perizie faranno stabilmente parte della riscrittura del copione giudiziario del Tango. Saranno numerose, massicce e risolutorie ai fini della sentenza di dissequestro del 1987.
Non è casuale l’intervento di filologi e filosofi come truppe di rinforzo: Tango è stato il film di scacco di tutta una generazione di critici di cinema italiani costretti a combattere una battaglia che da soli non avrebbero potuto vincere mai. Anzi, a loro in quanto critici fu, di fatto, interdetto di poter dissentire, di criticare il film. Un pezzo contro Tango sarebbe stato ciò che oggi definiamo “poìitically incorrect”. Come accadde al povero Domenico Meccoli di Epoca che, menzionato e virgolettato dal tribunale in una sentenza di condanna del film, dovette pubblicamente pentirsi e rimangiarsi la recensione. I soli altri detrattori del film furono un vecchio psicologo, Luigi Volpicelli, un vecchio alpino, Paolo Monelli, un vecchio umorista, Giovanni Mosca. Per tutti fu invocata l’attenuante anagrafica.

Le dissociazioni dal film dovettero essere sussurrate, private, segrete. Nessuna combutta e complicità con Madama Anastasia, come si soleva chiamare la Censura. Come segretissimamente, solo alla FanoRoma e in cuor suo, dissentì Pier Paolo Pasolini. “Pasolini uscì pallido e nervoso. Il film non gli era piaciuto. Anzi, gli era parso un tradimento commerciale del cinema di poesia”.
Scacco matto della critica professionista il Tango, abbiamo detto.
E proprio la proiezione sorpresa di una copia “pervenuta agli organizzatori tramite il regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, deceduto”, nel settembre del 1982, all’interno del calendario dell’estate romana di Nicolini (quella sera in viaggio a Parigi per precostituirsi un alibi), dentro una manifestazione che si chiamava “Ladri di Cinema”, segnerà l’emergenza e l’affermazione di una generazione di cinéphiles e di organizzatori militanti e desideranti.
“Tutti costoro, peraltro, sentiti in merito alla proiezione del film, hanno concordemente negato che Bernardo Bertolucci avesse in qualche modo concorso all’organizzazione della manifestazione, essendosi limitato a parteciparvi nella sua qualità di autore del film.”

Nel corsa della romanzesca vicenda, uno degli organizzatori della beffa prowede a ricavare dalla copia, “sette rulli in originale con sottotitoli, un po’ spuntinata alla fine delle parti”, un vhs per il regista che non lo possedeva.
Le plateali proiezioni-sfida dei radicali di Spadaccia prima e dei ladri di pellicole di Nicolini poi, contribuiscono fortemente, almeno sul piano simbolico ma non solo, al tramonto di una vecchia politica dell’ANAC, gli autori, e della sinistra cinematografica basata su modelli di protesta convegnistici, coreografici, comiziali. In materia di censura solo uniti si vince. Con il microfono ad asta davanti e lo striscione con la parola d’ordine dietro. Quella contro il rogo del Tango proclamava: “I lavoratori della cultura per il diritto di scelta di tutti i cittadini.”
L’iniziativa privata, come quella di Fellini che era andato sottobanco a trattare col cardinale di Genova per Cabiria (“Poverina! Dobbiamo fare qualcosa…..” disse Siri a luci accese e ciglio umido) era a sinistra ritenuta una pratica se non reazionaria, almeno disdicevole.
Numerosi sono i primati di Ultimo Tango a Parigi. A partire dai suoi quattordici milioni di spettatori italiani che si affollarono nei primissimi mesi di uscita del film, timorosi di non riuscire più a vedere la pellicola. L’avvisaglia del sequestro funzionò come il più formidabile dei trailers e dei passaparola. Questa affluenza record, questa vera calca in cui si tuffò un italiano su quattro, costituì la prova generale della incombente politica di distribuzione a tappeto dei film, con numero sterminato di copie stampate e tempi rapidissimi di sfruttamento.

Tango insomma, visto oggi, sembra essere stato anche il laboratorio di annientamento -ahimè- delle seconde ed ulteriori visioni. Alla prima sentenza di sequestro, Oreste del Buono — uno dei sostenitori più accesi e scatenati del film — titola su L’Europeo “Tango vietato ai non abbienti”.
Sul terreno della distribuzione e dell’esercizio, si muovono sulla scia di Tango anche le prime sale a luci rosse e le proiezioni con l’insert dell’hard e del cosiddetto “rullo esteri” direttamente in cabina.
Bertolucci, in questi materiali inediti registrati durante la manifestazione al Planetario di Roma nel febbraio ’76 contro la censura e conservati dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, dopo aver chiesto la grazia per il film al capo dello stato, Giovanni Leone, inneggia alla pornografia come fase transitoria e ineluttabile della lotta alla censura e all’emancipazione del pubblico che presto se ne stuferà, “com’è successo in Francia”. In una delle sue ultime cose, Pasolini aveva scritto “sempre meglio un film pornografica di qualsiasi trasmissione televisiva”.
La condanna del Tango, ottanta giorni dopo la morte di Pasolini, a metà strada fra i due referendum del divorzio e dell’aborto, è unanimemente considerata oramai un pezzettino non piccolo della storia di questo paese.
Un’altra novità sul territorio nazionale introdotta dal Tango fu di rendere pratica comune l’applicazione del marketing al mondo del cinema. Subito dopo la prima sentenza di Bologna, Grimaldi ebbe la pensata di commissionare un sondaggio di gradimento alla Demoskopea di Milano. All’epoca della produzione del suo primo film Per qualche dollaro in più aveva voluto sondare con delle ricerche di mercato il gradimento del genere western da parte del pubblico italiano. Un 80% di consensi accertati che contribuirono a triplicare il budget di Il Buono, il Brutto, il Cattivo. Nel caso di Ultimo Tango, Grimaldi volle riprovare con un sondaggio tra cinquecentotrenta spettatori (65 per cento maschi, 35 per cento femmine), intervistati da quarantacinque esperti rilevatori, nei dieci giorni fra il 13 e il 22 marzo 1973, in varie zone d’Italia (33,7 per cento nel nord-ovest, 10,4 nel nord-est, 37 per cento nel centro e 18,9 per cento nel sud e nelle isole).

Gli attori

Oltre alla celeberrima coppia di protagonisti maledetti, lui che sembrerebbe non avere mai visto il film, lei che non cessa di stramaledirlo (“on m’a eue!”), molti altri attori secondari entrano dalla porta del film nel teatro della vita pubblica del paese. Basti pensare, per fare un esempio per tutti, al procuratore generale di Roma, che emette la prima sentenza contro il film: Niccolò Amato, poi Direttore generale degli istituti di pena, poi avvocato di Bettino Craxi. Oggi dichiara: “Una decisione sofferta… il film non possedeva i requisiti artistici… possiamo aver sbagliato…”.
Ma come dimenticare il primo avvocato difensore del Tango, l’avvocato Giuseppe de Luca, che diverrà il legale di Silvio Berlusconi?
Tango anche in questo senso si rivela a posteriori dall’una e dall’altra parte del codice, come una incubatrice di talenti. Forse anche per questo, Pasolini, fiero avversore delle modernità, si era tenuto quel vecchio “fascio” dell’avvocato Massaro che sbandierava sulla scrivania del suo studio come tagliacarte un pugnale della X Mas con la scritta “Credere, obbedire, combattere” e come fermacarte un piccolo ritratto bronzeo di Mussolini.
Le ultime stazioni della via crucis di Ultimo Tango sono stazioni naturalmente televisive. Mercoledì 21 settembre 1988 su Canale 5, “l’uomo più potente d’Italia” (almeno a giudizio della mafia e dei produttori e registi di film in uscita), colui che Fellini soprannominava “il questurino turco”, invita Bertalucci al dibattito che precede il film, scarciato di sei minuti circa e “imporchettato” di spot. Un’ora di dibattito, tanto per tirare le ventidue e trenta prescritte dal legislatore per i film vietati ai 14.
“Rispetto alla precedente edizione, sono state apportate le seguenti modifiche:

1° taglio: sequenza della sodomizzazione di Jeanne: del rapporto rimane solo un’allusione, mentre la scena, nella sua violenta crudezza, è stata totalmente eliminata. E con la scena è stato eliminato il dialogo che ne sottolinea la carica eversiva, consistente in frasi dissacranti contro la famiglia, che Paul pronuncia e costringe Jeanne a ripetere durante il rapporto sodomitico. Metri 54,10.

2°taglio: sequenza della sodomizzazione di Paul da parte di Jeanne. Paul ingiunge alla ragazza di tagliarsi le unghie e di introdurgli le dita nell’ano. Durante la sequenza della sodomizzazione, Paul mira ad avere l’assoluta soggezione della ragazza, pronunciando frasi terribili e chiedendo infine l’adesione di lei: “Lo faresti tutto questo per me?” — e Jeanne: “Sì. Lo farò. E farò di più, di più e di peggio.” Scene e dialoghi sono stati completamente eliminati. Metri 39,70.

I tagli effettuati ammontano a complessivi metri 93,80.”
La domanda di revisione della P.E.A. (30.6.1988) precisa in un post-scriptum “che la nuova edizione è stata curata dallo stesso Regista Bernardo Bertolucci” (la R maiuscola è naturalmente nell’originale).
Un corsivo del vicedirettore del quotidiano cattolico L’Avvenire ravvisa nell’emissione della Fininvest cinque differenti reati. Pier Giorgio Liverani conclude con un appello: “Non resta che sperare che qualche magistrato un po’ attento a queste cose scopra finalmente tutto quello che sta accadendo alla luce del sole e si decida ad applicare la legge riconfiscando tutte le copie di Ultima Tango in circolazione e tutti i relativi incassi, da considerare di pertinenza dello Stato. Compresi quelli pubblicitari della proiezione televisiva, che si presumano in un miliardo e mezzo di lire.”
Al dibattito il regista è contumace. Il conduttore ha precisato ai giornali di essere contrario a far vedere il film ai propri figli. La platea è stracolma di minorenni tifosi di Serena Grandi che dibatte per un’ora (meno i consigli per gli acquisti) con l’etologo Giorgio Celli, la collega Demetra Hampton, la psicologa e giornalista Donata Kalliany, lo stornellatore Davide Riondino, lo stesso Pier Giorgio Liverani. In terza fila di platea l’avvocato Luigi di Maio e il giudice Paolo Colella, dissequestratore di Tango un anno prima. Il dibattito verte sulla rottura dei tabù e, onestamente, se ne sentono delle belle. Del tipo, per capirci, “E allora il tabù del furto? E allora tu vieni a casa mia e ti porti via tutto quello che c’è…”.

Tuttavia il Tango versione famiglia un pregio indiscutibile ce l’ha: quello di restituire ai critici la possibilità di un libera e diversa opinare. Del Buono scrive sul CorSera “…la sorpresa è che il film regge, nonostante tutto: TV , inserzioni pubblicitarie, tagli, passare del tempo….”!. La Stampa titola invece il commento di Stefano Reggiani “Ma la forza di Tango era nella sua integrità”. Sottotitolo: “Forse quest’opera appartiene solo al Cinema con i suoi scandali e le sue battaglie”.

Post Scriptum

La prima uscita italiana di Tango avvenne con la stampa di 35 copie.

I 14 milioni circa di spettatori di sala italiani di Tango comprendono anche quelli della riedizione Titanus del 1987.

l tagli effettuati ed approvati dal nulla osta del 5 dicembre 1972, tagli effettuati unicamente in Italia e in nessun altra paese occidentale, non son mai stati reintegrati in nessun tipo di riedizione italiana del film, comprese quelle in home video.

Tatti Sanguineti

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Dal programma Le stazioni di Tango – Notte Censura – Hollywood party. Tatti Sanguineti in collaborazione con Rosellina d’Errico

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