“L’idea di un uomo che scopre di essere padre di oltre 500 figli sembra una specie di provocazione, una bizzarria che in teoria, sul piano legale, può trovare pochi riscontri nella realtà (anche per la rigidità delle legislazioni sulla privacy che, nella maggior parte dei paesi, regolano la materia). Eppure, al di là del fatto che lo stesso regista dichiari di essersi ispirato ad un fatto reale (un uomo che avrebbe scoperto davvero la paternità di 500 bambini) la credibilità della vicenda viene garantita soprattutto dall’ottima sceneggiatura, opera dello stesso Scott e di Martin Petit. Alternando registri comici, grotteschi e sentimentali, lo script restituisce un quadro che riesce a strappare risate ma anche a stimolare qualche riflessione. Quello di David è un personaggio divertente ma fondamentalmente solo: i suoi tragicomici tentativi di tenere insieme pezzi di vita che non ha ancora imparato a far convivere (vedi l’episodio delle maglie della squadra di calcio) provocano sorrisi che in molti casi diventano amari. Centrato sempre e solo su se stesso, e sulla paura di essere abbandonato, anche dalle poche persone che gli sono rimaste vicine (suo padre, la sua compagna, il suo amico avvocato) David inizia a cambiare quando la sconcertante scoperta lo porta, per la prima volta, a fare i conti con una sua responsabilità. E’ un cambiamento che l’uomo sperimenta quasi suo malgrado, con quella curiosità che lo spinge a verificare che cosa abbiano prodotto i suoi geni, quali siano le vite, i sogni e le delusioni di coloro che li hanno ereditati. Così, David entra nella vita di questi ragazzi praticamente in punta di piedi: laddove la sceneggiatura potrebbe spingere maggiormente sul pedale del grottesco, e della risata facile, la narrazione diventa al contrario intima, profonda, tutta tesa a sottolineare la voglia di avvicinamento di questo padre sui generis. Così, il protagonista trova un po’ di tutto, nella sua esplorazione: il giovane campione di calcio, la minorenne tossicodipendente, il ragazzo gay, il disabile. Sarebbe stato facile, con personaggi così codificati (e, in molti casi, forzatamente abbozzati) cedere agli stereotipi; ma il film mantiene al contrario un’apprezzabile delicatezza, nella descrizione delle interazioni del protagonista con questa variegata umanità giovane.” (Marco Minniti, Movieplayer.it)
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